la Repubblica, 12 novembre 2016
Mete e business il brand All Blacks conquista il mondo
Una gioiosa macchina da rugby. All Blacks. L’unica squadra nazionale riconosciuta ovunque dal soprannome. L’85,4% di vittorie negli ultimi 10 anni, per gli ambasciatori ovali e di una nazione che voterebbe subito per eleggere primo ministro Richie McCaw, peccato che il vecchio capitano abbia detto di no, almeno per ora. In Nuova Zelanda avevano perfino indetto un referendum per sostituire la tradizionale bandiera col simbolo degli implaccabili campioni del rugby: la felce argentata in campo nero. È andata male, ma non di molto.
All Blacks. Un meccanismo sportivo ed etico perfetto: sarebbe un peccato, non sfruttarlo. Infatti. Il brand commerciale dei guerrieri negli ultimi 2 anni è raddoppiato, sfiorando i 200 milioni di euro all’anno. Gli analisti dicono che arriverà a mezzo miliardo prima dei mondiali del 2023. Cifre ancora relative rispetto ad altre discipline (per Forbes, il valore dei Dallas Cowboys nel 2016 arriva a 4 miliardi; quello del Real Madrid è di 3,65), ma impressionanti per un gioco che 20 anni fa era ancorato al dilettantismo più puro. Le magliette dei Tutti Neri – vendute a 200 dollari neozelandesi, 130 euro – vanno a ruba in tutto il mondo, così come il resto del merchandising: dalle cravatte agli orologi. E i contratti tv, gli sponsor. Bryan Anderson, capo del marketing, si frega le mani: «La popolarità del rugby sta crescendo rapidamente, in particolare negli Usa». Non a caso hanno appena affrontato l’Irlanda a Chicago, davanti a 62.300 spettatori. «Sta diventando un enorme business, e continuerà ad aumentare nei prossimi anni».
All Blacks. Affrontarli oggi (ore 15, diretta DMax) in un Olimpico ancora una volta vicino all’esaurito suona quasi un po’ strano, per un’incerta Italia che invece sta dilapidando il patrimonio di affetto sportivo e forse anche i contributi internazionali, visto che per la seconda volta consecutiva il ricco bilancio – 45 milioni, di più c’è solo il calcio – è in rosso. E il presidente, Alfredo Gavazzi, litiga con i club del campionato sempre per questioni di soldi. Gli azzurri ci provano lo stesso, per la quattordicesima volta nella storia: ma se 37 anni fa avevano messo paura ai Maestri, ora il gap è andato allargandosi in maniera inesorabile. Il nuovo ct di origine irlandese, Conor O’Shea, giura che ci sono grandi potenzialità e sarà l’inizio di un Rinascimento. Il capitano Sergio Parisse spiega che «l’approccio è completamente diverso dal passato» e che «dovrà essere una guerra sportiva su ogni zolla e per 80 minuti: se ci rilassiamo anche un solo attimo sono guai». Sarà l’esordio di Rieko Ioane, 19enne guerriero maori che parte dalla panchina e dicono sarà l’erede di Jonah Lomu. Nel ranking gli All Blacks sono naturalmente in testa, gli azzurri tredicesimi con una differenza di punti che spinge al paragone col contemporaneo match di calcio in Liechtenstein. Solo che nel rugby – e i neozelandesi, poi – non ci si accontenta di un golletto di vantaggio.