Il Messaggero, 15 novembre 2016
Dal tuffatore agli hooligans la giustizia è troppo leggera
ROMA «I am Jesus Christ, risen from the dead!»: è il 21 maggio del 1972 quando l’australiano Laszlo Toth entra prepotentemente nella storia dell’arte e nei casellari giudiziari conquistando il titolo di vandalo più famoso del mondo. «Sono Gesù Cristo, risorto dalla morte», urla, mentre colpisce con quindici martellate la statua della Pietà, danneggiando in particolare la Vergine. Uno shock planetario, tanto che da quel momento l’opera d’arte verrà protetta da una parete di cristallo antiproiettile.
Lazlo è uno dei più famosi, la notizia ha fatto il giro del mondo, anche se ce ne erano stati altri prima di lui. L’elenco dei vandali e dei folli deturpatori è diventato ogni giorno più lungo, anche perché raramente l’esito giudiziario ha prodotto qualche risultato. Molto spesso, infatti, si tratta di psicolabili e, per questa ragione, non processabili. Altre volte, invece, lo scempio si è consumato per inciviltà, per spacconeria. E la giustizia, quando il responsabile viene individuato, riesce a imporre pene decisamente poco severe, praticamente nulle. Il reato che viene contestato è quello previsto dall’articolo 635 del Codice penale e riguarda il danneggiamento aggravato, con condanne dai 6 mesi ai 3 anni di carcere.
L’ARRINGA
Ma la storia recente non sembra aver registrato sentenze esemplari. Chi non ricorda l’arringa difensiva dell’avvocato Aldo Ceccarelli, scomparso da qualche anno? In aula a spiegare le ragioni che avevano portato il suo assistito, Sebastiano Intili, a tuffarsi dalla Fontana dei Fiumi del Bernini, in piazza Navona, ha sostenuto: «Vostro onore, la statua si è rotta perché era fracica, non è stata colpa di Intili. Poteva anche spaccarsi il cranio. Però il Signore, lassù, lo ha protetto». Un quarto d’ora di camera di consiglio: tre mesi di reclusione con la condizionale, il risarcimento dei danni al comune di Roma da liquidare in separata sede, e due milioni e 80 mila lire di spese processuali. Assoluzione per non aver commesso il fatto per Giovanni Pisano e Mario Giorgini, gli altri due che erano con lui.
Più di recente sono stati i tifosi olandesi del Feyenoord a mettere a rischio la salute della Barcaccia di piazza di Spagna. Sono stati arrestati, scarcerati, con l’impegno da parte dell’Olanda di processarli a casa loro. È arrivata una pena a pochi mesi e la storia è finita così. Nel frattempo, l’appuntamento dei vandali con le fontane è proseguito: la Fontana delle Api nel 2004, la Fontana della Navicella nel 2005, la Fontana della Barcaccia nel 2007, la Fontana dei Navigatori nel 2010, la Fontana del Moro nel 2011. E in questo lungo elenco di serial killer dell’arte non sono mancati i casi di pittori falliti o di pseudo artisti in cerca di visibilità. Come Pietro Cannata, diventato pericoloso attentatore seriale per puro esibizionismo: ha preso nel 91 a martellate il David di Michelangelo distruggendogli un dito del piede. La giustizia non ha potuto punirlo perché Cannata non era in sé. Mentre ha avuto una condanna a otto mesi il sedicente post-futurista Graziano Cecchini. Nel 2007 ha versato del colorante rosso nell’acqua della Fontana di Trevi provocando il panico fra i turisti e il timore di un serio danneggiamento al meraviglioso bacino di marmo. Per fortuna il colorante di anilina non ha provocato alterazioni, anche se ci sono voluti parecchi soldi per ripulire quell’inutile, narcisistico sfoggio di artistica bravura.