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 2016  novembre 18 Venerdì calendario

Il cupo tramonto di Hillary. Voci di complotto, il viso segnato e la tentazione di non uscire più

Tutto è finito dov’era iniziato. Fu al gala del Children’s Defense Fund, grazie a cui migliaia di bambini americani poveri ma di talento possono studiare, che nel 1992 Bill e Hillary Clinton fecero la loro prima apparizione pubblica dopo l’elezione di lui alla Casa Bianca. Mercoledì sera Hillary è tornata nello stesso luogo, una settimana dopo la sconfitta subita da Donald Trump, portando con sé i segni, gli umori cupi e i rimpianti di un crepuscolo, ma anche la maestà di una protagonista che è sembrata finalmente liberata dall’ossessione di una vita.
È stato probabilmente l’ultimo atto della vita pubblica di Hillary Clinton. Accettare la disfatta non è stato facile, per lei. Raccontano di sfuriate e liti con Bill e crisi di pianto e profondissimi silenzi, nell’intimità della casa di Chappaqua. Qualcosa trapela anche nel discorso di Washington: «Ci sono state volte negli ultimi giorni in cui avrei voluto solo rannicchiarmi con un buon libro, i nostri cani e non uscire mai più di casa». Ma le parole non bastano, non basteranno mai: «So quanti di voi sono profondamente delusi dai risultati del voto. Lo sono anch’io, più di quanto potrò mai esprimere. So che non è semplice, so che molta gente in questa settimana si è chiesta se l’America sia il Paese che credevamo».
Ma nel suo tracollo dai contorni shakespeariani, Hillary trova anche parole di speranza. «Ascoltatemi, tocca a ognuno di noi continuare a lavorare per un’America che sia migliore, più forte e più giusta. Ne vale la pena, per noi e i nostri figli». A questi ultimi dedica il messaggio politico più forte: «Una società si misura da come tratta i suoi bambini e nessun bambino in America dovrebbe aver paura di andare a scuola perché è latino, afroamericano, musulmano, o perché è disabile». Donald Trump è servito. La parte più struggente, quella che veramente odora di addio e ha il colore del tramonto, è quella dedicata alla madre, cioè a se stessa. Hillary immagina di tornare indietro nel tempo per dirle: «Guardami e ascolta. Sopravvivrai, avrai una famiglia tua, tre figli e per quanto possa essere difficile da immaginare, tua figlia diventerà senatore degli Stati Uniti, segretario di Stato e avrà più di 62 milioni di voti nella sua campagna per la presidenza».
È un dolore acuto, profondo, quello di aver vinto il voto popolare, ma di aver perso la Casa Bianca. Che nell’universo clintoniano, sempre incline a intravedere i contorni sinistri della cospirazione, fortifica la convinzione di essere ancora una volta vittime di un complotto. Pochi giorni dopo la sconfitta, parlando con i donatori della sua campagna, Hillary ha infatti puntato il dito contro il direttore del Fbi, Comey, responsabile di aver inutilmente riaperto il caso delle email, già chiuso e digerito. È un fatto che dopo le dichiarazioni di Comey, la candidata democratica ha avuto un nuovo crollo dei sondaggi, dal quale non si è mai ripresa del tutto. Più esplicito, come sempre a tinte forti, è stato Sidney Blumenthal, il consigliere nell’ombra, l’uomo al quale erano indirizzate gran parte delle email del server privato. Per lui, si è trattato né più né meno che di un «colpo di Stato», un’azione eversiva decisa contro il parere del Dipartimento della Giustizia, orchestrata da Comey «in un ufficio di New York contiguo a quello di Rudi Giuliani» e forse concordata addirittura con «entità straniere». Forse Blumenthal dice a voce alta quello che Hillary pensa sommessamente.
È in ogni caso una narrazione post clintoniana, quasi l’ultima colonna sonora che accompagna la fine della dinastia, che nel bene e nel male ha definito i democratici americani negli ultimi trent’anni. Cosa farà Hillary Clinton, finito il sogno del potere, svanita la nobile illusione di infrangere il tetto di cristallo della definitiva parità di genere, conclusa la sua eterna corsa alla Casa Bianca? Saprà essere madre nobile del partito? O riprenderà il circuito dei discorsi miliardari che hanno sporcato la sua immagine di campione liberal?
È il banco di prova che l’attende. Per il momento, dalla foto sorridente in campagna con la fan dal «cuore spezzato», all’uscita di mercoledì gonfia di emozioni appena dissimulate, quello di Hillary assomiglia tanto a un autopensionamento.