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 2016  novembre 12 Sabato calendario

I funerali di Veronesi


Dalla volta in Sala Alessi, quattro dipinti vegliano Umberto Veronesi. L’Aurora, il Giorno, il Crepuscolo, la Notte. La più grande dei quindici nipoti è sulle ginocchia d’un cugino, le sedie non bastano, e guarda quegli stucchi che scandiscono le stagioni d’una vita: «L’ho sempre considerato immortale e gli dicevo che alla fine ci avrebbe sotterrati tutti…».
L’aurora è Alberto, che al pianoforte dedica un tenue Beethoven a suo papà. Il giorno è il sindaco Beppe Sala che porta lacrime vere: «È stato il mio medico, m’ha aiutato a guarire. Anche dicendomi che non dovevo lottare contro la malattia: “La malattia farà parte della tua vita. Ma si guarisce sempre”. Per lui, curare il malato era solo una parte: prendersi cura era più importante». Il crepuscolo è la nipotina Gaia che s’avvicina alla bara infiorata di rose rosse, per leggere la poesia preferita del nonno: «Coi piedi fra i giaggioli dorme. Sorridendo/ come sorriderebbe un bimbo che sta male, dorme…». La notte è nelle parole di Sant’Agostino recitate da André Ruth Shammah: «La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto».
Ciao papà, ciao nonno, buongiorno prof, grazie Umberto. Il male è curabile, questo dolore ancora no. E il saluto al Dottore di Milano è laico nella volontà eppure quasi religioso nell’emozione.
«Un cordoglio – dice Sala – che sta scuotendo la città». Appiccicano in Galleria necrologi scritti a pennarello rosso, «ci mancherai». E siccome muore un medico, i fiori più apprezzati sono questi malati che portano se stessi, corpi salvati e anime mai perse: alle undici del mattino c’è ancora coda e i commessi di Palazzo Marino devono chiedere alla gente d’uscire dalla camera ardente – «fuori ci sono due maxischermi!» —, ma troppi s’imbucano e restano fra le sedie di parenti e autorità. C’è posto per i ministri Boschi e Martina o per Tronchetti Provera con Afef, nella sala faticano a sedere gli ex sindaci Tognoli e Albertini e resta in piedi anche l’ex procuratore Borrelli. Il perché lo dice Paolo, il figlio oncologo, che legge una lettera al padre: andartene «per te è stato anche facile, ma molto più difficile per tutti noi. Siamo orfani. E non parlo solo per noi fratelli... Non sono proprio sicuro che tu sia stato buono, ma certamente eri un uomo giusto». Le domeniche da bambino col vassoio dei pasticcini, le corse in moto sul lago Maggiore senza casco, i prati di via Ripamonti dove «mi mostravi che sarebbe nato l’Istituto europeo di oncologia. Io non capivo: a che cosa serve se c’è già quello dei Tumori, reso grande proprio da te? Tu vedevi sempre più avanti di tutti…».
Applausi e ricordi brevi. Un’Emma Bonino convalescente a citare l’aborto, la marijuana, la morte dignitosa e le battaglie spesso solitarie: ci hai insegnato che «il malato non è un cittadino di serie B, è un cittadino con una debolezza in più».
Pier Giuseppe Pelicci, condirettore dello Ieo, ad aprire il testamento scientifico: «Fatevi guidare dall’intelligenza e dalla curiosità. Innamoratevi della ricerca. Siate allegri e irrispettosi». Elena, che di nonno Umberto tiene stretta una raccomandazione: «A tutti i giovani dico: abbiate il dubbio come metodo. Siate dubbiosi e trasgressivi. E andate oltre le regole e i dogmi». Un dubbioso in sintonia col cardinal Martini: «Due grandi, diversi per cultura e credo – rammenta Sala —, che si sono trovati a condividere la scelta di affrontare l’indicibile, la fine, affermando il diritto della dignità umana» e il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Un trasgressivo accolto «con diffidenza» nel Palazzo della politica, ricorda Piero Fassino, e poi venne attaccato dalle maldicenze: «Non tutti ti hanno amato – sottolinea il figlio Paolo —, hai suscitato invidie e gelosie, tante persone col sorriso sulle labbra hanno provato a ferirti…». Un milanese in gamba, definizione di Sala, «che non si lamentava, ma costruiva sempre». Gli stanno già preparando un posto al famedio del Monumentale, tra i lombardi illustri del ‘900 e di domani: il male dell’altro secolo, non è detto che lo sarà anche di questo.
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