Affari & Finanza, 14 novembre 2016
Di fronte ai diktat della Bdi anche la Merkel s’inchina
Berlino A metà degli anni Novanta, quando l’Italia stava correndo per entrare nell’euro, a convincere la riluttante Germania furono soprattutto gli industriali tedeschi, ansiosi di conquistare i mercati del Sudeuropa che campavano sulle svalutazioni competitive. L’euro è anche merito della loro impazienza, premiata dal mostruoso surplus commerciale che la Germania incassa ad oggi, anche grazie alla sparizione delle lire, delle pesetas e delle dracme. Ma da sempre il Bdi, la Confindustria tedesca, è abituata ad agire dietro le quinte. Non ha un giornale, e, con pochissime eccezioni, non ha presidenti con ambizioni politiche (l’ex numero uno Henkel è stato tentato da movimenti ultra conservatori e oggi milita in “Alfa”, il mini partito dei sopravvissuti della prima secessione da Afd, ma è l’eccezione che conferma la regola).
Sulle scelte strategiche del governo, tuttavia, è evidente il peso del Bdi e delle 37 potentissime associazioni che rappresenta, a cominciare da quella dell’automobile (che va a difendere i propri interessi direttamente in cancelleria, quando serve). Il tradizionale corporativismo tedesco, come lo chiamano gli economisti, sta anche in questo. Le imprese del Made in Germany sanno fare sistema, anche al loro interno, grazie al modello della cogestione e a un sindacato non conflittuale che gli consente di superare anche le crisi più nere trovando rapidamente accordi.
Ma anche l’ascendente del Bdi e delle sue associazioni su Berlino è evidente. Ad esempio sulle politiche ambientali di Angela Merkel, che ha sempre ambito ad essere la “Klimakanzlerin”, la cancelliera del clima, sui palcoscenici dei grandi accordi internazionali. Ma guai a varare leggi europee che compromettano il fatturato dei big dell’auto: su questo non ha avuto remore a presentarsi a Bruxelles con l’elmetto per difendere Porsche o i grandi marchi svevi e bavaresi dai paletti del Co2.
Da uno scandalo del 2011 si capisce quanto pesi il Bdi: in autunno il ministro dell’Economia liberale Bruederle si affrettò a rassicurare gli industriali che la moratoria sul nucleare sarebbe stata temporanea, roba da campagna elettorale. La frase detta a porte chiuse uscì su un giornale, il direttore generale del Bdi Schnappauf fu costretto a dimettersi. Ma che tra il governo e l’industria più potente d’Europa ci sia un “incesto” come titolarono alcuni giornali scandalizzati, è un po’ il segreto di Pulcinella.