la Repubblica, 16 novembre 2016
Superdollaro: Il traguardo della parità è sempre più vicino l’euro ha perso il 2,4% in una settimana
ROMA Il prossimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ama farsi fotografare su troni dorati che ricordano quelli dei monarchi assoluti.
Ma le elezioni della scorsa settimana potrebbero aver incoronato anche un altro sovrano, questa volta sul mercato dei cambi: gli investitori sembrano infatti scommettere su un ritorno del “Re dollaro”, il biglietto verde forte che durante gli anni ’90 aveva regnato incontrastato su tutte le valute.
Da mercoledì in poi, il dollaro ha guadagnato oltre il 2 per cento nei confronti di un paniere composto dalle altre principali monete. Nello stesso periodo, l’euro ha perso il 2,4 per cento, portandosi a 1,07 dollari, il livello più basso di quest’anno. Molti analisti pensano che questa discesa della moneta unica sia destinata a continuare: George Saravelos di Deutsche Bank ha scritto in una nota di ricerca che il biglietto verde è destinato a raggiungere e poi superare la parità con l’euro nel corso del 2017.
Il rafforzamento del dollaro è legato prima di tutto alla prospettiva di una manovra di bilancio espansiva da parte di Trump. Il tycoon ha promesso nel suo programma elettorale una forte riduzione del carico fiscale sulle imprese, che farebbe scendere l’aliquota dal 35 per cento al 15 per cento. A questa manovra si dovrebbe accompagnare un piano che punta a mobilizzare capitali privati per rilanciare le infrastrutture, un’idea a cui Trump ha fatto riferimento nel suo primo discorso da vincitore.
La frustata trumpiana arriverebbe in un momento in cui l’economia Usa è già in piena fase espansiva e contribuirebbe quasi sicuramente a far salire l’inflazione dal livello attuale di 1,5 per cento. Di fronte al rischio di un’accelerazione eccessiva dei prezzi, la US Federal Reserve, guidata da Janet Yellen, avrebbe difficoltà a far finta di nulla: dopo un primo rialzo dei tassi d’interesse che molti investitori si aspettano già a dicembre, la Fed potrebbe optare nel corso del 2017 per una stretta monetaria più forte del previsto. Questo porterebbe a una nuova accelerazione del dollaro rispetto allo scenario attuale, che contempla una risalita dei tassi molto graduale.
Infine, la crescita del greenback potrebbe essere ulteriormente rafforzata se le aziende americane decidessero di approfittare del taglio delle tasse per riportare in patria almeno una parte degli oltre 2500 miliardi che detengono all’estero. Secondo Steven Englander della banca Citigroup, circa il 20 per cento di questi capitali è in valuta straniera: la loro conversione in dollari contribuirebbe a spingere ancora più in su la moneta americana.Un dollaro più forte renderebbe più cari i prodotti che il resto del mondo importa dagli Usa, contribuendo a una “reflazione” globale. Il ritorno dell’inflazione potrebbe essere una buona notizia per la Banca centrale europea e la Banca del Giappone che da anni vedono la crescita dei prezzi languire a livelli ben inferiori al loro obbiettivo.
Al contrario, un rafforzamento improvviso del biglietto verde rischia di essere un disastro per i mercati emergenti, che si confronterebbero con una fuga di capitali e una violenta svalutazione delle loro valute. Da mercoledì, Colombia, Sud Africa e Brasile hanno visto le loro monete perdere tra il 5 per cento e il 10 per cento nei confronti del dollaro. Il peso messicano si è deprezzato di quasi il 12 per cento, anche per la paura che eventuali misure protezioniste da parte di Trump possano obbligare le aziende americane a chiudere le loro fabbriche a sud del Rio Grande.
La risalita del dollaro sta provocando anche grande turbolenza nel mercato delle obbligazioni, con gli investitori che chiedono rendimenti più alti per compensare il ritorno dell’inflazione. Questo trend potrebbe portare a un’ondata di default, soprattutto tra quelle aziende che si sono indebitate in dollari, con rischi per la stabilità finanziaria globale.
Nell’immediato, un rafforzamento del dollaro rispetto all’euro renderebbe le aziende italiane più competitive. Prometeia Associazione, il centro studi della società di consulenza, ha calcolato per Repubblica che un’eventuale parità fra le due valute nel 2017 aggiungerebbe meccanicamente 0,4 punti percentuali alla crescita italiana, in virtù di maggiori esportazioni e investimenti. Allo stesso tempo, però, l’inflazione sarebbe di circa 0,5 punti percentuali più alta, riducendo i consumi.
Questi effetti per lo più positivi si ridurrebbero col tempo. Oxford Economics ha stimato per Repubblica che già nel 2018 l’aumento dell’inflazione avrebbe effetti negativi sulla competitività oltre che sulla domanda interna, riducendo la crescita. Inoltre, l’accelerazione dei prezzi porterebbe quasi certamente la Bce a limitare il suo stimolo monetario, con effetti depressivi su consumi e investimenti.