Libero, 13 novembre 2016
«Così il jihadista seduce le nostre donne»
Saggio, consigliere, guida spirituale, interprete autorevole delle scritture sacre, ma anche magistrato, ago della bilancia nel regolare dissidi familiari e non, esperto delle leggi e degli affari economici della comunità. La figura dell’imam è tanto complicata quanto caotica è la cultura che rappresenta, ossia quella musulmana, che non conosce la distinzione tra Stato e Chiesa e per la quale politica e religione sono indissolubili.
«L’imam è per sua stessa vocazione un fondamentalista, nel senso che deve essere pienamente cosciente del suo ruolo», dichiara Vincenzo Cotroneo, analista e advisor di Stam Strategic & Partners Group ltd, esperto di cultura islamica e docente nell’ambito del master in intelligence presso l’Università della Calabria, il quale ritiene che non esista un islam moderato, perché «il concetto di moderazione, in riferimento alla religione musulmana, è stato inventato da noi occidentali per darci tranquillità». Tuttavia, secondo l’esperto, non tutti gli imam sono pericolosi.
Quelli che devono preoccuparci sono soprattutto gli imam che si autoproclamano, alcuni dei quali molto giovani. Questi si preparano da autodidatti attraverso internet, dunque non seguendo il percorso di formazione all’interno delle università islamiche, spesso sono oratori capaci, dotati di forte carisma. Imam con questo profilo, qualora dovessero legarsi alle organizzazioni terroristiche, orienterebbero la loro predicazione all’odio religioso verso le altre fedi e alla guerra, con l’obiettivo del reclutamento di nuovi soldati per la Jihad, offrendo attrattive di riscatto sociale ai giovani emarginati.
Ipotesi del tutto realistiche se si considera che numerose sono state anche in Italia, soprattutto in Lombardia, Emilia, Sardegna e Puglia, le espulsioni di imam che rappresentavano un presidio dei terroristi in territorio europeo.
IN ITALIA
«Ne abbiamo ancora tanti sul suolo italiano e alle nostre porte, soprattutto in Bosnia e in Albania, e sempre più vicini alle scuole di pensiero radicale», afferma Cotroneo.
Ci si chiede allora se la concessione di aree nelle città italiane per la costruzione di moschee sia un atto politico di imperdonabile leggerezza.
È convinto Cotroneo: il vero rischio è consentire ancora la proliferazione e la sussistenza di luoghi di culto e centri culturali clandestini, che spesso sorgono in garage abbandonati o nei sottoscala.
Secondo il docente, la concessione di aree deputate alla preghiera e all’aggregazione risponde anche alla nostra esigenza di tutelarci dai rischi connessi al terrorismo. Ma a due condizioni imprescindibili: la prima è che vengano fatti dei controlli e che sia svolta continua attività di monitoraggio; la seconda è che gli imam predichino in lingua italiana.
Tutto questo porterebbe alla istituzionalizzazione della figura dell’imam, impedendo così che chiunque possa proclamarsi tale e seminare odio in sordina.
«Se è vero che l’islam non ha nulla da nascondere ed è una religione pacifica, allora è giusto che venga tirata fuori dai sottoscala e si mostri per quello che è», commenta Cotroneo non senza provocazione.
MONDO CHIUSO
In questo modo, anche l’attività delle forze dell’ordine nonché dell’intelligence verrebbe agevolata, in quanto risulta estremamente complicato infiltrare agenti all’interno della comunità musulmana, proprio per la sua estrema complessità. Tanto vale fare tutto alla luce del sole.
Tuttavia, concedere tanto spazio a chi si sente persino offeso dall’esposizione dei nostri simboli religiosi non è un po’ abdicare alla nostra stessa cultura?
Non lo nega Cotroneo: «In Europa domina uno strano senso di paura di cui non si capisce l’origine. È come se avessimo timore di fare valere le nostre radici cristiane».
È un atteggiamento che viene interpretato come debolezza. «Le organizzazioni terroristiche parlano dell’Occidente come di una società ormai in piena decadenza, incapace di reagire e piena di paura», spiega il docente. In pratica, un società facile da annientare.
Nell’opera di propaganda portata avanti dall’Isis ci si accanisce soprattutto nella demolizione dell’uomo occidentale-europeo. Egli viene descritto come un soggetto «femminilizzato», che ha perso ogni carattere tipico della mascolinità, debole, incapace di essere al pari delle donne nella gestione della famiglia, non ha dimestichezza nell’uso delle armi, vive solo, non ha prole, non si sposa, frequenta gli istituti di bellezza. Tale iconografia risponde all’obiettivo di attirare dall’Europa quante più donne possibili in cerca del loro principe azzurro musulmano: combattente, forte, maschio, amante della famiglia, quasi un supereroe mosso da alti valori morali, il quale si sostituisce al superuomo europeo ormai in declino.
E non sono poche le donne musulmane europee che attraverso organizzazioni che gestiscono gli incontri, insomma delle «agenzie matrimoniali» legate all’Isis, coronano il loro sogno d’amore. O il loro incubo.
RECLUTATE
«La partenza di giovani donne dai 15 ai 28 anni dagli Stati Uniti, dall’Austria, dall’Inghilterra, dall’Italia, dalla Scozia, dirette nei territori controllati dall’Isis dimostra come le organizzazioni terroristi che stiano cercando non solo mogli, ma anche professioniste come medici, infermiere, commercialiste e ingegnere, spinte a costruire una nuova società nelle ampie zone di Iraq e Siria», spiega l’esperto.
Shamima Begum, 15 anni, Kadiza Sultana, 16, Amira Abase, 15, inglesi; Aqsa Mahmood, 20, scozzese, adesso alla guida di un’unità di polizia femminile che gestisce anche uno dei bordelli del Califfo; Samra Kesinovic, 17, e Sabina Selimovic, 16, austriache; Maria Sergio, 27, di Torre del Greco, solo per citarne qualcuna.
Molte di queste donne, come hanno raccontato le loro famiglie, avevano da poco iniziato a frequentare assiduamente le moschee.