Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 13 Domenica calendario

E per hobby faccio il pubblico

Daniele Sartini, 37 anni, laurea breve in informazione scientifica sul farmaco (Facoltà di Farmacia, Pisa), voto 110 e lode, tesi sulla prostaglandina impiegata nella terapia del glaucoma, professione informatore scientifico presso un’industria farmaceutica, originario della provincia di Massa Carrara, residente a Castelnuovo di Magra (La Spezia) per motivi lavorativi, sposato senza figli, dice di aver sempre avuto attrazione per le persone famose. Fin da quando, avrà avuto tredici anni, a New York, Central Park, «mi si avvicina un cane orrendo, minuscolo, mi annusa i piedi, io lo scanso malamente. Poi alzo lo sguardo e vedo Demi Moore. Il cane è suo, e di colpo mi sembra bellissimo, m’inginocchio per carezzarlo, mi offro anche di farlo giocare, tenerlo per un giorno, qualsiasi cosa».
La fama è una luce che illumina tutto quello che tocca, lo rende meraviglioso, dice Daniele.
Lei voleva essere toccato da quella luce?
«Chi non vorrebbe?».
Quando le si è presentata l’occasione?
«Quando a Carrara arriva Piacere Rai Uno. Allora era itinerante, girava per i teatri d’Italia. Ma era quasi impossibile trovare i biglietti».
E lei?
«Avevo dieci anni, non volevo perdermi l’occasione. I biglietti li trovò mia nonna. Mi portò lei».
Sensazioni?
«Ricordo ogni dettaglio, le poltroncine rosse del teatro, il balletto delle Tate di Toto, Simona Tagli. E Toto Cutugno che cantava lasciatemi cantare... la cantava l’intero teatro. Sulle parole sono un italiano, un italiano vero c’era commozione. Ecco, lì ho avuto la sensazione di essere parte di qualcosa».
Dopo?
«Piacere Rai Uno mi ha fatto capire che era possibile. Da lì non ho più smesso. Faccio il pubblico nelle trasmissioni televisive da più di vent’anni».
È un figurante?
«Il mio è un hobby, non guadagno niente, ricevo solo il cestino per il pranzo, a volte neanche quello, specie quando si registra di sera. Arriva la mail di convocazione: “Si raccomanda di venire col documento e già cenati”».
A quali programmi ha partecipato?
«Passaparola, Il Brutto Anatroccolo, L’Eredità, Tira e Molla, Elisir, Reazione a catena, Piazza Pulita, Domenica In, Verissimo, Tagadà, e quasi Chi l’ha visto?...».
Quasi?
«Ho perso il treno. Però mi sono rimesso in lista. Sto aspettando la risposta. Andare a Chi l’ha visto? è il mio sogno».
Le piace la cronaca nera?
«Un mio grande rammarico è quello di essermi trasferito qui, a Castelnuovo di Magra, due mesi dopo un noto fatto di cronaca, l’omicidio di una donna. Ci sono state le telecamere per due settimane. Mi sarebbe piaciuto rilasciare un’intervista, dire la mia».
Che avrebbe detto?
«Se la vittima era una brava persona o quando l’avevo vista l’ultima volta».
Ha mai parlato in televisione?
«Possono parlare solo i figuranti speciali. Però negli anni del liceo chiamavo sempre in diretta TeleGranducato. C’era la rubrica Anziano che parla ad anziani, mi fingevo anziano, dicevo di essere nonno Luigi, intervenivo a ogni puntata, ancora ho le registrazioni».
Che diceva?
«Una volta ho letto una poesia per i nipoti venuti dall’America e ripartiti. In studio si sono commossi».
Non sentiva di ingannarli?
«Erano sentimenti veri. Pensavo a mia nonna. Scrivendo la poesia mi sono immedesimato: come mi sentirei se nonna vivesse lontano?».
Prima esperienza televisiva in studio?
«Passaparola».
Si è rivisto?
«Sì».
E?
«Grande delusione, non ero disinvolto, mi volevo più spigliato».
Ha stretto rapporti di amicizia con altre persone del pubblico?
«Con molti ci vediamo fuori, una pizza, un cinema. Fare il pubblico è un’esperienza che unisce».
In che modo?
«Siamo dei privilegiati, sa a quante belle trasmissioni ho partecipato io? Vissute e cantate. Quando c’è da cantare mi chiamano in prima fila, Daniele mettiti qui, e io canto. Come vivere dentro a un musical».
Un privilegio anche questo?
«Hai la possibilità di goderti la vita all’ennesima potenza. Non è che nella vita reale prendi e ti metti a cantare. E soprattutto: non è che nella vita reale incontri facilmente personaggi famosi».
Lei chi ha incontrato?
«Gerry Scotti, Ilary Blasi, Alessia Fabiani, Silvia Toffanin, quando erano Letterine, Amanda Lear, Paolo Bonolis, e tanti altri. Per me oggi il selfie col personaggio famoso è diventata una mania».
Ovvero?
«Come il cacciatore coi trofei degli animali, la testa del cinghiale».
Le sue teste di cinghiale?
«Raul Casadei, Vittorio Sgarbi, il cuoco Bruno Barbieri, Carlo Verdone, Il Volo, il piccolino di Aldo Giovanni e Giacomo, lo scrittore Mauro Corona, Aldo Biscardi, e molti altri».
Che cosa la spinge a chiedere selfie?
«Quando sono in giro, magari in viaggio di lavoro, se c’è un volto noto in aeroporto lo riconosco subito, anche se ha il berretto calato per non essere disturbato... io lo riconosco e mi butto, è un istinto irrefrenabile».
Dove tiene le foto?
«Dal telefonino le scarico sul computer. Catalogate in rigoroso ordine alfabetico: Barbieri, Biscardi, Benigni...».
Le riguarda?
«È stata una delle prime cose che ho mostrato alla mia attuale moglie. Fa parte di me, della mia personalità. Un arricchimento del curriculum personale».
Prima di sua moglie?
«Sempre usato come argomento per conquistare le ragazze».
Le conquistava?
«Ho avuto pochissime ragazze».
Prova anche a scrivere ai personaggi famosi?
«Di recente su Facebook ho scritto a Sandokan di Uomini e Donne over».
Per dirgli?
«Gentile Marco, nonostante la giovane età, sono un tuo grande fan, con il tuo arrivo hai portato nella storia di Gemma una ventata di freschezza eccetera eccetera... Era una mail lunga dove gli spiegavo che cosa significava lui nella trasmissione, la novità che rappresentava...».
Risposta?
«Grazie».
Ha mai avuto il desiderio di essere protagonista e non pubblico?
«Con Il Grande Fratello 1. È stato il miraggio di un salto per tutti noi. Non conosco nessuno che non abbia provato a entrare nella Casa. Io ho superato due colloqui per il GF2, sono arrivato alla selezione a Milano».
E?
«Tipo militare, quattro persone dietro un tavolo che mi chiedevano se mi piacevano i fiori, o se, incontrando una farfalla per strada, mi giravo a guardarla».
Dopo Milano?
«Mi hanno scartato».
Dispiaciuto?
«Avrei voluto tanto entrare nella Casa, stare anche poco, ma avere la possibilità di ringraziare mia nonna davanti a tutta Italia. Dedicarle qualcosa».
Cosa?
«Una canzone, una poesia. Sognando in grande: la vittoria. Vinco il GF2, esco dalla casa e dico: dedico la vittoria a mia nonna che ha sempre creduto in me... Pensi che lei registrava tutte le trasmissioni dove andavo, poi se le rivedeva. Era fiera di me, era sicura che sarei diventato qualcuno».
Pensa di averla delusa?
«No, non è da tutti stare dentro la tv».
Ha mai pensato di trasformarlo in lavoro?
«Il mio lavoro è un altro, questa è una passione. Ho amici che fanno il pubblico per lavoro, e non è una vita facile...».
Quanto si guadagna?
«Quelli che pagano di più sono i preti, Tv2000, 20 euro l’ora. A Piazza Pulita fino a quarant’anni 18 euro, dai quaranta in su 13».
I giovani guadagnano meglio?
«Tutti vogliono volti giovani. Quando vedi anziani nel pubblico è perché conoscono qualcuno, a chi portano l’olio, a chi il vino...».
I giovani hanno carriere più lunghe?
«In realtà dopo un anno di programmi sei bruciato, troppo visto. Ci sono novemila persone a disposizione, novemila individui che si taglierebbero una mano per andare in televisione, una giungla. Bisogna sapersi gestire».
L’esperienza che ricorda di più?
«Un programma di cucina di cui non posso dire il nome. Registravano a Roma, gli studi erano fuori città, praticamente campagna, infossati in una valle. Quando usciamo fuori è tutto bianco. Aveva nevicato, la nevicata del 2012. Rimaniamo imprigionati. La fine del mondo. Quelli della produzione si sono preoccupati di mettere in salvo i conduttori. Prima di andarsene ci hanno detto che potevamo dormire lì, nei camerini. Trenta persone isolate nella neve. I telefoni fuori uso».
Che avete fatto?
«Abbiamo provato a risalire a piedi. Io sono scivolato. Qualcuno ha gridato aiuto, ma niente, non c’era nessuno. Allora siamo rientrati».
Quante ore siete rimasti bloccati?
«Dodici o tredici».
Che cosa ha pensato?
«Che potevamo morire».
E?
«Alla fine sarebbe stata una bella morte. In uno studio tv, tutti insieme».