Libero, 17 novembre 2016
«Chi è bello non paghi le tasse»
La bellezza, oggetto di
infinite discussioni nel corso dei secoli. Valutata secondo parametri di mutazioni epocali, secondo le mode, la letteratura, l’arte, gusti e valutazioni personali. Dono della natura, si dice-
va una volta, oggi questione genetica da Dna, sullo stesso pia-
no del quoziente d’intelligenza
o purtroppo del rischio malattie. Comunque elemento che
ha storicamente condizionato l’evolversi del costume e in certi
casi pure le sorti delle nazioni, valgano per tutti il nome di Elena di Troia che cornificando il marito infiniti guai addusse agli Achei, dieci anni di guerra, mica uno scherzo, o della Contessa di Castiglione, incursora nel letto di Napoleone III, grazie alla sua avvenenza sedusse l’imperatore e fece convergere le truppe francesi a sostegno dei Savoia nella seconda guerra d’Indipendenza. E poichè probabilmente ci si accapigliava per la bellezza sin dai tempi delle caverne, ecco a che punto siamo arrivati oggi: la classificazione della bellezza come oggetto di reddito, bene gestibile a fini professionali.
Infatti viviamo nel tempo dell’immagine, la bellezza si offre, si vende e si compra tutti i giorni, passando dal cinema alla televisione, dalle passerelle della moda alla pubblicità, al mondo di Internet che tutto ingloba divorando i suoi figli. Il caso scoppia a midi «si sente» donna, che abbia un libretto che lo dichiara donna, se uomo, dati anagrafici maschili. Ma tutti e due?
L’androginia la riunione di attributi sessuali maschili e femminili in un unico organismo è un bel mito narrato da Platone nel Simposio e anche caratteristica naturale di alcuni organismi, ma non dell’uomo. E il doppio libretto transgender non ha mancato di scatenare numerose polemiche. Il capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Liguria Matteo Rosso ha bollato il doppio libretto trans come «becero e surreale». Epiteti non graditi da Claudio Tosi, presidente Arcigay Genova, che ha risposto ripercorrendo la storia del riconoscimento dei transgender nel Novecento italiano, e sottolineando la vicinanza delle polemiche con «la giornata delle vittime della violenza sui transgender», che ricorre il 20 novembre.
Il rettore dell’università ha colto l’occasione per autoproclamarsi un faro di civiltà: il doppio libretto transgender, ha detto, «è solo una questione di civiltà, se qualcuno non lo capisce, non so cosa farci». Parole tolleranti, aperte al dialogo, inclusive, proprio quello che ci si aspetterebbe dai vertici di una grande università italiana.
Comunque, qual è la minaccia che si vuole sventare? Che, mettiamo, Carlo, sentendosi femmina, e vestendosi e comportandosi come tale, possa esibire un libretto dove c’è scritto Carla, evitando così sguardi di disprezzo o molesti da parte di... di chi? Quelle SS delle segretarie amministrative? I professori della destra suprematista che verbalizzano l’esame? Ma a chi gliene frega niente di come si veste Carlo/ Carla? Ma il rettore di Genova e gli augusti membri del Comitato pari opportunità, frequentano l’università di cui sono amministratori e docenti? Hanno mai visto come vanno conciati gli studenti oggi, con quale libertà di comportamento e di aspetto e di vestiario e di linguaggio, con sommo menefreghismo di tutti gli altri? Eh no, c’era il rischio di discriminazione. Quello del ridicolo, di rischio, non è stato preso in considerazione.