Corriere della Sera, 13 novembre 2016
Conservatore, spartano, leale. L’ascesa del numero due Pence capace di arginare «The Donald»
NEW YORK Quando i repubblicani gli proposero di prendersi come vice Mike Pence, Donald Trump esitò: gran conservatore, integralista cristiano, ex deputato al Congresso, il governatore dell’Indiana gli portava in dote l’esperienza di governo che a lui mancava, la ricostruzione del rapporto con l’ establishment conservatore e la possibilità di conquistare il voto della destra religiosa. Ma Pence, un ex chierichetto che da ragazzo ha a lungo pensato di farsi prete, un cristiano integralista non solo contrario a ogni tipo di aborto ma anche radicalmente ostile ai matrimoni gay nonostante la sentenza della Corte Suprema che li ha legalizzati in tutto il Paese, gli sembrava troppo rigido e diverso da lui.
Alla fine Trump si è convinto e Pence l’ha ripagato dimostrandosi non solo leale, ma anche intelligente nel prendere le distanze da lui nei momenti più difficili – quelli delle frasi scandalose sulle donne o dei bagliori sovversivi sulle elezioni non valide perché truccate e su Hillary da mandare in galera – quel tanto che bastava per non perdere il contatto con l’elettorato tradizionalista, ma senza mai «scaricarlo».
Oltre che nella ricucitura dei pessimi rapporti col partito repubblicano, Pence si è rivelato prezioso per Trump nella conquista degli Stati in bilico. Il suo capolavoro in Wisconsin, Stato di forte impronta democratica, nel quale Trump, ai tempi delle sue dichiarazioni «da spogliatoio» sulle donne, era stato addirittura invitato a non mettere piede. Il tycoon dovette cancellare un comizio e da allora fu gelo tra lui e il leader repubblicano al Congresso Paul Ryan (deputato del Wisconsin) e il governatore Scott Walker. Alla vigilia del voto è stato Pence ad andare in Wisconsin a galvanizzare l’elettorato conservatore e a ricucire i rapporti con Ryan e Walker.
Il colpo di scena col quale Trump ha dato a Pence la guida del «transition team» sottraendola a Chris Christie non è solo un gesto di gratitudine e una mossa prudente davanti alla vulnerabilità del governatore del New Jersey a rischio di incriminazione: sono gli stessi collaboratori del presidente-imprenditore a dire che ci sono tutte le condizioni perché Pence possa rivelarsi il vicepresidente più importante di tutta la storia americana. Ma basterebbe un ruolo analogo a quello avuto da Dick Cheney nella Casa Bianca di George Bush per farne una figura storica per gli Usa.
Pence a capo della squadra che deve preparare la transizione da Obama a Trump, costruire il programma e delineare il nuovo governo è, per il Paese, una garanzia di maggior stabilità e oculatezza nelle decisioni. Ma ad essere più garantiti sono soprattutto il partito repubblicano e il suo establishment. Il governatore dell’Indiana tutelerà con tenacia i principi ideologici conservatori: da quelli etici al liberismo economico all’antistatalismo, dei quali Trump non sembrava curarsi molto. Di più: un leader che da candidato aveva promesso di sottrarre l’America dall’influenza delle «lobby» economiche che spadroneggiavano a Washington, ora sta accettando senza batter ciglio che il suo team si riempia di «lobbisti» di ogni settore, dalle telecomunicazioni all’energia.
Cinquantasette anni, figlio di un benzinaio, sposato da 30 anni, abituato a vivere in modo spartano con un solo stipendio relativamente modesto (da deputato guadagnava 174 mila dollari l’anno, ma da governatore dell’Indiana è sceso a 112 mila), Pence sembra davvero l’antitesi di «The Donald» che, oltre a vantare un patrimonio immenso, ha sempre avuto bisogno di ostentare la sua ricchezza e si è sposato più volte cercando mogli di una bellezza abbagliante.
Può funzionare? Dipenderà dalla «chimica» che si instaurerà tra i due: Trump non vorrà di certo apparire un presidente sotto tutela. Ma dipenderà anche dai rapporti tra i mondi che sono alle loro spalle: i finanziatori della parte finale della campagna di Trump avevano, infatti, divorziato dal mondo dei fratelli Koch, i miliardari padri dei «Tea Party». Che sono, invece, gli «angeli custodi» di Pence.