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 2016  novembre 13 Domenica calendario

La partigianeria in America. È una virtù democratica

Ho visto nelle ultime settimane il presidente Obama schierarsi nettamente e con ostentazione a favore della nomina di Hillary Clinton e tacciare brutalmente il rivale Trump di inadeguatezza, definendone senza mezzi termini l’eventuale elezione una catastrofe per la nazione. Inoltre ha aspramente criticato il direttore dell’Fbi per la riapertura dell’indagine relativa alle mail private della Clinton quando era segretario di Stato. La questione ha suscitato in me delle perplessità. Obama ricopre tuttora un ruolo istituzionale che avrebbe dovuto collocarlo «super partes» e indurlo a mantenere una posizione distaccata e neutrale, di terzietà verso i contendenti. Perché questa esigenza di equidistanza da parte della più alta istituzione del Paese non è stata percepita?
Graziano Molinari

Caro Molinari,
L’ espressione «super partes» non appartiene al linguaggio politico degli Stati Uniti. Gli americani apprezzano il bipartisanship (la collaborazione tra maggioranza e opposizione nelle grandi questioni di interesse nazionale) e pretendono che il candidato sconfitto riconosca pubblicamente la vittoria dell’avversario; ma la «partigianeria» è considerata un ingrediente indispensabile della democrazia. I presidenti non esitano a scegliere i titolari delle grandi cariche pubbliche (ambasciatori, procuratori generali, giudici di nomina federale, direttori della Cia e della Fbi) fra le persone della propria famiglia politica.
È vero che alcune nomine particolarmente importanti devono ottenere l’accordo del Senato; ed è altrettanto vero che il Senato, anche quando è controllato da una maggioranza repubblicana, può approvare la nomina di un democratico. Ma vi sono casi in cui il Senato rifiuta di fare favori a un presidente con cui ha un rapporto fortemente dialettico. Quando è entrato alla Casa Bianca, Barack Obama ha ereditato una Corte Suprema prevalentemente repubblicana e ha cercato di correggere questo squilibrio nominando giudici democratici. La morte nello scorso febbraio di Antonin Scalia (un magistrato conservatore particolarmente gradito ai repubblicani) ha offerto a Obama l’occasione per sostituirlo con un democratico.
La Corte, se vi fosse riuscito, sarebbe stata composta da una maggioranza di giudici liberali e il presidente avrebbe avuto maggiori possibilità di salvare le sue leggi più progressiste dai ricorsi in giustizia di coloro che volevano affossarle. Ma i repubblicani hanno fatto sapere al presidente che le sue nomine sarebbero state bloccate. Vi sono state proteste, ma pochi si sono spinti sino a mettere in discussione il sistema. L’America crede fermamente che il vincitore abbia il diritto di decidere e governare anche in materie che in molti Stati europei sono «condominiali».