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 2016  novembre 13 Domenica calendario

La sorella (che non voleva esserci) e il dentista

Che brutto scherzo le aveva combinato suo fratello Grant! Quello che da Anamosa, piccola città della contea di Jones (Iowa, Stati Uniti, dove era nato il 13 febbraio 1891) era scappato prima a Minneapolis, poi a Chicago e infine nel Vecchio Continente «solo» per amore dell’arte e di quei pittori così poco americani: Dürer, Memling, van der Weyden, Schrimpf, il Seurat de La Grande Jatte, la Nuova Oggettività. Una volta tornato a casa, deluso e senza nemmeno aver raccolto tanti successi (niente di più di una minuscola mostra a Parigi), Grant le aveva chiesto di fare da modella e lei, giusto per fargli piacere, aveva subito accettato ma poi si era ritrovata in qualcosa di molto più grande di lei. In una moltitudine di chiacchiere che le aveva rovinato la vita.
Tante storie si affollano attorno all’ American Gothic di Grant Wood, piccolo grande quadro dipinto nel 1930 da un artista che sarebbe morto nemmeno cinquantenne nel 1942 per un tumore al pancreas e che solo in virtù di quest’opera avrebbe acquisito la fama (peraltro universale). Molto più di un semplice quadro: piuttosto un’icona universale, al pari della Gioconda leonardesca e dell’ Urlo di Munch, almeno secondo Steven Biel che nel 2005 gli ha dedicato un intero volume pubblicato da Norton & Company. Lo stesso American Gothic che arriva ora per la prima volta in Europa dall’Art Institute of Chicago (dove è praticamente da sempre conservato) per la mostra sulla pittura americana degli anni Trenta in corso al Musée de l’Orangerie di Parigi ( The age of anxiety, a cura di Judith A. Barter e Laurence des Cars, fino al 30 dicembre). Mentre chi volesse trovarsi faccia a faccia con una delle tante parodie, più o meno «alte», di American Gothic può scegliere quella in mattoncini Lego nella monografica di Nathan Sawaya, The art of the brick alla Fabbrica del Vapore di Milano fino al 29 gennaio.
L’opera di Wood può tuttavia contare su altre riletture eccellenti, oltre quelle anonime e virali: una stupenda fotografia di Gordon Parks, The Rocky Horror Picture Show, Una Notte al museo 2, i Simpsons, il video di Don’t Go Breaking My Heart con Elton John con RuPaul.
Tra le infinite sorprese di American Gothic (a cui è stato affidato il compito di aprire l’esposizione dell’Orangerie, preferendolo a capolavori come Cow’s Skull with Calico Roses di Georgia O’Keeffe, New York Movie di Edward Hopper, Street life/Harlem di William H. Johnson) c’è appunto quella che riguarda Nan, sorella dell’artista, una dei due protagonisti del dipinto con il dottor Byron McKeeby, a sua volta dentista di Grant. «Ho voluto dipingere il tipo di persone che vivevano in quella casa», aveva detto Wood presentando la sua opera a un concorso. Soltanto che – si era poi lasciato scappare – l’uomo anziano e la più giovane donna rappresentati davanti alla Dibble House di Eldon (esempio di architettura Carpenter, in pratica la rivisitazione in legno e senza tanti fronzoli del gotico europeo) erano una «coppia» ovvero «marito e moglie». E questo era diventato un problema per Nan: molto seccata di essere stata trasformata nella consorte di un uomo così molto più vecchio di lei.
Qualche anno più tardi, in una lettera inviata il 21 marzo 1941 a una certa Mrs. Nellie S. Sudduth, Grant Wood si sentirà dunque in dovere di chiarire: «Ho voluto dipingere due personaggi di una piccola città, un padre e sua figlia, non necessariamente due contadini. L’uomo potrebbe lavorare nella piccola banca o avere un magazzino di legname, prega qualche volta in chiesa e la sera quando arriva a casa, dopo essersi tolto il colletto della camicia, va a lavorare nel suo campo e a badare alla mucca. La ragazza è la sua figlia maggiore, su di lei non ho immaginato altro, se non che fosse rigorosa come il padre, ma quella ciocca di capelli fuori posto è la prova che anche lei è comunque umana».
Strana definizione, in fondo, per una sorella (a cui oltretutto Wood aveva imposto di indossare suo malgrado uno scamiciato semi-monacale che ricordava quello dei pionieri). Una sorella che in fondo non deve avere mai amato più di tanto quel quadro, come dimostra la sua espressione triste e corrucciata (al pari comunque del dentista) nella foto-ritratto che verrà scattata ai due protagonisti accanto al quadro agli inizi degli anni Quaranta.
Poco più di 70 centimetri di altezza, poco più di 60 di larghezza: insomma molto, molto più piccolo di un comune schermo tv. Eppure American Gothic sembra sedurre come nessun altro: Steven Biel nel suo saggio attribuiva questo fascino al fatto di aver rappresentato i due personaggi di fronte (come la Marilyn di Warhol o la Migrant Mother di Dorothea Lange ma anche come le icone cristiane del Medioevo) e di essere riuscito a trasmettere attraverso i loro sguardi «qualcosa di più grande della semplice realtà».
Anche se, talvolta, si può trattare di una realtà difficile da accettare come quella di Nan che non voleva apparire la moglie di un uomo che aveva come minimo il doppio dei suoi anni. O come quella degli stessi abitanti di Eldon e dello Iowa «furiosi di essere stati rappresentati come magri, lugubri e puritani fondamentalisti» tanto che, quando il quadro venne presentato ufficialmente sulla «Cedar Rapids Gazzette», il principale giornale dello Stato, una contadina minacciò addirittura di staccare l’orecchio di Wood a morsi.
Sarà la Grande Depressione a trasformare il dipinto (già amato da Gertrude Stein) in un’icona, nel simbolo dell’incrollabile spirito dei pionieri e di una nuova speranza da coltivare (a proposito di botanica: le piante che si intravedono nel portico sullo sfondo sono quelle della madre di Wood). Forse nemmeno lo stesso pittore si sarebbe mai aspettato tanta fama, visti i presupposti: lo sfondo venne scelto da Wood per caso; i personaggi non posarono mai davanti a Dibble House (quella è la facciata sul giardino) ma vennero aggiunti in un secondo tempo (dopo aver posato separatamente e mai assieme); quando venne presentato all’Art Institute di Chicago venne liquidato come una sorta di «biglietto d’auguri», anche se il mecenate di Wood riuscì poco dopo a farlo acquistare dal museo. Ma forse non è solo una questione di estetica (quella che fa citare nelle pieghe della camicia del vecchio genitore le tre punte del forcone): si tratta di memoria e di radici. Grant Wood, diventato famoso, avrebbe abbandonato il sogno di una vita bohémien a Parigi per tornare a casa. Confessando: «Tutte le buone idee mi sono venute mentre stavo mungendo una mucca».
Il suo vecchio contadino avrebbe certo detto lo stesso.