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 2016  novembre 19 Sabato calendario

I rabdomanti del mondo. Così si analizzano i segnali

È nelle profondità della Terra o addirittura nello spazio che si cercano i segni del perché e come il suolo potrebbe scatenare un sisma. Indagini di frontiera, mirate a sciogliere almeno alcuni dei misteri che i terremoti ancora custodiscono. In California si aspetta da tempo con inquietudine il Big One, un forte sisma oltre il settimo grado della scala Richter capace di riportare sulla costa lo spettro di quello che nel 1906 distrusse San Francisco.
Per indagare che cosa succede nella faglia di Sant’Andrea che taglia il sottosuolo californiano, la National Science Foundation e l’US Geological Survey hanno realizzato a Parkfield una doppia perforazione: la prima sperimentale di 2,2 km ed una seconda arrivata a 4 km attraversando la faglia. L’operazione, partita nel 2004, come progetto Safod (San Andreas Fault Observatory at Depth) continuerà almeno per un altro ventennio, offrendo strumenti per indagare i vari strati con le loro condizioni di stress mentre accumulano energia e per raccogliere campioni geologici, delle carote di sette centimetri di diametro da analizzare. La zona è caratterizzata da piccoli terremoti che così si indagano direttamente, sperando di scovare quegli indizi fisici utili anche per un futuro Big One.
Oltre la perforazione da record della California altre sono in atto nei vari continenti nell’ambito dell’International Continental Scientific Drilling Program. «Anche in Italia – racconta Lauro Chiaraluce dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) – ne abbiamo tre in corso nell’Alta Valle del Tevere, tra San Sepolcro e Perugia, che giungono a 250 metri. Quest’area è scossa da terremoti molto piccoli utili da ascoltare per caratterizzare la natura e il comportamento delle rocce definendo così gli aspetti fisici dai quali possono trarre origine i terremoti».
Le perforazioni italiane sono inserite in una rete di altre sette distribuite sul territorio europeo avviate per tracciare una mappa continentale. Lo sforzo dei sismologi è di cogliere gli aspetti premonitori della Terra sta per tremare liberando l’energia accumulata. Dagli anni Ottanta gli scienziati russi avevano rilevato con alcuni satelliti delle anomalie nella ionosfera che circonda la Terra in concomitanza con alcuni sismi. I dati venivano analizzati anche in Italia dal fisico Roberto Battiston, pioniere di queste indagini e ora presidente dell’agenzia spaziale italiana Asi. Successivamente ricerche analoghe erano condotte con il satellite francese Demeter e la costellazione dei tre satelliti Swarm dell’Esa europea. «Nello spazio si possono registrare fenomeni precursori legati alle densità degli elettroni nella ionosfera dove si è visto che cambia la loro concentrazione» spiega Angelo De Santis dell’Ingv.
Ora l’agenzia Asi sta coordinando la partecipazione al progetto del satellite cinese Cses (China Seismo-Electromagnetic Satellite) che verrà lanciato nel luglio 2017. A bordo vi sarà lo strumento italiano Limadou realizzato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare Infn, dall’Istituto nazionale di astrofisica Inaf e dall’Ingv. «Da lassù indaghiamo oltre la densità elettronica, le variazioni del magnetismo forse dovuti alle emissioni di onde elettromagnetiche a bassissima frequenza dalla crosta terrestre e pure i segnali termici nel campo dell’infrarosso – dice Salvi —. Strada lunga ma utile».
«Il progetto rappresenta una fase di studio e mira alla possibilità di avere un riscontro di dati dallo spazio, oltre che dai sismografi a terra, in coincidenza con un evento sismico – precisa il presidente dell’Asi Roberto Battiston —. Finora i dati raccolti non sono accurati e sufficienti per fare un modello analitico preciso delle interferenze tra ionosfera e terremoti, ed è questo lo scopo della missione. Ma ci vorrà ancora molto tempo, senza contare che come spesso accade nella ricerca scientifica le incognite sono molte».
Intanto i satelliti CosmoSkymed dell’Asi e Sentinel dell’Esa oltre ad altri tedeschi e canadesi portano un contributo già oggi prezioso. «Con i radar – nota Stefano Salvi dell’Ingv – misuriamo le deformazioni del suolo costruendo con degli algoritmi matematici delle mappe utili a stabilire il rischio sismico delle varie regioni».