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 2016  novembre 19 Sabato calendario

Ma i top manager non temono l’onda

TUTTI (o quasi) tifano Sì. Ma nessuno (o quasi) prevede apocalissi economico-finanziarie in caso di vittoria del No. Se a votare il 4 dicembre fossero solo i manager e le grandi banche d’affari, Matteo Renzi potrebbe dormire tra due guanciali.
LA BUSINESS community è schierata con lui. E non perde occasione – anche se con maggior cautela dopo gli ultimi sondaggi – per mettere in guardia dai rischi di una bocciatura della riforma costituzionale.
I vaticini di Banca d’Italia – che prevede «un forte aumento della volatilità dei mercati a ridosso della prima settimana di dicembre» – sono solo l’ultimo assist, magari involontario, al fronte del Sì. Confindustria è scesa in campo da tempo senza se e senza ma al fianco del premier. David Flokerts Landau, capo economista della Deutsche Bank (istituto che di rischi sistemici se ne intende, visti i derivati che ha in portafoglio) ha detto papale papale che «un’Italia senza riforme starebbe meglio fuori dall’euro» e che la fuga degli investitori istituzionali alla vigilia del voto «può far esplodere lo spread». I report degli analisti – che ovviamente, visti i precedenti, non sono la Bibbia della finanza – auspicano con percentuali bulgare il passaggio della riforma, «una precondizione importante per continuare il processo di riforme italiane», come ha scritto in uno studio fresco di stampa la Morgan Stanley. Concetti che tornano in quasi tutti i rapporti diffusi in queste ore dalle banche d’affari. E 41 dei 42 manager delle grandi aziende tricolori interpellati dall’agenzia di stampa Bloomberg hanno confessato che voteranno Sì. Il motivo? Per il 94% di loro l’ok alla proposta del Governo «renderebbe più semplice il processo decisionale del governo favorendo il rafforzamento dell’economia e degli investimenti». E non alimenterebbe l’incertezza politica destinata – calcola Oxford Economics – a costare mezzo punto di Pil all’Italia nel 2017.
La forbice tra le intenzioni di voto del paese reale e i “desiderata” del mondo degli affari è insomma amplissima. Le Cassandre della finanza ricordano come un incubo l’autunno 2011, l’anno in cui lo spread volò fino a quota 500 punti e temono che l’incertezza politica in caso di vittoria del No faccia risalire la febbre dei tassi d’interesse mettendo a rischio un sistema bancario che non naviga proprio in acque tranquille.
L’aumento di capitale di Mps – dice ad esempio Goldman Sachs – avrebbe difficoltà ad andare in porto con il rischio di travolgere con effetto- domino gli altri istituti in difficoltà. Se l’agenzia di rating Dbrs abbassasse il voto all’Italia – sostiene Barclays – «le banche avrebbero più difficoltà a finanziare la loro attività con i prestiti della Bce».In questa campagna elettorale dai toni altissimi e molto polarizzata però, i mercati e gli economisti hanno iniziato nelle ultime ore – complice il vantaggio del No nei sondaggi – a lanciare un messaggio tranquillizzante. Comunque vada, non sarà una tragedia.La sconfitta di Renzi «è un risultato cattivo ma gestibile», assicura Morgan Stanley. «Ci sarà volatilità dei mercati, ma non problemi sistemici», ha scritto Credit Suisse. «Non sarà la fine del mondo come dicono molti commentatori», ha messo nero su bianco l’inglese Barclays.
«Sui titoli di Stato vedo pochi problemi – sostiene anche Francesco Daveri, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore -. Il paracadute del programma di riacquisto della Bce dovrebbe essere sufficiente a frenare le speculazioni». Un po’ di volatilità sarà inevitabile «ma in fondo anche le fibrillazioni della Brexit sono state riassorbite e se non si carica di aspettative apocalittiche l’appuntamento elettorale, non ci sono motivi per veder tremare i mercati», aggiunge Marco Onado, docente di economia degli intermediari finanziari alla Bocconi. Dopo le elezioni sarà necessario formare un governo per rifare la legge elettorale («ci vorrà almeno un anno», calcola Morgan Stanley) e ci sarà tempo per digerire le tensioni.
Andrà davvero così? Anche i grandi economisti, come gli italiani, hanno pareri differenti. Mario Deaglio ad esempio – professore a Torino – vede nero in caso di vittoria del No. «In quel caso ci sono probabilità molto alte che lo spread torni a livelli elevati (300-500), anche perché già in questi giorni si sono create posizioni speculative importanti contro il debito pubblico italiano». E l’aumento dei tassi «metterebbe rapidamente la parola fine alla ripresa italiana». Il tempo – e le urne – diranno chi ha visto giusto.