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 2016  novembre 17 Giovedì calendario

Il caffè ristretto

La produzione del caffè si fonda su un’equazione che non torna. Il valore mondiale del consumo «alla tazza», è pari a 200 miliardi di dollari: ai Paesi produttori vanno circa 25 miliardi di dollari e ai coltivatori veri e propri, il primo gradino della filiera, 15 miliardi. Andrea Illy, 52 anni, presidente dell’azienda di famiglia, offre i dati e un commento: «Chiaro, è un modello distorto».
È martedì, 1 novembre, Delegates dining Room, nel Palazzo dell’Onu, a New York. È appena finita la serata della prima edizione del Coffee Ernesto Illy international award, il premio dedicato al padre dei fratelli Andrea, Riccardo, Anna e Francesco. In gara i fornitori di materia prima della Illy provenienti da 9 Paesi: Brasile, Colombia, Honduras, Costa Rica, Nicaragua, Salvador, Guatemala, India ed Etiopia. Un momento per consolidare i rapporti, ma anche l’occasione per ragionare su un settore importante dell’industria agroalimentare italiana e mondiale.
Il profumo di caffè si spande sempre più velocemente nel mondo. In soli 15 anni i devoti di un espresso o un americano, gli amanti della moka o del filtro sono passati da 800 milioni a un miliardo e mezzo. Alla base della piramide ci sono circa 25 milioni di famiglie che coltivano 34 varietà di caffè, in 80 Paesi. Il mercato è diviso in modo netto tra culture, visioni industriali diverse, prima ancora che dai processi di produzione. È uno scenario simile a quello dell’olio o della birra: poche multinazionali che soddisfano la maggior parte della domanda, con prodotti in genere di levatura medio-bassa. Nel settore del caffè il leader si chiama Jab, holding lussemburghese fondata da una famiglia di imprenditori tedeschi: fatturato di 40 miliardi.
In definitiva un po’ meno dei due terzi del totale del mercato rientra in questa categoria: materia prima curata in modo veloce, grandi volumi nella trasformazione, risultato finale ordinario. «In questi casi la torrefazione mantiene i margini più alti di guadagno, anche perché le quotazioni dei semi di caffè sono tra le più volatili in assoluto», commenta Albert Scalla, vicepresidente di Intl FcStone, una delle finanziarie più importanti per il trading di «commodities», cioè materie prime, alla Borsa di New York.
Vivono in un’altra dimensione, invece, i 27 coltivatori invitati da Andrea Illy: «Con molti di loro lavoriamo da 20-25 anni». Ci sono proprietari su larga scala, come Josè Carlos Grossi, più di tremila ettari coltivati a caffè, uno dei più grandi agroindustriali del Brasile. E poi imprenditori come il colombiano Carlos Arturo Lopez che punta molto sul risparmio di acqua e sul contributo delle donne. Ne ha coinvolte 2.300 con varie funzioni nelle diverse fasi della raccolta e della cernita dei semi. O infine, Ahmed Legesse, primo classificato nel concorso Ernesto Illy, produttore ed esportatore etiope che deve convivere con il dirigismo del governo. Le storie di tre figure così diverse per cultura e latitudine convergono su un punto: la ricerca ossessiva della qualità come chiave per vendere i raccolti a un prezzo superiore alla media.
Anche per loro, però, i problemi sono gli stessi: volatilità del prezzo; pressione delle multinazionali. «Ci aggiungo il climate change – osserva ancora Illy – ne stiamo già vedendo gli effetti in diversi Paesi. Alcuni, come il Vietnam, per esempio, saranno avvantaggiati. Altri perderanno posizioni». In questi mesi Andrea Illy ha messo a punto un piano proposto ai grandi produttori e ai grandi trader: «Lo abbiamo chiamato Global arabic plan. Sono previste tre linee di intervento: condivisione della ricerca scientifica per ampliare la varietà dei seminati; fondi per finanziare l’innovazione e il trasferimento delle piante dai luoghi già toccati dal cambiamento climatico; un maggiore coordinamento tra le aziende e tra i Paesi».
Tra queste iniziative spicca la mappatura del genoma: «Stiamo collaborando con aziende italiane, come Lavazza, per identificare altre possibili varietà di caffè». Ibridazioni naturali, niente a che vedere con gli organismi geneticamente controllati. Obiettivo in prospettiva: raddoppiare il numero dei consumatori, fino ad arrivare a 3 miliardi. Per Andrea Illy si può fare: «Beh, ora anche i cinesi si stanno appassionando alla tazzina, quindi...».