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 2016  novembre 16 Mercoledì calendario

Giornalismo, prima di ogni cosa

Come accade talvolta, la ragione principale – di sottofondo – che percorre un libro può essere rintracciata nel «capitolo che non c’è». Perché i fatti sono accaduti dopo, a stampa già conclusa. In questo caso si tratta della vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane. Sicuramente per Raffaele Fiengo, che oggi insegna Linguaggio del giornalismo all’Università di Padova e che per quarant’anni è stato giornalista del «Corriere della Sera» con ruolo di punta nelle asperità della rappresentanza sindacale, ciò che è accaduto negli Stati Uniti conferma la chiave di lettura del suo appassionato lavoro, a metà fra narrazione e inchiesta, che sarà in libreria a partire da domani: Il cuore del potere, e cioè il racconto insider del «Corriere», edito da Chiarelettere, che diventa anche storia del nostro Paese e riflessione sul giornalismo.
E in effetti il resistente filo che lega l’America di Trump e la lunga marcia del giornale di via Solferino, al centro di «appetiti» palesi e occulti, economici e politici, ma sempre in grado anche di manifestare anticorpi e indipendenza, è ciò che Fiengo scrive nel «codicillo» di conclusione: «Pubblico adesso questo libro perché è diventato chiaro che senza il giornalismo autentico la democrazia non funziona».
Vincono populismo e rifiuto delle élite, viene sconfitto (come nella Brexit) il voto più metropolitano e istruito. L’affermazione journalism-first è punto di partenza, ma risultato non scontato, tanto è vero che Fiengo parla di «giornalismo che non c’è», o meglio che c’è «solo episodicamente». Perché l’indipendenza e la qualità della professione sono messe a dura prova e vanno difese dai «meccanismi meno visibili dei poteri interni all’informazione». Per riconoscere i quali, nelle diverse forme che nel tempo assumono, è utile guardare al passato così come al presente.
Ed ecco perché Fiengo si «avventura» nella narrazione delle lotte per il potere e per l’indipendenza che al «Corriere della Sera» hanno incrociato momenti drammatici, oscuri e decisivi della Repubblica. Via Solferino cuore del potere ma anche riflesso, protagonista e stakeholder della società. Il giornalista, che i suoi antagonisti hanno chiamato il capo del «Soviet del Corriere», ha l’«onere-privilegio» di poter svolgere un racconto dal di dentro, con episodi e documenti inediti, e con chiavi di lettura che in un organismo complesso e controverso qual è il giornale hanno trovato e troveranno condivisione e contrapposizione.
I meccanismi del potere si insinuano in svariati modi. Così, scrive Fiengo, dopo la bomba di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 il giornale segue la pista anarchica e non pubblica la notizia che le borse usate per l’attentato erano state vendute a Padova. Nel 1970 scompare nell’edizione definitiva la rivelazione che quello del treno Palermo-Torino a Gioia Tauro è un attentato e non un incidente. Nel 1972 l’azionista principale Giulia Maria Crespi sostituisce alla direzione Giovanni Spadolini con Piero Ottone. Il quale pubblica i testi di Pier Paolo Pasolini ma conserva nel cassetto per 40 giorni l’ Io so sui presunti crimini impuniti del governo.
Nel 1974 la Crespi lascia la proprietà del «Corriere» e arriva Angelo Rizzoli. Che firma con la Montedison di Eugenio Cefis l’impegno (rintracciato dal giornalista anni dopo fra le carte riservate della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2) a nominare il responsabile dell’economia in «persona gradita» al gruppo chimico. E poi l’Ambrosiano di Roberto Calvi e la P2. «Il giorno in cui arrivarono Gelli e la P2 non ce ne accorgemmo», scrive Fiengo. L’intervista di Maurizio Costanzo al Venerabile massone è dell’ottobre 1980, ma la P2 conquista spazio ed editoriali in modo crescente dal 1976. «Questi editoriali, nella loro gravità, li abbiamo capiti solo a scandalo esploso». Cioè dopo la scoperta nel marzo 1981 della lista dei 963 iscritti alla loggia. La tempesta sconvolge tutto il Paese, e il «Corriere» ne è al centro. Un percorso difficile, duro, porta all’uscita del direttore Franco Di Bella, alla sostituzione con Alberto Cavallari e quindi al passaggio della guida a Piero Ostellino prima e poi a Ugo Stille.
Fiengo si sofferma molto sugli anni targati P2, anche perché, al «Corriere» come nel Paese, rappresentano l’insinuazione e l’affermazione più forte di un potere occulto. Ma anche in quegli anni, e in successivi «assedi» politici ed economici, il giornale dimostra gli anticorpi. Come scrive nell’introduzione Alexander Stille, figlio di Ugo e professore di giornalismo alla Columbia University, «considerate le lotte di potere avvenute per il controllo di via Solferino, è un miracolo che da lì sia uscito tanto buon giornalismo, tanta informazione corretta, e ciò grazie agli sforzi di tanti giornalisti interessati soprattutto a fare bene il proprio lavoro».
I meccanismi dei poteri interni all’informazione sono oggi meno occulti, ma sicuramente restano poco visibili. Partendo soprattutto da esempi tratti dal mondo anglosassone Fiengo, che descrive il giornale (quotidiano o settimanale che sia) come un campo di forze organizzate (dalla proprietà alla redazione, comprendendo oggi i social network), si sofferma soprattutto sui cambiamenti strutturali che accompagnano l’ascesa del marketing e della pubblicità nativa, l’alleanza fra comunicazione e informazione. L’autore non appare ottimista e insiste sulla difesa del giornalismo indipendente e di qualità. Cita due estremi. Uno spot della Coca-Cola che sembra nato da un’inchiesta sullo sfruttamento degli emigrati pakistani e indiani a Dubai. E le regole di Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, per rimettere in carreggiata il «Washington Post»: in sostanza il passato è (pro capite) «somme grandi-pochi lettori», il futuro è «piccole somme-molti lettori». E annota: questo è anche il «miracolo» compiuto, per giunta sulla carta, da «la Lettura», il settimanale di cultura del «Corriere». Il giornalismo è dunque possibile. «Purché come l’acqua raggiunga l’ultimo campo di riso. Come dicono a Bali». E ciò non è successo né in Gran Bretagna né in America.