Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 17 Giovedì calendario

La sfida dei numeri e quella delle idee

NEGLI Stati Uniti, sotto un guscio apparentemente intatto, il sistema politico si scopre all’improvviso divorato all’interno proprio dal tarlo insaziabile e a lungo invisibile dell’antipolitica.
IN EUROPA quello stesso guscio scricchiola e si crepa ogni giorno di più sotto l’effetto di forze invece assai visibili e diverse tra loro che agiscono da fuori e da dentro: il peso dell’ondata migratoria a cui si aggiunge l’esodo di chi scappa dalle guerre, gli egoismi spudorati dell’Est, i populismi innervati di neofascismo che affiorano nel cuore del Continente. E tra le spinte ci sono anche le critiche all’ortodossia di rito renano sui bilanci pubblici che vengono dal Sud dell’Europa, in primo luogo dall’Italia.
Proprio l’Italia in queste ore appare impegnata in una sorta di torneo di braccio di ferro comunitario; non solo e non tanto con la Commissione europea, quanto con gli altri Stati membri dell’Unione. Da parte di Renzi la minaccia di bloccare il bilancio comunitario; da parte di Bruxelles un giudizio sospeso sulla nostra Legge di Stabilità che potrebbe trasformarsi in bocciatura o promozione nei prossimi mesi, ma che in sostanza dà il via libera a gran parte delle richieste di Roma preoccupandosi intanto di non entrare in conflitto con l’ala più rigorista dei Paesi europei.
L’Italia – è un fatto – ha avuto più flessibilità di ogni altro Paese dell’Ue: 19 miliardi per quest’anno e per il prossimo una sostanziale luce verde a passare da un rapporto deficit/Pil che era previsto in origine all’1,4% e che arriverà perlomeno al 2,2%. Sono otto decimi di punto percentuale, che malcontati fanno 13 miliardi di euro. In tutto 32 miliardi di euro in due anni che senza il negoziato con Bruxelles si sarebbero trasformati in maggiori tasse o minori spese.
Dunque ha ragione o ha torto Renzi a chiedere ancora più flessibilità e a mettere sotto tiro ogni giorno l’ottusità di un’Europa che non permetterebbe ad esempio, con i suoi vincoli di bilancio, di mettere le scuole in sicurezza contro i terremoti? Alla luce di quello che l’Italia è riuscita a strappare finora e della evidente strumentalizzazione che il premier fa dei vincoli europei nella sua campagna – disperata e proprio per questo forsennata – per spuntare un voto favorevole al referendum sulle riforme costituzionali, sembrerebbe proprio che stia esagerando. Dall’Europa abbiamo avuto davvero molte concessioni e il problema di un Paese che ha un debito pubblico oltre il 132% del Pil, prima di essere europeo, è un problema tutto nazionale. Ce lo ricorda anche in questi giorni una crescita dei rendimenti dei titoli di Stato nostrani che aumenta rapidamente lo spread con quelli tedeschi e sottolinea così il differente rischio dei due Paesi percepito dagli investitori.
Ma al netto di una tattica che cerca l’affermazione adottando in modo mimetico tecniche, motivazioni e parole d’ordine dell’antipolitica che pure vorrebbe combattere – e che proprio per questo suo carattere di imitazione rischia di risultare particolarmente stucchevole – il messaggio che Renzi manda all’elettorato nazionale e agli altri governi d’Europa ha un suo fondamento.
Dalla crisi finanziaria del 2008 in poi l’Unione pare essersi impantanata: l’insensato abbandono della Grecia al suo destino, con danni collaterali gravissimi, e la cecità colpevole di fronte all’ondata delle migrazioni sono solo due esempi di incapacità di comprendere fenomeni globali o di trovare forma di reazione adeguata. Il guscio delle istituzioni europee rischia davvero di sgretolarsi se l’Unione rifiuta il cambiamento e rimane chiusa e immobile mentre attorno tutto è cambiato o sta cambiando. Per sopravvivere l’Europa dovrà uscire dal guscio e cambiare pelle e in parte natura, come spiega oggi in un’intervista a Repubblica anche l’ex presidente della Commissione Romano Prodi. Che la via della sfida continua di Renzi sia la migliore per ottenere un obiettivo condivisibile come quello del cambiamento, resta tutto da vedere. C’è però da augurarsi che qualsiasi sia l’esito del referendum quell’obiettivo – sperabilmente depurato dalla retorica elettorale – resti in agenda di chi sarà a Palazzo Chigi.