La Stampa, 12 novembre 2016
Caso P3, chiesti 4 anni per Verdini
No a Verdini «padre costituente» della riforma al centro del referendum del 4 dicembre. Lo dice Matteo Salvini; lo sottolineano vari esponenti del M5S. E se lo ripetono sconsolati anche dalla minoranza Pd, là dove il problema non è tanto la novità giudiziaria di ieri che coinvolge il fondatore di Ala – siamo garantisti, premettono – ma l’imbarazzo di rapporti politici con un uomo che nulla ha a che fare con l’area di centrosinistra.
Nel processo sulla cosiddetta P3, presunto comitato d’affari segreto che mirava a influenzare gli organi costituzionali, ieri i pm Sabelli e Palazzi della Procura di Roma hanno chiesto 18 condanne (e una assoluzione): tra le loro richieste, quattro anni per Denis Verdini. Ma anche nove anni e sei mesi per l’uomo d’affari Flavio Carboni e otto anni e sei mesi per l’ex giudice tributarista Pasquale Lombardi e l’imprenditore Arcangelo Martino: i tre sono ritenuti dall’accusa organizzatori del sodalizio, mentre Verdini non sarebbe stato promotore ma avrebbe speso il suo ruolo politico – all’epoca dei fatti coordinatore di Forza Italia – consapevole del vincolo che univa i tre. Una notizia che finisce subito nel flusso della campagna referendaria: «Chiesti 4 anni per Denis Verdini, padre costituente e amico di Renzi. Roba da matti. Anche per questo, domani a Firenze io dico no», twitta il leader della Lega Salvini. «Cosa penseranno Renzi e Boschi del loro padre costituente? Si vergogneranno un po’?», chiede il deputato M5S Danilo Toninelli.
Ma anche nel Pd c’è chi si interroga su questa «liaison dangereuse». Se dalla maggioranza nessuno commenta, dall’area Bersani-Speranza il tasto Verdini è dolente. «Io sono garantista – mette in chiaro l’ex capogruppo Roberto Speranza – ma ho sempre detto che politicamente non dobbiamo avere nulla a che fare con lui, a prescindere dalle vicende giudiziarie. Pensare a lui come padre costituente mi provoca imbarazzo…», ammette. Non dice una parola sulle vicende giudiziarie Gianni Cuperlo, il più vicino dei leader di minoranza alla maggioranza renziana grazie alla sua firma in calce al documento per cambiare l’Italicum: ma oggi come mesi fa vale la posizione che «non dobbiamo fare nessuna alleanza – né strategica, né episodica – con lui».
«Le riserve politiche e i rischi di un asse privilegiato costruito da Palazzo Chigi con Verdini via Firenze li abbiamo a più riprese sottolineati», sospira il senatore bersaniano Federico Fornaro, un asse privilegiato che, spiega il collega della Camera Nico Stumpo, «ci ha meravigliati e nel tempo indignati: i giudizi dal punto di vista penale si esprimono alla fine del percorso, ma di certo Verdini ha un impianto politico-culturale da cui la sinistra dovrebbe rifuggire». Premessa garantista anche per il senatore Miguel Gotor: «Ma un Pd in salute – aggiunge – non avrebbe bisogno della magistratura per sapere che – sul piano politico – con il mondo di Verdini e le reti di relazioni di Carboni non si deve avere nulla a che spartire».