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 2016  novembre 14 Lunedì calendario

È passato un anno dal Bataclan, ci domandiamo a che punto sia la lotta al terrorismo e in che condizioni mentali si trovi l’Occidente di fronte a questo cavaliere dell’Apocalisse inatteso e all’apparenza invincibile

È passato un anno dal Bataclan, ci domandiamo a che punto sia la lotta al terrorismo e in che condizioni mentali si trovi l’Occidente di fronte a questo cavaliere dell’Apocalisse inatteso e all’apparenza invincibile.

Invincibile non dev’essere, se l’Isis in Siria-Iraq è sul punto di essere sgominata.
Gli effetti dell’azione terroristica vanno al di là persino di quello che si propongono gli attentatori. Prendiamo l’11 settembre 2001. Sembrava un’azione anche militarmente insensata, perché al di là dell’enormità del massacro, non si vedeva che vantaggi avrebbe potuto ricavare il nemico in un’azione suicida contro due grattacieli. Successero però almeno tre cose, sulle prime impossibili da prevedere: la nostra libertà, e specialmente la nostra libertà di movimento, ne venne diminuita, gli americani vararono una serie di norme sulla sicurezza molto severe, prendere l’aereo è diventato da allora un percorso ad ostacoli, vacillano le regole di Schengen che ci facevano muovere attraverso l’Europa come se fossimo in presenza di una unificazione che in realtà non è avvenuta; la crisi economica esplosa nel 2007 fu innescata dalle Torri, perché Greenspan, l’allora governatore della Fed, temendo lo schianto anche delle Borse e dei mercati, tenne i tassi d’interesse prossimi allo zero, con ciò riducendo allo stremo le banche che si salvarono moltiplicando per mille la loro inclinazione speculativa: conoscemmo così quelle parole tremende, «subprime», «cds», eccetera, le cui potenzialità dissolutrici si rivelarono per la prima volta nel 2007. Terzo effetto, più sottile: il nostro modello di vita basato sulla libertà possibilmente senza limiti - quello che gli estremisti islamici definiscono «satanico» -, il nostro relativismo, che ci fa credere accettabile qualunque idea, la nostra sensibilità per i diritti individuali, da difendere contro ogni pregiudizio morale, vennero messi in crisi dagli attentati, e sono in crisi ancora oggi. Il 13 novembre dell’anno scorso la scelta, come bersagli, di uno stadio di calcio e di un posto dove si beve, si balla e si ascolta musica - il celebre Bataclan - confermarono che questo terzo punto è quello più duraturo, quello che ancora ossessiona gli shahid
e i loro mandanti e che noi stessi siamo chiamati a difendere e, nello stesso tempo, a mettere in discussione. Ce lo impone questo interlocutore sanguinario e ce lo impone anche la crisi economica, per niente sconfitta, quella crisi che lo stesso Islam radicale ha contribuito a innescare.  

Come è stato ricordato l’anniversario?
Hollande, contestatissimo, ha deposto una corona di fiori al termine di una cerimonia toccante a cui ha partecipato tutto il governo. Sting, sabato sera, è andato a cantare al Bataclan, in una sala gremita in cui sedevano almeno quattrocento parenti delle vittime. Il complesso che suonava al Bataclan al momento del massacro, cioè gli Eagles of Death Metal, è stato tenuto fuori. Jules Frutos, condirettore della sala-concerti, ha spiegato che a inizio marzo il capo del gruppo, Jesse Hugues, aveva detto che a suo avviso l’attacco era stato preparato all’interno della sala, e aveva espresso sospetti nei confronti del servizio di sicurezza. Frutos ha aggiunto: «Sono cose che non si dimenticano». La sala è rimasta quasi la stessa, ma dopo i lavori di ristrutturazione le porte, vissute a un tratto soprattutto come vie di fuga, sono diventate sette invece di due.  

A che punto è l’indagine?
L’unico terrorista superstite del massacro è Salah Abdeslam. Sta in carcere, ma dal giorno della sua cattura non dice una parola. Secondo quanto s’è capito finora, ebbe soprattutto la funzione del traghettatore. Trasportò Abboud, considerato il manager dell’operazione (che era stata concepita in Siria, e i cui esecutori venivano dal quartiere Molenbeek di Bruxelles) e portò a destinazione altri dieci terroristi, facendo su e giù tra il Belgio e l’Ungheria, a bordo di automobili prese in affitto, durante il mese di settembre (esattamente: 30 agosto-2 ottobre). Due di questi attentatori, sopravvissuti, sono introvabili. Lo stesso Salah, che doveva farsi saltar per aria, alla fine rinunciò a sacrificarsi. Il vero cervello dovrebbe essere un Oussama Atar, chiamato al telefono col nome di «Abou», per la cui liberazione l’Occidente lottò nel 2010: stava in galera e le varie organizzazioni benefiche internazionali sostenevano che era stato arrestato ingiustamente mentre portava medicinali ai poveri dell’Iraq. A Camp Bucca aveva condiviso la cella con Al Baghdadi, il fondatore dell’Isis.  

A un anno di distanza, il terrorismo è più debole o più forte?
Sembrerebbe più debole. Ma come giurarci? Bastano dieci uomini decisi al martirio per massacrarci. È anche possibile che il terrorismo sia un virus inestirpabile della società occidentale come la conosciamo.  

Senza il terrore che ha pervaso il mondo, Trump sarebbe stato eletto alla presidenza degli Stati Uniti?
Forse no.