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 2016  novembre 18 Venerdì calendario

Svolta più vicina per l’Alzheimer. Scoperta la proteina che protegge i ricordi

ROMA Una scoperta rivoluzionaria ribalta ciò che sapevamo sulla malattia di Alzheimer. E suggerisce una nuova possibile terapia per il morbo che colpisce circa un milione di italiani. L’annunciano su Science i ricercatori della University of New South Wales di Sydney: hanno identificato un enzima, detto p38y, che si perde man mano che la malattia avanza. E la buona notizia è che quando gli studiosi australiani hanno provato a iniettarlo negli animali di laboratorio, hanno osservato che riesce a rallentare la degenerazione.
La storia comincia nei laboratori di Sydney dove i biologi molecolari, studiando i tessuti cerebrali dei malati, hanno osservato che p38y perde la sua capacità di proteggere i ricordi man mano che il morbo devasta il cervello. La scoperta, però, contraddice, almeno in parte, un’idea che pareva assodata, ovvero che a danneggare i neuroni fosse una proteina, chiamata Tau, che accumulandosi provocherebbe la malattia. In realtà questa proteina avrebbe – secondo i ricercatori autraliani – un ruolo iniziale protettivo, che svanisce soltanto con l’avanzare della malattia, ma che potrebbe essere recuperato con nuove somministrazioni dell’enzima p38y.
«La cosa più nuova che abbiamo trovato» spiega a Repubblica Arne Ittner, uno degli autori della ricerca «è che la proteina Tau, che si riteneva dannosa, in realtà quando interagisce con l’enzima p38y ha invece un effetto protettivo». Ad assegnare alla proteina Tau il ruolo del “cattivo” è stata fino ad oggi la constatazione che quando questa proteina smette di funzionare dopo l’esordio dell’Alzheimer, si stacca dalle pareti dei tubicini interni presenti nei neuroni, provocando la loro dissoluzione, e si aggrega in lunghi grovigli filamentosi che ostacolano le funzioni e la sopravvivenza dei neuroni stessi.
Ma la scoperta australiana rivela in realtà che la proteina Tau, nelle fasi iniziali della malattia, riesce a opporre una resistenza all’azione degradante delle proteine beta amiloidi, le molecole che formano le placche evidenti nel cervello dei malati. Alla lunga, però, l’aggressione continua delle proteine beta amiloidi ha la meglio.
«La scoperta australiana ci dice che la proteina Tau è coinvolta in processi fisiologici» spiega Massimo Tabaton, docente di neurologia all’Università di Genova. «E questo si può capire anche constatando che nel cervello dei feti si ha un’attività particolarmente intensa della proteina Tau: evidentemente facilita lo sviluppo dei processi neuronali».
Dato che con il progredire della malattia, l’enzima p38y perde la capacità di trasformare la proteina Tau in un difensore della memoria, il passo successivo per Lars Ittner, autore principale del nuovo studio, è arrivare a una terapia farmacologica che ne tenga alto il livello nel cervello. «Se somministriamo p38y ai topi si previene la perdita di memoria tipica dell’Alzheimer» conclude Arne Ittner. «Non abbiamo ancora provato, però, che faccia tornare i ricordi perduti».