Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 16 Mercoledì calendario

Da Mosca le prove
 di un nuovo
 ordine internazionale

È bastata una settimana a Vladimir Putin per prendere le misure del nuovo mondo che si annuncia con Donald Trump alla Casa Bianca. Non sappiamo cosa sia siano detti i due leader nel primo, non breve, colloquio telefonico. Ma sta di fatto che ieri mattina da Mosca sono arrivate due notizie: il potente ministro dello Sviluppo economico Alekseij Uliukaev era stato arrestato mentre incassava una super tangente intanto ad Aleppo l’aviazione russa aveva intensificato i raid aerei come non accadeva da giorni. Due avvenimenti senza alcun rapporto l’uno con l’altro se non che sembrano entrambi segni premonitori di una nuova stagione nell’ordine internazionale.


Non ci sono commenti americani, né ci potrebbero essere dal momento che la politica vive a Washington in quel periodo di sospensione che divide il voto nazionale dalla vera e propria elezione del nuovo presidente che avverrà nel Congresso a gennaio. C’è un leader in funzione che non è più tale e un nuovo che non lo è ancora. Ma il «cambio» che segna l’esito di queste elezioni è così marcato che rende febbrili le reazioni ad ogni minimo segnale che esce dall’entourage di Trump. È per questo che la telefonata con Putin, immediatamente divulgata, si può considerare il primo gesto di politica estera del futuro presidente.

Anche i russi, naturalmente, l’hanno interpretato come tale. Il portavoce del Cremlino ha subito sottolineato il comune impegno nella lotta «contro il terrorismo» che tradotto dal codice significa via libera a quella che ieri è poi stata definita dal ministro della Difesa Sergej Shojgu una «vasta operazione militare in Siria». Va da sé in appoggio alle truppe di Assad. 

Un sincronismo troppo perfetto che può avere due significati. O l’azione è stata concordata tra i due leader o è Mosca che ha preso l’iniziativa a poche ore dal colloquio tra i due presidenti per accreditare l’inizio di una nuova stagione nei rapporti Usa-Russia. Difficilmente sapremo la verità, ma un fatto è chiaro: Putin agisce con rinnovata determinazione. In Medioriente e in casa. Da questo punto di vista è persino più interessante l’arresto del ministro Uliukaev, un potentissimo del regime, avvenuto in circostanze romanzesche. Agenti dell’Fsb (quello che una volta chiamavamo Kgb) dopo averlo controllato e intercettato per mesi si sono camuffati da faccendieri tangentisti e l’hanno messo in trappola. L’agenzia governativa Ria-Novosti non ha trattenuto l’entusiasmo: «Preso con le mani nel sacco». Lo sfondo è una di quelle operazione finanziarie con cifre da capogiro: 5,2 miliardi di dollari per l’acquisizione del sesto produttore nazionale di petrolio, la Bachneft, da parte del colosso statale Rossneft. 

Al di là del merito, il timbro politico dell’avvenimento è enorme. Per quanto il portavoce del Cremlino Peskov si mostrasse sorpreso dalla notizia, ieri mattina, nessuno a Mosca dubita che un ministro del peso di Uliukaev possa essere arrestato senza che il presidente ne sia informato. Non accadeva dai tempi di Stalin. I cremlinologi ci spiegano che si tratta di una nuova edizione dell’eterna lotta tra falchi conservatori e i moderati, tra i quali figurava l’arrestato. È come se l’arrivo al potere di Donald Trump si stia trasmettendo come un’onda di energia sulle destre di tutto il mondo. È presto per dirlo. Quel che sembra certo è che per ora, a Mosca, al centro del gioco c’è Vladimir Putin.