la Repubblica, 12 novembre 2016
La vera storia della Madama Butterfly, un fiasco diventato leggenda
«Carissimo Signor Giulio, il lavoro è finito e ne siamo contenti, anzi contentoni. È riuscito splendidamente e fila via diritto e liscio che è un piacere». Il Signor Giulio era Ricordi, il potente editore musicale di massima genialità cui tutti si riferivano con ammirata deferenza. Povero Puccini! Pochi giorni dopo, il 17 febbraio 1904, conclusa rovinosamente la prima assoluta di questa sua amata “Madama Butterfly” alla Scala di Milano, il compositore affranto scriveva: «Con animo triste e forte ti dico che fu un vero linciaggio. Ma la mia Butterfly rimane quale è, l’opera più sentita e suggestiva che abbia concepito»: e che infatti divenne poi una delle più eseguite al mondo, tanto che anche i più rigorosi “twittisti”, sordi a tutto ciò che è al di fuori del web, sentono nel sangue, per istinto ancestrale, “Un
bel dì vedremo”. Adesso il Museo teatrale della Scala di Milano, il secondo in città come visitatori paganti, diretto con passione da Donatella Brunazzi, dedica una di quelle mostre che ormai generano lunghe code, a Madama Butterfly, l’oriente ritrovato; in un momento milanese votato al giapponismo, anche per le celebrazioni dei 150 anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone, con una frequentata mostra a Palazzo Reale di più di 200 opere di Hokusai, Hiroshige e Utamaro che era ancora in vita ai tempi della prima Cio Cio-san scaligera (catalogo Skira); con un convegno, curato da Franco Pulcini, di eminenti pucciniani internazionali, tra cui il tedesco Dieter Schickling, noto anche come gran collezionista di cimeli del Maestro, Julian Smith, che ha curato anni fa la prima versione della Madama del 1904, poi più volte rivista dall’incontentabile compositore, e Simonetta Puccini, figlia naturale dell’unico figlio di Puccini, Antonio, nonno defunto prima, quindi mai visto; poi incontri di ogni genere e ingombrante arrivo, con festeggiamenti, nella piazzetta a fianco del teatro, della statua del grande Signor Giulio. Più, ovvia in tempi di prevalenza di cuochi, la diffusione esagerata di sushi anche nelle bettole più pasta e fagioli della città. Il culmine pucciniano- giapponese sarà l’inaugurazione della stagione scaligera, il solito 7 dicembre, con una nuova Madama Butterfly, cioè la più vecchia, quella travolta e sepolta da fischi, cachinni e boati, data qui una sola volta 112 anni fa, subito ritirata e poi sostituita nel mondo da tante Madame di massimo lacrimoso successo, avendo l’appassionato compositore continuato a rimaneggiare la sua creatura sino al 1920 (l’ultimo cambiamento per il milanese teatro Carcano): ripreso poi alla Scala nel 1925, un anno dopo la morte di Puccini che non ne avrebbe gradito la messa in scena sin che era in vita, in quel teatro che l’aveva umiliato. Già tra musicologi si discute frementi della decisione epocale del direttore musicale del teatro Riccardo Chailly, di riportare alla Scala il fantasma lontano di un’opera che il mondo conosce da più di un secolo parzialmente diversa, in tre atti anziché due, (di cui il secondo fu a suo tempo giudicato interminabile), con un Pinkerton diventato civile, meno pedofilo malgrado i suoi rapporti con una minorenne, e che canta singhiozzando Addio fiorito asil come se della giapponesina gli importasse davvero qualcosa. Nella Madama Butterfly diretta adesso da Chailly, Addio fiorito asil non ci sarà, e non si conoscono quali potrebbero essere le reazioni del loggione, che essendo soprattutto tradizionalista, non vuole novità anche se più originali di quelle che lo sembrano. Né cosa ne penseranno, alla prima, le signore e i banchieri più esibizionisti, cui viene tolto un intervallo e che dovranno difendersi dai 75 minuti del secondo atto detto dell’attesa, in quanto Cio Cio–san con l’inserviente Suzuki e il figliolino che incolpevolmente si chiama Dolore, passano quasi tutto quel tempo musicale ad aspettare il ritorno del fedifrago. La mostra voluta dal sovrintendente Pereira e curata da Vittoria Crespi Morbio, signora di immensa cultura, con la collaborazione del prezioso archivio Ricordi-Bertelsmann (che ne ha curato il catalogo, oltre a una sua pubblicazione dedicata all’opera), segue Giacomo Puccini dal momento in cui una sera del 1900 viene folgorato a Londra dal dramma A tragedy of Japan dell’americano David Belasco (a sua volta ispirato da un romanzo breve di un altro americano, John Luther Long). Puccini non sa l’inglese e non è mai stato in Giappone; ma la giapponesina quindicenne, innamorata, sottomessa, abbandonata e suicida, lo esalta: forse in contrasto con la moglie Elvira gelosa, a ragione, e di pessimo carattere. L’opera avrà il libretto di Illica e Giacosa, sarà ambientata al presente, cioè nel primo ‘900, e per aiutare il compositore gli procurano foto del porto di Nagasaki e di kimoni, schizzi di interni, musiche tradizionali. La mostra abbonda di questi documenti, compresa la copia fotostatica dello spartito originale con la scrittura nervosa del maestro.
La seconda parte del percorso racconta la storia delle Butterfly indimenticabili date alla Scala, con la grazia dei bozzetti d’autore e la meraviglia dei costumi, intatti dopo decenni, vere opere d’arte tra i più di 80mila conservati dal teatro. Scomparsi quelli di Giuseppe Palanti del 1904, direttore Cleofonte Campanini, protagonista Rosina Storchio che poi si fece suora di clausura, splendono le sete preziose, i blu, i viola, gli ori, i fiori dipinti, i ventagli ricamati, su obi e chimoni e ciabattine di Caramba che vestì nel 1925 la Butterfly diretta con risultati di delirante passione da Arturo Toscanini, e la Cio Cio-san di Rosetta Pampanini; mentre quella di Licia Albanese, nel 1951, direttore Victor de Sabata, fu vestita trionfalmente da Fujita, l’artista giapponese fuggito giovinetto a Parigi, e ormai ultrasessantenne, che personalmente dipinse uno per uno i costumi lucenti, con ochette, onde, e fiori déco.
Per la Butterfly del 1985, diretta da Lorin Maazel, l’estetica fu affidata a tre giapponesi, la regia a Keita Asari, le scene a Ichiro Takada, i costumi ad Hanae Mori, celebre creatrice franco- giapponese di alta moda, che sfilava a Parigi e vestiva l’imperatrice del Giappone e pure Nancy Reagan. Con la molto attesa direzione della prima Madama 1904, che da anni Chailly a poco a poco sta riportando al pubblico, la regia è affidata a Alvis Hermanis, scene dello stesso Hermanis e Leila Fteita, costumi di Kristine Jurjane, protagonista Maria José Siri. Il tempo è quello voluto da Puccini, cioè a lui contemporaneo. Naturalmente ci sono state nel mondo anche delle Butterfly meno storicizzate. E la più celebre è quella di Ken Russell, regista cinematografico inglese vaderetrosatana, che nel 1983, a Charleston Usa, fece della giovinetta una prostituta ai tempi della seconda guerra mondiale, con bomba atomica finale. A parte l’interesse musicale, la scelta di Chailly è geniale anche perché il primo Pinkerton pucciniano era una specie di Trump in divisa della marina americana, antifemminista, razzista, pericoloso, eppure vincente.