la Repubblica, 12 novembre 2016
Lo scontro Ue-Trump. Meno Nato, più Putin come cambieranno le relazioni con l’Europa
«Sui migranti e sugli statunitensi non bianchi, Trump ha un’attitudine che non rispecchia i nostri valori europei». Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ieri è andato all’attacco del nuovo presidente americano ricordando che «l’elezione di Trump comporta rischi di vedere gli equilibri intercontinentali disturbati sui fondamentali e sulla struttura». Anche l’inesperienza del neoeletto è un problema: «Con Trump perderemo due anni: il tempo che faccia il giro del mondo che non conosce. Gli americani non hanno alcun interesse per l’Europa: questo è vero per la classe dirigente e per l’America profonda. Non conoscono l’Europa. Trump ha detto durante la campagna elettorale che il Belgio è una cittadina europea». Secondo Juncker, la politica di Trump può avere «conseguenze perniciose» perché «viene messa in questione l’alleanza transatlantica, e quindi il modello sul quale si poggia la difesa dell’Europa». Le parole del capo dell’esecutivo europeo rispecchiano una preoccupazione diffusa nella Ue, che vede una lunga lista di potenziali motivi di contrasto con la nuova amministrazione americana.
Il primo a dover rispondere a queste preoccupazioni degli europei sarà, crudele ironia… Barack Obama. Il presidente uscente aveva previsto da tempo un ultimo viaggio internazionale in Germania e in Grecia la settimana prossima. Incontrerà Merkel, Hollande e Renzi. Tutti gli chiederanno del suo successore. Obama, fedele al fair play dimostrato in questi giorni, dovrà prodigarsi per rassicurarli, almeno ufficialmente.
Intanto la squadra di Trump che gestisce i contatti con la Casa Bianca per la transizione manda un altolà a Obama: non faccia atti vincolanti in politica estera in questi due mesi, perché la nuova Amministrazione non sarebbe tenuta ad onorare gli impegni.
Ecco quali sono i principali punti di attrito tra l’Ue e Donald Trump.
TTIP E COMMERCIO MONDIALE LA POSIZIONE EUROPEA
La firma del Ttip, il «trattato del secolo» per la creazione di uno spazio economico unico tra Europa e Stati Uniti, era svanita anche prima dell’elezione di Trump. L’imminenza del voto in Olanda, Francia e Germania, e la durezza della delegazione americana nel corso dei negoziati, avevano indotto gli europei a gettare molta acqua sul fuoco degli entusiasmi. Ma, al di là delle contingenze politiche e delle controversie su questioni importanti ma puntuali, come la tutela delle denominazioni di origine o gli standard igienico-sanitari, i principali governi europei restano favorevoli a regolare il commercio mondiale e la globalizzazione con una serie di accordi internazionali. E ne hanno appena firmato uno, il Ceta, con il Canada. L’idea di un’America che torni a essere protezionista spaventa imprese e governi.
E QUELLA DI TRUMP
Nei primi 100 giorni vuole denunciare il Nafta (mercato unico nordamericano) e bloccare la ratifica del Tpp con Asia-Pacifico. I suoi bersagli prediletti sono Cina e Messico. Il Ttip con l’Europa non lo interessa. In generale diffida di tutto ciò che sa di libero scambio. Poiché sta infarcendo la sua squadra di lobbisti delle multinazionali, questi potrebbero fargli cambiare parere. Però rifiuterebbe di sottostare alle richieste europee sulla protezione dei consumatori e dei lavoratori.
FINANZA E FISCO LA POSIZIONE EUROPEA
Se sul clima hanno dato l’esempio, in campo finanziario gli europei hanno seguito l’esempio di Obama che, all’indomani della crisi finanziaria, ha imposto una serie di severe regole prudenziali a Wall Street. Con un certo ritardo, l’Europa si sta adeguando per migliorare la trasparenza e la controllabilità dei processi finanziari. Se ora, con Trump, dovesse partire Oltreatlantico una nuova ondata di deregulation finanziaria, gli europei si troverebbero presi in contropiede. Senza contare che una destabilizzazione del sistema regolatorio sulle piazze finanziarie rischierebbe di rendere ancora più complicato il già difficilissimo negoziato con la Gran Bretagna sul destino della City di Londra.
Altro contrasto potrebbe nascere sulla fiscalità delle grandi multinazionali. Dopo decenni di elusione fiscale tollerata, gli europei si sono decisi ad applicare il criterio che i grandi gruppi transnazionali, prevalentemente americani, debbano pagare le tasse là dove realizzano i profitti. I piani di detassazione di Trump potrebbero complicare l’esito della battaglia.
E QUELLA DI TRUMP
Lavorerà col Congresso repubblicano per smantellare almeno in parte la legge Dodd-Frank, la riforma dei mercati finanziari voluta da Obama che ha messo dei vincoli alla speculazione sui derivati e ha limitato la libertà d’azione delle grandi banche. È una marcia indietro rispetto a obiettivi di regolazione dei mercati sui quali c’era accordo con la Bce. Trump vuole indurre le multinazionali Usa a rimpatriare i capitali che giacciono in Europa offrendo una sorta di condono: aliquota scontatissima del 10% una tantum.
UE E BREXIT LA POSIZIONE EUROPEA
Bruxelles e il resto d’Europa non dimenticheranno l’appoggio fornito da Trump alla Brexit. Un episodio indicativo dell’opinione negativa che Trump sembra nutrire sulla Ue e sul suo progetto di integrazione, che invece Obama appoggiava apertamente. La sintonia di Trump con il leader dell’Ukip Nigel Farage è un altro indizio dell’appoggio che la nuova Casa Bianca potrebbe fornire ai governi populisti europei che, dall’Ungheria alla Polonia, rivendicano una maggiore sovranità nazionale rispetto alle regole europee.
All’inizio disse di non sapere cos’era Brexit. Quando gliel’hanno spiegato, ne è diventato un fan entusiasta. È il più importante leader straniero ad avere dato un appoggio pieno all’uscita del Regno Unito. Il primo leader europeo che ha voluto chiamare dopo la sua vittoria elettorale è Theresa May. Ha invitato la premier britannica a venire quanto prima in visita ufficiale a Washington. Si candida a diventare la sponda atlantica di tutti i movimenti populisti anti-Ue, anti- Schengen, anti-euro.
MIGRANTI E ISLAM LA POSIZIONE EUROPEA
Il principio di non discriminazione su base sessuale, razziale o religiosa è uno dei valori fondanti dell’Unione europea. Di fronte all’ondata di rifugiati che ha investito la Ue dopo l’inizio della guerra in Siria, la fede religiosa di chi fugge un conflitto o una persecuzione non è mai stata un criterio preso in considerazione nel decidere se accettare o respingere le richieste di asilo. Solo i regimi nazional- populisti di Ungheria e Polonia hanno sollevato obiezioni, proponendo di ospitare i profughi in nome dell’integrità «cristiana» delle loro comunità. Ma queste argomentazioni sono state seccamente respinte dagli altri governi. Anche nella lotta contro il terrorismo di matrice islamica, le autorità eu- ropee sono sempre state molto attente ad evitare di criminalizzare l’intera comunità dei fedeli musulmani. Nella sua lettera di congratulazioni a Trump, Angela Merkel è stata attenta a sottolineare che la cooperazione con Washington può continuare solo sulla base di questi «valori condivisi».
Dal suo sito internet sono scomparse alcune tra le proposte più provocatorie fatte in campagna elettorale come il cosiddetto “esame di religione” alle frontiere degli Stati Uniti per bloccare l’ingresso dei musulmani. Resta però ostile all’accoglienza di rifugiati dalla Siria e altre aree del Medio Oriente. Per quanto la retorica possa moderarsi rispetto alla campagna elettorale, il messaggio di Trump è di diffidenza verso l’Islam in generale.
PUTIN E NATO LA POSIZIONE EUROPEA
La Russia di Putin è un grosso problema per l’Europa. Anche se con molte sfumature diverse, gli europei sono arrivati a definire una linea comune nei confronti del neo-nazionalismo del Cremlino. La condanna per l’annessione della Crimea, per il sostegno al separatismo ucraino e le critiche per i bombardamenti indiscriminati in difesa del regime di Assad in Siria sono punti fermi e condivisi. Le frasi pronunciate da Trump contro gli attuali equilibri interni alla Nato, poi, potrebbero spingere gli europei a rafforzare una loro difesa autonoma, processo che comunque richiederà tempo.
È grato dei frequenti omaggi che il leader russo gli ha espresso. Ha accennato più volte che in Siria forse la soluzione migliore è lasciar fare i russi (che appoggiano Assad). Sull’Ucraina e la Crimea non ha mai condiviso le condanne di Obama e degli europei. Sulla Nato, ha detto che l’America potrebbe non intervenire a difesa degli alleati in caso di aggressione russa, se questi stessi alleati non pagano abbastanza per sostenere i propri eserciti.
MEDIO ORIENTE LA POSIZIONE EUROPEA
Gli accordi sul nucleare iraniano sono stati uno dei pochi successi diplomatici firmati dall’Europa e patrocinati dall’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini. La normalizzazione dei rapporti con Teheran, fortissimamente osteggiata da Israele, è uno dei temi più consensuali tra i governi europei. Ora questa politica di appeasement potrebbe essere rimessa in discussione dalla nuova amministrazione americana. Timori analoghi riguardano la difficile relazione tra Israele e Palestina. Gli europei sono sempre stati fermi sostenitori della soluzione dei due stati, anche a costo di rapporti a volte difficili con Israele. Una posizione che era condivisa anche dall’amministrazione Obama. L’Europa teme che in futuro possano tornare in discussione sia la soluzione dei due stati, sia la richiesta di fermare l’espansione delle colonie israeliane nei territori occupati. E che si riaccenda un altro focolaio di crisi in una regione già tormentata da molti conflitti.
È allineato con Benjamin Netanyahu, considera l’alleanza con Israele come il caposaldo della politica estera americana. Ha spesso definito “pessimo” l’accordo con l’Iran sul nucleare, minacciando di cancellarlo. Più di recente, il suo entourage ha fatto trapelare che potrebbe accontentarsi di imporre alcune modifiche.
AMBIENTE LA POSIZIONE EUROPEA
L’Europa è sempre stata all’avanguardia nel mondo per quanto riguarda la difesa del clima, la riduzione delle emissioni inquinanti e la promozione delle energie alternative. Su questi temi è stata a lungo in contrasto con l’amministrazione neocon del repubblicano Bush, molto legato alla lobby del petrolio. Ma ha trovato in Obama un alleato solido. Questo ha consentito lo storico accordo di Parigi sul clima, firmato l’anno scorso sotto l’egida dell’Onu. Gli europei restano schierati a difesa di questo tipo di approccio per combattere i cambiamenti climatici e sono impegnati a ridurre dell’80 per cento, entro il 2050, le emissioni di anidride carbonica rispetto ai livelli del 1990. Ma evidentemente il loro impegno servirà a poco se gli Usa, che con la Cina sono il maggior inquinatore mondiale, non dovessero seguirli.
Appena entrato alla Casa Bianca, fin dal primo giorno bloccherà ogni versamento all’Onu legato alla lotta al cambiamento climatico. Trump, inoltre, intende stracciare gli accordi di Parigi. Il suo obiettivo dichiarato è tornare al primato dell’energia fossile: petrolio, carbone, gas. Del resto, la sua linea è inequivoca: il prossimo presidente degli Stati Uniti considera il cambiamento climatico «una bufala inventata dai cinesi per indebolire l’industria americana».