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 2016  novembre 13 Domenica calendario

Il clima

DONALD Trump non può cancellare, come ha promesso, l’accordo di Parigi di un anno fa contro il riscaldamento globale. Ma non fa molta differenza: il nuovo presidente americano può svuotarlo e annichilirlo, scatenando una reazione a catena che faccia saltare il consenso generale raggiunto da quasi 200 paesi lo scorso dicembre, spinga anche altri paesi ad azzerare gli impegni presi contro le emissioni di CO2 e riporti il pianeta alla situazione di rischio da cui sembrava uscito un anno fa.
Il paradosso è che, proprio in questi giorni, diplomatici ed esperti sono riuniti a Marrakesh, in un nuovo summit dell’Onu, per precisare nei dettagli il percorso da seguire dopo l’accordo di Parigi. Ma sanno che stanno, in realtà, pestando l’acqua nel mortaio, perché tutto è appeso alle mosse del nuovo inquilino della Casa Bianca.
Avendo ripetutamente sostenuto che il cambiamento climatico è una «frottola» inventata dai cinesi per insidiare l’industria americana, pochi dubitano che queste mosse di Trump prevedano iniziative per rovesciare di 180 gradi la politica ambientalista della presidenza Obama. Tecnicamente, avendo firmato nelle scorse settimane l’accordo di Parigi, ormai formalmente in vigore, gli Usa non possono uscirne prima del 2020. Potrebbero accorciare i tempi, da quattro a un anno, se uscissero del tutto dall’Unfccc, l’organismo Onu che gestisce i trattati sul clima. È una strada giuridicamente complicata, di cui, peraltro, Trump non ha bisogno. Con l’appoggio del Congresso, potrebbe annunciare che gli Usa non rispetteranno l’impegno a ridurre le emissioni del 26-28 per cento entro il 2025. L’accordo di Parigi non prevede sanzioni, dunque gli Stati Uniti non dovrebbero infilarsi in alcuna controversia giuridica. È, anzi, altamente probabile che altri paesi seguano la via di Trump, liberandosi degli impegni, spesso gravosi, assunti a Parigi, con l’ottima scusa che, se non ci stanno gli americani, non si va da nessuna parte.
Questo, però, è solo un braccio della tenaglia anti ambientalista. La tattica scelta da Obama per aggirare le resistenze del Congresso è esattamente l’arma che consentirà a Trump di ritorcergli contro le sue misure: decreto presidenziale contro decreto presidenziale. Più che gli incentivi alle rinnovabili, in gran parte nelle mani dei singoli Stati, il bersaglio sarà il Clean Power Act, destinato a relegare al passato l’industria americana del carbone. Poi, il petrolio: lo slogan “Drill, baby, drill” (trivella, ragazzo, trivella) risuonerà in tutti gli angoli d’America, parchi pubblici compresi, in cui ci sia traccia di combustibili fossili. Come in altri capitoli dell’agenda Trump, tuttavia, la spettacolare conversione a U che riporti ai tempi di Cheney la politica ambientale ed energetica è una mossa di facile propaganda, atta a suscitare l’entusiasmo di larghe fette dell’industria e della finanza americane, ma meno liscia di quanto possa sembrare. Più realista che visionario, l’ambientalista Obama non aveva fatto il passo più lungo della gamba. Il Clean Power Act che Trump si prepara a smantellare si limitava a prendere atto del fatto che, in America, il carbone non ha più prospettive. Perché le compagnie elettriche hanno sposato un concorrente del carbone, ovvero un altro combustibile fossile, ma meno inquinante: il metano. Rilanciare il carbone ai danni del gas è un’ipotesi quanto mai scivolosa per il nuovo presidente: la lobby del gas, legata a triplo filo al Big Oil di Houston, è probabilmente più potente di quella delle aziende declinanti del carbone. Scegliere per Trump non sarà facile, per quanto possa tenere ai voti dei minatori.
E non è neanche detto che Big Oil sposi senza esitazioni il tentativo di rimettere indietro le lancette dell’orologio ai tempi di Re Petrolio. Anche se, al contrario dei loro colleghi europei, i petrolieri americani hanno rifiutato di impegnarsi per una nuova politica energetica, a Houston il dubbio che il cambiamento climatico non sia la frottola di cui parla Trump è radicato. E ritrovarsi ad affrontare il mondo del dopo Trump ancora più esposti di oggi ai rischi del riscaldamento globale e delle politiche conseguenti, potrebbe non apparire, forse, la scelta aziendale più lungimirante.