14 novembre 2016
In morte di Enzo Maiorca
Felice Cavallaro per il Corriere della Sera SIRACUSA Se ne è andato come tuffandosi per l’ultima apnea della sua vita Enzo Maiorca, il «re degli abissi», cosciente che il cuore non fosse più quella roccia che gli aveva consentito immersioni da record. Prove spettacolari cominciate nel 1960, giù fino a 45 metri, battendo il brasiliano Amerigo Santarelli. Poi continuando per 16 anni, fino al 1976. Con un gran ritorno sulla scena nel 1988, accanto alle figlie Patrizia e Rossana, due campionesse capaci con il padre di scendere nel profondo blu fino a 101 metri.
Adesso una lunga fila si raccoglie davanti alla camera ardente, nel municipio della sua Siracusa, e arrivano da tutto il mondo attestati di cordoglio per il fuoriclasse che la figlia Patrizia ricorda, lei bambina, a metà degli anni Sessanta in una trasferta per la rassegna subacquea di Ustica. Ancora incantata da quel nitido ricordo sui tuffi, sulla scoperta degli abissi, sulle gare del padre con Jacques Mayol, il francese morto suicida all’Elba, grandi rivali di una storia che sullo scenario della Grotta Azzurra si scriveva la sera in piazza con la conduzione di un giovanissimo Pippo Baudo, fra concorrenti poi acquietati davanti allo schermo per le riprese marine di Folco Quilici.
Erano i ragazzi del mare, ancora a caccia di cernie con tridenti appuntiti, pionieri di un’avventura che Maiorca cominciò indossando una maschera subacquea fatta in casa, trasformando la fascia superiore di un residuato bellico, di una maschera antigas.
Lo raccontava un po’ pentito evocando spezzoni di una vita da prima pagina nella sua casa di Ortigia, il giardino di pietra dove con la moglie Maria fino a pochi mesi fa amava passeggiare fra i palazzi barocchi affacciati sul mare, lo sguardo verso Sud, verso il Plemmirio, la riserva marina istituita anche grazie al suo impegno, alle sue battaglie.
Adesso, ripercorrendone la biografia, forse non ci si può fermare alla sua incursione nella politica attiva, candidato eletto al Senato con An nel 1994. Perché, come sottolineano tanti esponenti dei Verdi, il rispetto per il mare risale al 1967, quando abbandona in cantina il fucile subacqueo. Dopo la caccia a una cernia ferita.
«L’arpione sulla sua pancia, il cuore che pulsava, la bestia terrorizzata...», raccontava sgomento. Fu l’ultima volta. E cominciò a guardare il mare con occhio diverso. Fino ad una sorta di endorsement per i Verdi nel 1989 quando, sotto la spinta del pacifista Alex Langer, rivelò cosa vedeva in profondità: «Tutti parlano degli scogli che il petrolio lista a lutto, ma giù è peggio. Ci sono grotte che crollano perché corrose dagli acidi versati dalle industrie. Intere vallate sottomarine colme di sacchi di spazzatura. Cernie con le branchie intasate da ragnatele di catrame...».
Ecco il fronte sul quale avrebbe voluto Maiorca come sponsor l’avvocato Pucci Piccione, il presidente del Comitato per 2.750 anni di Siracusa, traguardo vicino in una città che però amareggiava il suo campione, deluso da guerre politiche approdate in commissione Antimafia.
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Maurizio Crosetti per la Repubblica
Enzo Maiorca aveva occhi di mare. Ecco, quel blu. E aveva polmoni immani o forse branchie: come dimenticare il soffio da cetaceo che accompagnava la sua celebre iperventilazione prima del balzo nell’abisso, appeso al piombo e a un destino? Era il verso di una misteriosa creatura marina, l’uomo pesce che cattura tutta l’aria possibile per farne tesoro e scorta nelle profondità di un altro record.
L’Italia intera ne venne scossa il 22 settembre 1974, quando nelle acque della baia di Ieranto, sulla costiera sorrentina, Maiorca tentò la grande impresa in diretta tv: raggiungere i 90 metri di profondità. Il rito quasi sacro, la sua muta nera, quei soffi da orca assassina, la mano che tappa il naso e poi giù, sotto, fino in fondo. Ma dopo neanche 20 metri, l’uomo pesce sbatte contro un subacqueo che sosta in doppia fila e deve riemergere, furibondo. «Voglio sapere chi è quello stronzooo!» comincia a urlare nei microfoni Rai del pio Bernabei, e smoccola un paio di bestemmie prima che l’audio come per magia svanisca. Di lì a poco, il nome del malcapitato sub prende forma: si tratta di Enzo Bottesini, noto al grande pubblico perché ex campione di Rischiatutto e a mollo come inviato Rai. Se lo avessero consegnato subito a Maiorca, dopo la prima parolaccia in televisione forse avremmo avuto anche il primo omicidio.
Nell’epopea di Enzo Maiorca resta questo l’evento più mediatico, incancellabile, ma il grande personaggio che ci ha lasciati ieri a 85 anni era ben altro. Era, intanto, un atleta formidabile e un agonista irriducibile, ai limiti dell’ossessione: cominciò nel 1960 duellando a distanza col brasiliano Amerigo Santarelli, strappando e perdendo primati a meno 45 metri (lui), poi a meno 46 (l’altro) e a meno 49 (di nuovo lui), e finì nel 1976 contro l’altro suo epico rivale, il francese Jacques Mayol che infine raggiunse i meno 105 dove c’è solo silenzio e nulla. Maiorca era l’atleta, Mayol il filosofo, il guru. Due alpinisti al contrario che cercavano nel fondo, e di più nel profondo, la vera essenza di loro stessi. Mai come nel 1988, quando alla bella età di 57 anni Maiorca si spinse fino a 101 metri, lo fece per le sue figlie Patrizia e Rossana, quest’ultima morta di cancro nel 2005, anche loro campionesse mondiali di apnea. Una famiglia che ci portò il mare in casa.
Eppure non basta ancora, non era solo la ricerca di un limite da superare. Enzo Maiorca era soprattutto un romantico innamorato del mare, che adorava e difendeva. Abbandonato per sempre il fucile subacqueo nel 1967, dopo una sorta di corpo a corpo con una cernia ferita («Sentii pulsare il suo cuore, non potevo disporre così della vita di un’altra creatura»), Maiorca divenne un paladino del Wwf e si battè contro la pesca a strascico sotto costa, le trivellazioni nel Canale di Sicilia, il ponte sullo Stretto e soprattutto le spadare, quelle reti alte, lunghe chilometri (e oggi vietate) per la pesca dello spada che portavano via tutto, anche delfini e tartarughe marine, facendo strage. Diventò vegetariano e divulgò la cultura del mare. Ancora lo ricordano nella piscina della Cittadella di Ortigia, mentre macinava vasche su vasche in apnea davanti ai bambini che guardavano stupefatti l’uomo pesce.
«Non ho mai amato la corsa ai record, ma devo ammettere che Enzo era una bravissima persona e il mare l’aveva ben capito», spiega Folco Quilici. «È stato un grande campione e un prodigio atletico, direi un fenomeno naturale ». Il suo volto e il suo corpo statuario sembravano usciti dall’Odissea, e questo in fondo era Enzo Maiorca: uno stralunato eroe omerico nelle onde di un presente senza tempo, capace di scrivere 5 libri e ispirare un film di Luc Besson, Le grand bleu, poi di sedersi per 5 anni in Senato (con An) e raccontare di uno dei giorni più belli della sua vita: quando, con le figlie, riuscì a salvare un delfino intrappolato in una spadara. Tutto il resto è acqua di mare, un’avventura a fiato sospeso, il suo e di quelli che lo hanno seguito, amato e imitato, intere generazioni di apneisti nella scia del più grande, laggiù in fondo al silenzio e alla solitudine, prima di tornare a colpi di pinne verso l’aria e la luce.
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Fabio Albanese per la Stampa
Il mare, diceva, gli faceva paura. Ma era quel modo tutto siciliano di portare rispetto a chi si vuole bene davvero. Perchè Enzo Maiorca, morto all’alba di ieri a 85 anni nella sua Siracusa, il mare lo amava, ricambiato, di un amore sincero e incondizionato. Le sue sfide nelle profondità, quelle che per i record di immersione in apnea gli avevano fatto guadagnare l’appellativo di «signore degli abissi», erano traguardi di vita.
Nel mare Maiorca aveva imparato a viverci da bambino. Una passione che aveva trasmesso a tutta la famiglia, a cominciare dalle figlie Rossana e Patrizia, anche loro atlete da record nelle immersioni in apnea; furono loro nel 1988 a convincerlo a riprendere, a 57 anni, le immersioni dopo anni di fermo e lo spinsero verso il suo più importante record: -101 metri. Poi Maiorca smise di tentare record ma non di occuparsi del mare, «la mia seconda casa», da ambientalista convinto e, dal ’94 al ’96, anche da senatore per An. Aveva dovuto subire pure il grande dolore di veder morire di cancro la figlia Rossana, nel 2005. La gente, erano gli Anni 60 e ’70, lo amava e lo ammirava per quelle imprese ai limiti dell’impossibile, record raggiunti per 17 volte: il primo nel 1960, a -45. Celebri le sue sfide con Jacques Mayol e con il cubano Pipin. Tanti ancora ricordano la sua ira, diventata bestemmia, in diretta tv, quando nel 1974, tentando i -90, a 20 metri andò a sbattere contro il sub e telecronista Rai Enzo Bottesini, popolare ex campione di «Rischiatutto».
Da ieri pomeriggio, per l’omaggio della sua gente, la salma di Enzo Maiorca è a Palazzo Vermexio, nel cuore barocco di Ortigia, nella stessa sala dove nel 1991 fu allestita la camera ardente di un altro grande siracusano dello sport, l’arbitro Concetto Lo Bello. Domani i funerali nella vicina Cattedrale ma la sua «benedizione» Maiorca l’ha avuta per tutta la sua vita. Lo diceva sempre: «In mare si trova Dio».