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 2016  novembre 13 Domenica calendario

Soltanto i veri geni ti lasciano libero di avere dei dubbi

La domenica è anche il giorno delle domande. Non solo quelle sul referendum, spero. Ma quelle che vorremmo evitare e ci saltano addosso. C’è bisogno di dire quali? Mi vergogno persino a esprimerle, tanto sono sopra il mio mestiere di gazzettiere ormai attempato. Mica sono Scalfari, che ha il Papa a disposizione. 
Constato che
il mondo è pie-
no di maestri
che si atteggia-
no a profeti in
grado di fornir-
ci il bigliettino con la risposta
sul futuro nostro e dell’umanità. Non mi riferisco qui ai preti, i quali sono dotati di Vangelo, ma a chi si sente più intelligente persino di Gesù Cristo e non ammette i limiti connessi al nostro essere “pulvis et umbra” come scriveva di noi umani Orazio ma anche la Bibbia. Invece per fortuna al mondo esistono alcuni che non dimenticano questa sentenza inesorabile, ma nello stesso tempo non si accontentano (Icaro). Eviterò altre citazioni libresche. Ma un paio di nomi di chi ha incarnato e incarna questa essenza del genio umano li ho in mente. Li dico subito: Remuzzi e Veronesi. Qualche volta consola appartenere alla razza umana invece che a quella dei gatti o dei cavalli. Poi mi passa. Ma intanto ne godo per qualche attimo. 
Ho tra le mani il volume Siamo geni. Uno straordi-
nario viaggio nel corpo
umano in 44 brevi lezioni (Sperling & Kupfer, p.
198, €16). L’autore è Giuseppe Remuzzi, un medico-scienziato che è tra gli uo-
mini più colti e sapienti in circolazione. Vi invito a ripe-
tere questa mia esperienza. Frequento questo professore bergamasco, assoluto asso mondiale nel campo della nefrologia, da tempo, ma queste sue spigliate comunicazioni di profondità e semplicità stupefacenti, mi hanno richiamato alla mente la figura e l’insegnamento di un altro come lui, Umberto Veronesi, scomparso pochi giorni fa. Remuzzi non si offenderà se rivelo il suo cattolicesimo, vissuto senza bigottismi. Veronesi faceva professione di laicità. Ma l’ha professata fino all’ultimo senza alcuna ombra di saccenteria o presunzione di superiorità razionalistica sugli uomini di fede. Di lui ho letto e bevuto subito il Sillabario laico, uscito proprio ieri in allegato al Corriere della Sera. E ho riscoperto questa comune attitudine e sensibilità che accompagna i veri grandi sapienti: non solo non si atteggiano a guru con la verità in saccoccia, ma sostengono persino che esistono domande in cui l’intelligenza umana e la scienza sviluppata fino al suo diapason non saranno mai in grado di dare una risposta. Non hanno pregiudizi. Sono come bambini, cercano. Ma sono anche come i saggi: dopo aver rivelato pozzi di conoscenza a noi profani, sanno di non sapere. E non è falsa modestia. Questa cosa ha fatto sì che a quasi 91 anni il nostro massimo oncologo fosse fragrante come una michetta all’alba, e rende le 44 lezioni di Remuzzi un pascolo fecondo per una piccola mente come la mia. 
Veronesi è famoso, spendo per lui poche parole. Era noto fosse ateo. Lo pensavo pure io. Sapevo che era uno studioso coltissimo di Sacre Scritture: le sue domande non si sono mai fermate a riposare. Ammiro la sua umiltà. Trascrivo la sua definizione di Ateo: «Io non sono credente, e rispetto al problema di Dio mi considero agnostico. Sono però profondamente convinto che esista una morale laica valida quanto la fede in Dio. È un’etica della responsabilità, che ogni persona può e deve costruire dentro di sé, e che deve servire da timone per dirigere le proprie azioni. Ateo è un termine che non amo, perché vuol dire “senza Dio”, e io non ho le prove per negare l’esistenza di Dio». Non è vero che senza Dio allora tutto è permesso. Anche perché non è poi così sicuro che Dio non esista. 
Cito un altro passo del breviario di Veronesi. N come Nucleare. Il suo pensiero sul punto era ben noto. Ma è oscurato, perché tabù. Non lo è più, per fortuna, l’eutanasia, che pure è tema delicato. Invece lo è l’energia nucleare. Un pregiudizio che ci rovina la vita, e tutti accettano come dogma, e dicono: vietato! Veronesi da grandissimo scienziato annienta questa balordaggine, associandosi in questo al pensiero del Nobel della Fisica Carlo Rubbia e del mio amico Pietro Lunardi: «Personalmente ritengo che per l’Italia sia grave rinunciare alla possibilità di far fronte alla futura insufficienza energetica anche con il nucleare. Ne sono tanto più convinto se considero che i Paesi avanzati del mondo, anche dopo l’incidente alla centrale nucleare giapponese di Fukushima che nel marzo 2011 ci ha tenuti per settimane con il fiato sospeso, danno priorità assoluta al prossimo scenario del dopo-petrolio, e stanno studiando metodi di produzione di energia atomica più efficienti e più sicuri». Forza Renzi,  forza Berlusconi: fatte un Patto del Veronesi per il nucleare: sarà più interessante e utile per l’Italia di quello del Nazareno. 
Anche Remuzzi nel suo libro si palesa come nemico dell’oscurantismo, e da cattolico non esita a schierarsi con la ricerca che vada a fondo all’enigma del Dna, e dell’origine della vita. Questo non ruba il campo alla fede, anzi. Sin dalle prime righe non resiste a obbedire al “gene” dell’ onestà che in lui è dominante: «C’è qualcosa che non arriveremo mai a capire». Neppure un Einstein alla centesima potenza potrà. Detto da un grande scienziato, che più di tutti noi messi insieme è arrivato a osservare i segreti biologici e ingegneristici che ci fanno essere quello che siamo, è per me consolante. Vuol dire che esiste il margine del libero arbitrio, non è possibile un lavaggio del cervello che preceda addirittura la nostra nascita. Non perché qualcuno non possa provarci, ma perché è impossibile riuscirci. C’è un nocciolo di mistero nella vita umana che non è pre-ordinabile. Ho capito giusto, Professore? 
Ho già usato il termine “gene” che dà il titolo al libro: «Siamo geni». Remuzzi lo è, di certo, un genio, nel senso della eccezionalità, noi in quello della normalità: siamo costituiti da queste particelle di vita che portano in sé la memoria di chi ci ha preceduti. Il medicofilosofo bergamasco non ha paura di violare chissà quale sacrario, e sostiene l’utilità di rimediare ai difetti che stanno nel Dna cambiandone dei pezzi. Si chiama gene-editing. Correggere la grammatica e la sintassi del libro che noi siamo. C’è un problema: i medici lo fanno senza il permesso dell’embrione perché non è ancora in grado di darlo. È giusto? Del resto tutti nasciamo senza nostra autorizzazione. Di certo con questa pratica di gene-editing si eviteranno malattie ereditarie. Remuzzi non ritiene affatto che questo costituisca una manipolazione dell’essenza umana, né teme che questo predisponga alla creazione di esseri umani “perfetti”, come nelle società omogeneizzate fatte da robot. Sicuri? Finché si resta al lato fisico, poche obiezioni sono possibili. Ma se si interviene sull’aspetto morale? Mah. Si è scoperto ad esempio che esistono predisposizioni genetiche a comportamenti delittuosi o all’ uso di droghe. Che si fa? Remuzzi dice: non lo decido io, non tocca a me. Io come scienziato devo fare in modo che «questa tecnica funzioni e non si associ eventualmente a problemi più gravi della malattia che vogliamo guarire». Non si permette di insegnare a nessuno il giusto e lo sbagliato. Qui interviene la coscienza, che non è in possesso esclusivo degli scienziati. E che nessun progresso (o regresso) relativo al maneggio del Dna potrà cancellare. Resterà sempre il margine della libertà. Citando un professore di Harvard, Remuzzi prevede con mio sollievo: i miei nipoti verranno da embrioni selezionati e modificati geneticamente, e per l’umanità non cambierà nulla, sarà come vaccinarsi. Purché aggiungo io non inventino il vaccino contro il dubbio e la curiosità. Insomma, fateci restare un po’ bambini, come Remuzzi e Veronesi.