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 2016  novembre 12 Sabato calendario

I bond e le vendite sui Btp nonostante la rete della Bce

In tre mesi i prezzi dei titoli di Stato italiani a scadenza decennale sono scivolati abbastanza perché i loro rendimenti raddoppiassero: saliti dall’uno al due per cento. Si tratta di spostamenti tutto sommato piccoli a confronto con le drammatiche oscillazioni di anni recenti. Ma quanti bond sovrani devono vendere gli investitori sul mercato per provocare cadute simili, mentre la Banca centrale europea ne acquista per circa dieci miliardi al mese e dunque spinge in senso opposto?
Esiste un metro per misurare un fenomeno del genere: Target 2, la bilancia dei flussi finanziari nel sistema dei pagamenti dell’area euro. Il passivo dell’Italia non è mai stato così profondo, 354 miliardi a fine settembre secondo la Bce. Neppure all’apice della crisi del debito nel 2012 le fuoriuscite di capitale avevano raggiunto livelli così intensi. In parte non preoccupano perché si tratta di effetti contabili dagli ingranaggi del quantitative easing, il programma di acquisti di obbligazioni da parte della Bce. Ma non sono solo quelli. Dalla fine dell’estate, gli investitori esteri hanno venduto titoli di Stato italiani per almeno dieci miliardi al mese più di quanti ne abbiano comprati. I risparmiatori italiani sono rimasti alla finestra. Quanto alle banche, hanno approfittato della presenza della Bce sul mercato per trasferirle una piccola parte del loro magazzino da quasi 400 miliardi di euro di debito pubblico. Questa dinamica segnala che l’Italia resta dipendente in grado estremo dalla Bce per la propria tenuta finanziaria, anche ora che non è chiaro come e fino a quando continueranno i suoi interventi sul mercato.
Nel frattempo a fine estate si stava dipanando un’altra vicenda altrettanto rivelatrice: il Tesoro di Roma ha cercato di emettere sul mercato la massima quantità possibile di titoli a lunga scadenza. In proporzione, ne ha venduti ben più della Francia o della Spagna. Si sarebbe quasi detto che avesse il presentimento delle rapide nelle quali stava per scivolare il debito pubblico italiano e cercasse di finanziarsi prima di caderci dentro.
È innegabile che l’ondata di vendite concentrata sull’Italia rifletta i timori che al referendum costituzionale del 4 dicembre prevalga il No, quindi l’instabilità politica e la paralisi. Sembra che in questi giorni essa venga in gran parte dagli Stati Uniti, dove la psicologia degli investitori è marcata a fuoco dal trionfo di Donald Trump. Ma immaginare che basti un Sì a portare l’Italia in sicurezza sarebbe una sottovalutazione. I mercati non si stanno schierando sul referendum. Stanno solo dicendo ciò che pensano di un Paese in crisi bancaria ad alto deficit e altissimo debito, con zero crescita e zero inflazione, se non vedono nessuno che aggredisca questi problemi.