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 2016  novembre 13 Domenica calendario

L’economia on-demand dietro la consegna del cibo

In questi anni il delivery food ha trasformato startup in macchine da soldi. Il cibo a domicilio è diventato abitudine nelle grandi città. E la gig economy, la cosiddetta economia dei lavoretti, è cresciuta di pari passo, con tante persone che hanno indossato gli abiti da bikers per consegnare la pizza, il pollo o il risotto nelle case e negli uffici. 
Adesso, però, per questo mercato è arrivato il tempo del consolidamento. E difficilmente ci sarà spazio per una nuova PizzaBo, la startup nata dall’idea di due studenti bolognesi, poi finita – a suon di milioni – nelle mani di JustEat. Da un lato gli investimenti in startup del genere si stanno affievolendo, dall’altro i giganti del settore e gli ingressi dei nuovi big si preparano alla scalata finale. Perché l’ultimo miglio della consegna del cibo a domicilio ha un futuro già scritto: il mercato è destinato a due o tre colossi che difficilmente lasceranno spazi vuoti. Sono le logiche della Rete a dirlo. Solitamente chi arriva per primo ha vantaggi consistenti, perché da unico attore del mercato ha la possibilità di crescere e continuare ad investire, con buone chance di diventare monopolista. Un esempio abbastanza lampante è quello di Google Maps, con il colosso californiano che ha rivoluzionato il settore della cartografia digitale impossessandosene. 
Succederà anche nel delivery food, dove serviranno spalle larghe per resistere all’avvento di nuovi competitor agguerriti e dai mezzi illimitati come Amazon.
Ecco UberEATS 
Intanto è arrivata Uber, col suo servizio UberEATS lanciato a Milano un paio di settimane fa. Il servizio offerto è qualcosa di già visto: applicazione, ristoranti, menu, ordinazione e consegna a domicilio. Quello che cambia, però, è il modello di business. Ce lo ha raccontato il General Manager di Uber Italia, Per Carlo Tursi: «Quello che fa Uber è, anche in questo caso, ciò che ha sempre fatto Uber. Uber è una semplice piattaforma che mette in relazione domanda e offerta. Si occupa di aiutare i ristornanti, da un lato a trovare i clienti, dall’altro a trovare i corrieri, cioè chi consegna il cibo. Questi ultimi sono lavoratori autonomi indipendenti che, in un determinato momento, sono disposti ad effettuare una consegna e fanno il login per mettersi a disposizione. Non esistono turni, né obblighi». Nessun rapporto diretto coi corrieri. I rider non fanno colloqui con l’azienda (come invece avviene con Deliveroo e Foodora). E in più c’è un grande vantaggio: tutti gli iscritti a Uber sono automaticamente clienti di UberEATS, con il nuovo servizio già integrato nella app. La retribuzione dei corrieri ha una quota fissa alla quale se ne aggiunge una che varia in base alla distanza percorsa.
Deliveroo 
Fra le startup di maggior successo c’è senza dubbio Deliveroo, un piccolo gigante che sembra avere le carte in regola per tenere testa alla concorrenza. Nata a Londra nel 2013, Deliveroo ha sposato il modello del take away digitale con due requisiti in più: ristoranti qualificati e consegne rapide. I dettagli ce li ha raccontati Matteo Sarzana, General Manager di Deliveroo Italia: «Soddisfiamo le esigenze di 2 tipologie di clienti: i ristoranti, che vedono crescere il loro business, e i consumatori finali che hanno possibilità di poter gustare comodamente a domicilio il meglio della ristorazione cittadina consegnata dai rider in meno di 32 minuti. Il tutto con il supporto e la garanzia di una custmer assistance sempre attivo». L’obiettivo è quello di offrire un servizio “premium”, sia per sia per la media qualitativa dei partner iscritti sia per la rapidità. Di recente è stato introdotto anche un servizio Business, dedicato alle aziende, che va a fare concorrenza alle mense. Non esistono turni veri e propri, ma il rider deve comunicare le sue disponibilità all’azienda.
Foodora 
Questo autunno 2016 è invece caldissimo per Foodora, startup tedesca che in Italia è presente a Torino e Milano. La protesta dei suoi corrieri ha fatto notizia. Il modello di business sembra essersi infranto sullo scoglio dei diritti dei lavoratori. In principio i rider erano pagati 5,40 euro all’ora. Poi la retribuzione è passata, per i nuovi arrivi, a cottimo (2,70 euro a consegna). Esiste una turnazione, e questo – a differenza di UberEATS – è un limite quando entrano in gioco i diritti. La crisi di Foodora è coincisa con l’arrivo sul mercato milanese proprio di UberEATS. E sarà interessante vedere come andrà a finire.