Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 12 novembre 2016
Tutti i giochi si fanno a Macao
• Tutti i giochi si fanno a Macao. Il Sole 24 Ore 17 febbraio 2007. Jackie Chan lo considera uno dei suoi ruoli di maggior successo. E lui di successo ne sa qualcosa: ha fatto, con film quali Rush Hour, il grande salto da eroe del cinema d’azione di Hong Kong a stella di Hollywood. Ma la sua trasformazione nella vita reale in investitore per rilevare il 5% nell’Emperor Grand Hotel and Casinò di Macao, che si distingue per 78 barre d’oro massiccio incastonate nel pavimento d’ingresso, è equivalsa a ricevere un premio Oscar nella finanza: la scommessa sulla trasformazione di Macao - un fazzoletto di terra cinese, ex colonia portoghese, composto da una penisola e due isole, abitato da mezzo milione di persone e dotato di amministrazione speciale - in un impero globale del gioco d’azzardo sta pagando.
Nell’ultimo anno Macao ha superato Las Vegas per il titolo di capitale del gioco per incassi e la sua ascesa promette di continuare ininterrotta. La corsa agli investimenti vanta un cast di protagonisti: a contendersi la corona di re di Macao sono magnati americani come Steve Wynn, Sheldon Adelson e Kirk Kerkorian, britannici quali Richard Branson, australiani come James Packer. E miliardari asiatici, da Hong Kong a Kuala Lumpur: la dinastia degli Ho, Stanley e i figli Pansy e Lawrence, che fino al 2002 vantava il monopolio a Macao ma che, anche dopo la liberalizzazione decisa da Pechino, conserva un vasto impero. Ancora, spuntano i nomi di Lui Che-woo e Lim Kok Thay.
Macao ha sfiorato i sette miliardi di dollari di entrate dai suoi tavoli da gioco nei casinò. Vincite raddoppiate nel corso dell’ultimo anno rispetto ai 6,6 miliardi intascati da Las Vegas, in aumento dell’11 per cento. I suoi casinò sono oggi 24, sette dei quali hanno aperto i battenti nell’ultimo anno; oltre 2.700 i tavoli da gioco. Aumentano i giocatori, anzitutto dalla Cina continentale: 22 milioni, quasi il doppio in quattro anni, per la maggior parte provenienti dalla madrepatria cinese e Hong Kong. E in un raggio di cinque ore di volo vivono 1,2 miliardi di persone, rispetto ai 250 milioni che gravitano su Las Vegas. Entro il 2009 il pronostico è che i visitatori arriveranno a 45 milioni l’anno. Ma la scommessa più grande è quella compiuta dagli investitori che stanno confluendo in quei pochi chilometri quadrati di Cina: i capitali stranieri affluiti sono a quota 20 miliardi di dollari. Quest’anno le entrate dei casinò dovrebbero superare gli otto miliardi di dollari. «In dieci anni Macao assomiglierà a Las Vegas dopo una cura di steroidi», ha sentenziato Brian Summers, della Thornburg Investment, azionista di Las Vegas Sands.
Come tutte le scommesse, anche quella su Macao è rischiosa. C’è il pericolo, attirati dal miraggio di un nuovo Eldorado, di costruire in eccesso (le 13mila stanze d’albergo disponibili sono occupate solo al 75% e tra due anni saranno oltre 30mila). Affiora il rischio di frizioni culturali con il modello Las Vegas adottato da molti finanzieri, quello che punta su intrattenimento e consumi tanto quanto - se non di più - sul gioco. Macao, accusano i critici, è una società di croupier. Ma il maggior pericolo è forse quello della concorrenza da altri tavoli da gioco: da Singapore al Giappone e al Vietnam. Nella regione asiatica, durante i prossimi cinque anni, si apprestano ad affluire oltre 70 miliardi di dollari di investimenti nel gioco d’azzardo, ormai "sdoganato" dalle autorità, portando le entrate a 23 miliardi entro il 2010. «Una trasformazione monumentale», dice l’analista di Merrill Lynch Sean Moneghan. E spesso i protagonisti sono alcuni degli stessi re di Macao, che puntano sull’insaziabile sete di scommesse di un nuovo mercato: Adelson ha vinto una licenza messa in palio da Singapore e costruirà un complesso da 3,5 miliardi di dollari, che si chiamerà Marina Bay, sotto il suo marchio Las Vegas Sands con casinò, alberghi di lusso e negozi. Sempre a Singapore la Genting, il più grande operatore asiatico nei casinò del 55enne miliardario di Kuala Lumpur, Lim Kok Thay, ha ottenuto una seconda licenza.
I protagonisti dell’exploit di Macao sono veterani, con storie leggendarie alle spalle, e non intendono battere in ritirata. Gli americani, quegli imprenditori del gioco che nei decenni scorsi avevano rilanciato il mito di Las Vegas a colpi di casinò-spettacolo, hanno un ruolo di primo piano. Ha cominciato Steve Wynn, il primo straniero a sbarcare nella ex colonia portoghese, quando dopo il passaggio alla Cina il territorio a statuto speciale di Macao ha aperto i confini alla concorrenza nel gioco d’azzardo. Fino a quel momento, per 40 anni, era stato il monopolio di una sola potente famiglia di Hong Kong, quella guidata dall’ottuagenario Stanley Ho. Le sue holding Shun Tak e Sjm, che vantano oltre la metà delle entrate delle scommesse, ruotano attorno al Lisboa, l’antenato dei casinò di Macao. La sua ultima incarnazione, il Gran Lisboa da 625 milioni e a forma di petalo di lotus, è stato inaugurato a inizio anno. Wynn è sbarcato cinque anni fa e a settembre ha varato la sua ultima iniziativa, il Wynn Macau: 600 stanze da 300 dollari a notte e 220 tavoli da gioco. Per la sua inaugurazione, Wynn ha decorato l’ingresso con una vaso Ming da 10 milioni di dollari e dipinti di Renoir e Matisse. Adelson aprirà il Venetian Macao l’estate prossima, un colosso con 700 tavoli da gioco, tremila stanze e un canale veneziano con gondole. Al suo attivo ha già dal 2004 il Sands Macau con 19mila stanze e i 740 tavoli da gioco che ne fanno il più grande casinò al mondo capace di ospitare 40mila giocatori al giorno.
Non mancano i finanzieri asiatici: la Galaxy Entertainment del 75enne Lui Che-woo, con sede a Hong Kong, ha aperto a fine 2006 due nuovi casinò. E gli eredi della dinastia Ho, la figlia Pansy e il figlio Lawrence, hanno stretto anche alleanza con gli "invasori": Pansy, una joint venture al 50% con il raider Kirk Kerkorian per costruire il nuovo Mgm Mirage da un miliardo di dollari. E nei giorni scorsi la stessa società americana ha annunciato che dopo il Gran Macao (che aprirà l’anno prossimo) costruirà il Gran Paradise nel distretto di Cotai. Lawrence Ho, al comando della Melco International, sta scendendo a patti con il magnate australiano James Packer, il 39enne erede dell’impero Publishing & Broadcasting, per creare tre casinò e investire 3,3 miliardi. Richard Branson, il magnate britannico di Virgin Atlantic, è entrato nella partita: ha un nuovo progetto per alberghi e casinò da tre miliardi di dollari.
I re del gioco possono fare leva sul desiderio di scommettere degli investitori: i titoli delle loro società hanno fatto furore in Borsa. Las Vegas Sands ha visto le azioni triplicare in due anni. Mgm Mirage è ai massimi da un anno, Melco ha moltiplicato il suo valore ben 18 volte e anche il vecchio Stanley Ho ha visto il titolo di Shun Tak quadruplicare dal 2003. Abbastanza perché Jackie Chan, l’attore, possa commentare così il proprio investimento a Macao al fianco del miliardario di Hong Kong Albert Yeung: «Una delle mie scelte più sagge».
Marco Valsania
• Il re è Stanley Ho. Il Sole 24 Ore 17 febbraio 2007. A 85 anni, Stanley Ho è il re della scommessa. Per quasi 40 anni ha avuto lui, nativo di Hong Kong, il monopolio del gioco d’azzardo a Macao: 17 dei 24 casinò del posto sono suoi. Il patrimonio personale di 6,5 miliardi di dollari lo qualifica come uno dei più ricchi magnati asiatici e 84° al mondo. I business legati alla sua holding Shun Tak Group - casinò, società di trasporti e commerciali - rappresentano un terzo del Pil di Macao e impiegano diecimila dipendenti. I suoi investimenti oltrepassano i confini cinesi: Portogallo, Corea del Nord, Vietnam e Filippine.
La famiglia Ho Tung era tra le più potenti di Hong Kong, con antenati olandesi e cinesi. A 13 anni il padre finì in bancarotta e abbandonò la famiglia, mentre due fratelli più grandi si suicidarono. Negli anni 40 la famiglia perse tutto con l’invasione giapponese: Stanley Ho si trasferì a Macao e fece carriera in una società di import-export. Nel 1943 trasformò un bonus da un milione di dollari in investimenti a Hong Kong in società di kerosene e edilizia. E con alcuni partner conquistò il monopolio del gioco d’azzardo a Macao con un’offerta da 410mila dollari e la promessa di incentivare turismo e infrastrutture. Nel 1961 tenne a battesimo la Sociedade e Diversoes de Macau che combinava le attività nel gioco e il casinò Lisboa divenne il suo gioiello. Ma nel 1999 il Portogallo restituì Macao alla Cina e presto finì l’era del monopolio.
Stanley Ho ha avuto quattro mogli e 17 figli. Due sono a loro volta alla testa di imperi: Pansy, 44 anni, è alla guida del gruppo di famiglia e ha anche una partnership con la Mgm Mirage di Kerkorian. Lawrence, 30 anni, guida un altro colosso del gioco d’azzardo, Melco International.