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 2016  novembre 19 Sabato calendario

Lo spread cancella 3,5 miliardi di risparmi

ROMA L’effetto spread rischia di ridurre i margini sui conti pubblici per il prossimo cruciale anno quando il Tesoro dovrà raccogliere sul mercato circa 400 miliardi. Lo spread, ovvero la differenza di rendimento del Btp decennale italiano con il Bund tedesco, ha chiuso ieri a quota 181 (dopo aver raggiunto in apertura quota 187) con un rally che va avanti da giorni in vista del referendum. Risultato: il “cuscinetto” di sicurezza per il 2017 che si era profilato nella metà di quest’anno è evaporato nel giro di pochi giorni: significa che dovremo fare a meno di un “tesoretto” di 3 miliardi e mezzo. E fare molta più attenzione.
Basti pensare che la spesa per interessi sull’intero stock dei titoli di Stato che il governo avrebbe dovuto sostenere nel 2017 veniva valutata nell’agosto scorso, in base alla proiezione nell’anno successivo dei bassi tassi, in soli 59,9 miliardi. Si trattava di circa 3,7 miliardi in meno rispetto alle previsioni di Pier Carlo Padoan della Nota di aggiornamento al Def di settembre che stima una spesa per interessi per il 2017 di 63,6 miliardi. In agosto infatti lo spread veleggiava a quota 110, i Btp a dieci anni rendevano sul secondario circa l’1 per cento ed erano stati piazzati in asta al tasso stracciato dell’1,14 per cento.
Oggi il vento è cambiato e la situazione è repentinamente mutata. Secondo un “focus” del Cer, realizzato da Antonio Forte, con lo spread a quota 180 e con il rendimento del Btp intorno al 2 per cento, la spesa per interessi prevista per il 2017 risale intorno ai 63,3 miliardi: un livello inferiore di appena 2-300 milioni rispetto a quella prevista dal governo. Ma la partita non è finita e alcuni analisti non escludono che lo spread possa scavalcare quota 200, fatto che non avveniva dalla fine del 2013, in questo caso la spesa per interessi proiettata nel 2017 potrebbe raggiungere i 64 miliardi e scavalcare le prudenti ipotesi del Tesoro.
Sugli spread, oltre all’ effetto referendum, pesano anche altri fattori: la decisione della Fed di alzare i tassi, le politiche inflazionistiche della Trumpnomics, la sempre presente mina del Brexit. Tuttavia le cifre che emergono dagli indicatori di mercato segnalano una specificità della situazione italiana e di un riemergere del rischio-Paese. Ad esempio se si guarda alla differenza con lo spread tra Bonos spagnoli e il Bund, emerge che a gennaio di quest’anno gli iberici pagavano 20 punti base in più rispetto all’Italia. Oggi invece la situazione si è capovolta: la tensione internazionale sui tassi penalizza di più l’Italia e il nostro spread ieri era di 50 punti superiore a quello spagnolo.
Confermerebbe una risalita del rischio Italia il mercato dei Cds, i credit default swap, ovvero i titoli che servono per assicurarsi dal rischio di insolvenza, noti dai tempi della crisi Usa dei subprime e protagonisti durante il crack greco. L’andamento del prezzo dei Cds sui bond europei, e su quelli italiani, non è calmierato dall’intervento della Bce con il quantitative easing e dunque è un indicatore piuttosto realistico di quello che pensa il mercato. Ebbene il Cds sui titoli decennali italiani è cresciuto, rispetto a quello spagnolo, da i pochi punti nel gennaio di quest’anno a 80 punti di novembre.