Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 12 novembre 2016
Biografia di Franco Zeffirelli
da Franco Zeffirelli, Autobiografia, Mondadori, 2006, 533 pagine, 23 euro
• Franco Zeffirelli, Autobiografia, Mondadori, 2006, 533 pagine, 23 euro. Immortalità. "Nel corso della mia vita mi sono trovato di fronte alla morte almeno tre volte: un bombardamento, un plotone d’esecuzione, un incidente d’auto. Quindi, non deve sorprendere che creda fermamente in Dio e che abbia un attaccamento superstizioso all’idea di destino. Malgrado sia evidente cha alla vita succede la morte, faccio fatica ad accettare il fatto che un giorno morirò: come la maggior parte degli uomini accarezzo la vaga speranza di una sorta d’immortalità, e mi comporto di conseguenza. Così l’idea di raccontare la mia vita come se fosse finita e compiuta continua a sembrarmi un po’ assurda". N.N. Registrato all’anagrafe di Firenze come N.N. (Nescio Nomen), figlio di ignoti, nel 1923. Alla data di nascita (non dichiarata volentieri dal regista), si risale comunque attraverso la data di morte della madre, 8 maggio 1929, quando il medesimo aveva sei anni. Nessun altro si chiama Zeffirelli. Essendo i figli illegittimi chiamati con un cognome che iniziasse per la lettera dell’alfabeto imposta dall’anagrafe (che cambiava ogni giorno), la madre si ispirò al verso "zeffiretti gentili", dall’aria dell’Idomeneo, ma per errore fu trascritto ”Zeffirelli”. Nasce dalla relazione illegittima tra Ottorino Corsi e Alaide Garosi. Ottorino. Ottorino Corsi (tra le famiglie più ricche di Vinci), era erede universale della nonna, contessa Bracci, che rimasta vedova, aveva diseredato l’unico figlio, Olinto. Quest’ultimo (personaggio stravagante che mangiava solo la pelle del pollo, buttando il resto), si era messo in testa di diventare direttore d’orchestra, e per fare prima, chiamò un’intera banda musicale da Corato (in Puglia), cinquanta suonatori con famiglia al seguito, accumulando debiti che lo avrebbero mandato in prigione, se il figlio Ottorino, diventato maggiorenne nel frattempo, non li avesse estinti (Zeffirelli glielo avrebbe rimproverato, ottenendo in risposta: "Pensa piuttosto a crearti una strada per conto tuo, come io ho fatto la mia"). Rimasto impossidente, ma bello e donnaiolo, Ottorino mise incinta e sposò una Corinna del paese, e si fece prestare dai genitori di lei i soldi per fare il rappresentante di tessuti. La sua fortuna fu rompersi la spina dorsale cadendo da cavallo nel 1913, non partire per il fronte e ottenere un appalto di forniture militari. Mentre gli altri erano al fronte lui consolava le mogli. ("Non saprò mai in realtà quanti fratellastri e sorellastre mio padre seminò per Firenze e dintorni in quegli anni, dal ”15 al ”18"). Alaide. Diventato fornitore di tessuti pregiati Ottorino Corsi un giorno contattò come cliente una sarta molto nota a Firenze, Alaide Garosi (di anni 39, tre figli, sposata con un avvocato affetto da tubercolosi), e ingravidò anche lei. L’Alaide sperava che il Duce introducesse il divorzio e non ci pensò nemmeno ad abortire, nemmeno il giorno in cui la madre le portò apposta in casa una levatrice, e quando morì il marito, si presentò al funerale col pancione. Franco Zeffirelli nacque (padre e madre stapparono uno champagne perché era nato maschio), e per due anni fu affidato a una balia in campagna, Ersilia Innocenti. Ma intanto gli affari nell’atelier andavano male (causa lo scandalo), la relazione con Ottorino pure (aveva scoperto di essere una fra le tante), e l’Alaide si ammalò (di notte piangeva e prendeva pillole per dormire). Passò l’ultimo inverno col figlio Franco e la figlia Adriana a casa di quest’ultima, che aveva appena perso il marito morto anche lui di tubercolosi. "Furono mesi tristissimi quell’inverno. La casa era gelida. Non c’era il riscaldamento. I soldi erano finiti e solo l’Adriana, quando poteva, dava qualcosa alla mamma che era nell’indigenza assoluta". Zia. Morta l’Alaide, di Franco si prese cura una cugina del padre, zia Lide, Alaide Becattini (che a sua volta viveva con un uomo sposato con due figli già grandi, zio Gustavo). Il padre si faceva vivo il sabato con una moneta da cinque lire, con sopra impressa un’aquila, e Franco aspettava quel giorno come il ”giorno dell’Aquilotto” (ma preferiva le visite di nonno Olinto, che canticchiando opere e sinfonie, gli trasmise la sua passione per la musica). Mamme. "Avevo avuto tre madri: la mia vera mamma, poi Ersilia, la balia, e ora Lide, la zia. Ogni volta avevo dato tutto il cuore a una di queste donne, ed ero poi stato costretto a riprenderlo, per offrirlo a un’altra… Ancora oggi, a ogni offerta di affetto provo lo stesso impaccio che mi dava quando ero bambino. Continuo a cercare l’amore, e sicuramente lo cercherò finché vivrò, ma, anche quando lo trovo, di rado riesco ad abbandonarmi o a convincermi che durerà". Teatro. "Ho sempre sentito fortemente che le mie radici affondano nella campagna toscana". Con più precisione a Borselli, dove Franco Zeffirelli andava in vacanza d’estate, sempre affidato alle cure della balia Ersilia (e la per prima cosa si levava le scarpe). Lì scoprì anche il teatro, grazie ai cantastorie che si raccoglievano intorno al fuoco la sera: "Niente a teatro è mai riuscito a colpirmi più delle fantasie di quei poveracci… Me ne meraviglio ancora: niente radio, niente televisione, solo dei semplici cantastorie, diretti discendenti del mondo di Boccaccio, Da Porto e Bandello". Quando tornava a Firenze si fabbricava teatrini con le sue stesse mani, finché zio Gustavo, non gli fece il regalo più gradito di tutta la sua vita, "un teatrino con tanti burattini con cui lui aveva giocato da bambino". Partigiano. Il suo talento nel disegno è assecondato nel 1938, con l’iscrizione al liceo artistico, a cui segue la Facoltà di Architettura. Proprio per motivi di studio non è chiamato alle armi nella Seconda guerra mondiale, ma nel ”43, dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, si unisce ai partigiani, e per poco non è ammazzato durante un controllo da un fascista, che lo risparmia quando viene a sapere che si tratta di un fratellastro, anche lui figlio di Ottorino Corsi. Visconti. Al ritorno a Firenze, a guerra finita, riprende senza convinzione Architettura (è al secondo anno), ma poi frequenta l’Accademia delle Belle Art e per arrotondare lavora come assistente durante l’allestimento della scenografia de La via del tabacco, di Erskine Caldwell, diretto da Luchino Visconti. Spiando le prove da un balconcino, scopre che il regista non riesce a trovare l’attrice per il ruolo di una vecchia pazza, e gliela va a trovare in un ospizio, guadagnandosi un’audizione. Fazzoletti. Zeffirelli sceglie di recitare il monologo di Macduff, dal Macbeth, e alla fine Visconti gli dà un buffetto sulla guancia, "leggero come una fugace carezza" ("Bene, bravo, continua così"), e fa per andarsene, quando sfila dal taschino il fazzoletto imbevuto di un profumo intenso. A domanda di Zeffirelli, Visconti risponde: "Hammam Bouquet, lo fanno in Inghilterra, ti piace? Te ne manderò una bottiglia". "Passò il fazzoletto sotto le narici, col gesto di un innamorato. Sentii che gli avrebbe dato piacere restare a parlare con me. Ma mi disse soltanto: ”Un giorno mi racconterai la tua storia”. E si avviò. Sulla porta si voltò di nuovo. ”Ti farò sapere; Lascia il tuo indirizzo”. E scomparve". Sesso. Quando Zeffirelli era bambino il sesso era un argomento tabù, ma lui lo vedeva fare spesso. Nel periodo in cui i suoi genitori si frequentavano ricorda che, invece di dormire nel lettone con sua madre, quando veniva il padre, doveva coricarsi in un lettino accanto, ma poi era risvegliato da gemiti e grida e vedeva suo padre aggredire la madre, e lei, che invece di difendersi, gli si avvinghiava con piacere: "Quando lui a notte alta se ne andava, mia madre mi prendeva in braccio e mi portava amorosamente nel suo letto. La sentivo rilassata, calda e felice, e mi addormentavo tra le sue braccia cullato dai battiti del suo cuore". Il padre si impresse nella sua memoria come la figura dell’aggressore: "Temevo quasi che potesse aggredire anche me, come l’avevo visto fare con lei. Freud spiega assai meglio come avvengono le nostre scelte sessuali, che hanno radici nelle prime esperienze dell’infanzia". A casa di zia Lide, poi, praticò un buco nella porta della sua camera da letto per spiarla mentre faceva il ”pisolino” con zio Gustavo. Lui stesso subì la molestia di un frate che andava sempre a trovare in convento nella sua cella, finché un giorno non fu abbracciato da dietro e sentì qualcosa di caldo e duro premere contro il suo corpo. La prima masturbazione gli riuscì nell’estate del 1936, mentre ascoltava alla radio la notizia della morte di Pirandello. La prima volta, invece, lo fece a sedici anni con la madre di una ragazza con cui flirtava, ma non gli piacque così tanto: "La femmina per me era la madre. Era difficile che potesse diventare un’amante… A quel punto, però cominciai a interrogarmi su tutte le possibilità del sesso: attivo o passivo, identificazione con la propria madre o col proprio padre". Seguirono molte esperienze omosessuali, e quando Luchino Visconti mostra un interessamento per lui, non è una novità: "Scoprimmo di avere in comune una straordinaria mitizzazione delle nostre madri. Anche lui era innamorato e assolutamente posseduto dal ricordo della sua. Non aveva avuto un’infanzia molto facile, per il conflitto fra i suoi genitori che costantemente e scandalosamente si tradivano". Muratori. Qualche tempo dopo l’audizione Visconti scrive a Zeffirelli per offrirgli una parte in Delitto e castigo, adattamento di Gaston Baty dal romanzo di Dostoevskij, che andrà in scena nella stagione successiva. L’interpretazione di un piccolo ruolo (uno dei due muratori che restaurano la stanza dove Raskol’nikov uccide le due donne), gli permette di assistere alle prove di grandi attori, tra cui Rina Morelli, Paolo Stoppa, Vittorio Gassman, Memo Benassi, Tatjana Pavlova. Scadimenti. Confrontando la regia degli ultimi cinquant’anni con quella di Luchino Visconti, Zeffirelli riscontra un’"innaturale mutazione dell’arte del recitare", e ne attribuisce la responsabilità a Giorgio Strehler, Luca Ronconi, Giorgio De Lullo e Gabriele Lavia: "Cos’avevano in comune questi quattro attori? … Quando erano attori recitavano egregiamente, se invece erano loro a dirigere, cioè se diventavano registi, costringevano perversamente i loro attori a recitare male, inventando una tecnica di accenti, enfasi, ritmi, scadimenti, sillabazioni, virgole e punti (esclamativi o interrogativi) assolutamente arbitrari. Insomma, la negazione e il ripudio di ogni regola professionale".
• Magnani. A Roma nel 1947 grazie al cugino Piero Tellini ottiene l’incarico di lavorare per la pubblicità del film L’onorevole Angelina, scritto per la regia di Luigi Zampa, con Anna Magnani. Ma durante le riprese l’attrice s’infuria col regista perché il coprotagonista è un incapace raccomandato, chiunque saprebbe recitare meglio, e mentre lo dice punta Zeffirelli: "Quello stronzetto là. Vedi se sa spiccicare due parole. La faccia ce l’ha… Sennò vai per strada e lo trovi". Segue un provino su due piedi, Zeffirelli recita bene, ma per un neorealista questo è un problema. Non per la Magnani, che se la prende con questo "verismo del cazzo" e pianta tutti in asso insultando il regista: "Tanto alla fine il cinema lo famo noi attori!". Zeffirelli ottiene la parte (ragazzo ricco e idealista in conflitto col padre), e l’amicizia della Magnani, che però lo mette in guardia: "Tu sei un grande ambizioso. Quelli come te finiscono o bene bene, o male male. Te lo dico io. Tieni gli occhi sempre aperti. Anche se voglio bene a Luchino, so che è una serpe. Puoi raggiungere quello che di buono si tiene dentro, ma avrai bisogno di un cavatappi molto speciale". Rotture. La sua interpretazione ne L’onorevole Angelina, gli vale la proposta di Hellen Deutsch, sceneggiatrice, di un contratto di cinque anni a millecinquecento dollari la settimana per la RKO (in cambio, però, di una prestazione sessuale, che Zeffirelli esegue "con lucido e ben ragionato distacco"). Su consiglio di Luchino Visconti non accetta e inizia a collaborare con lui: nelle riprese della Terra trema, nella messa in scena di Rosalinda (con scene e costumi di Salvador Dalì), di Un tram che si chiama desiderio e Troilo e Cressida (per cui cura direttamente la scenografia). Nel 1949 Visconti gli affida l’incarico di andare a Parigi a cercare attori francesi da affiancare a quelli italiani per il film tratto da Cronache di poveri amanti di Pratolini (una coproduzione franco-italiana), e gli dà una lettera di presentazione da consegnare a Coco Chanel, ma al suo ritorno a Roma il regista ha già rinunciato al progetto. Per la prima volta dal loro incontro i due lavorano separatamente, Visconti alla messa inscena di Morte di un commesso viaggiatore, Zeffirelli, come aiuto regista con Antonio Pietrangeli. Tornano insieme nel 1951 per le riprese di Bellissima. Ma subito dopo la fine delle riprese, la delusione: mentre Visconti dorme, in camera sua, qualcuno gli ruba piatti d’oro, opere d’arte e una collezione di orologi, e Zeffirelli, che è ospite della villa, è portato in commissariato dove passa tutta la notte per essere interrogato. "Alla fine non ero che l’amante di un uomo famoso che in realtà non si fidava di me, e che non mi aveva mai veramente accolto nello stretto cuore della sua vita. Non avevo ancora costruito nulla di veramente mio. Ero stato felice perché non avevo mai messo in discussione il suo affetto per me. Ma ora la realtà era fin troppo chiara". Scala. Dopo l’episodio del furto in villa Zeffirelli collabora di nuovo con Visconti nelle riprese di Senso e intanto è incaricato di curare la scenografia dell’Italiana in Algeri, di Rossini, in cartellone la stagione successiva alla Scala (dove nemmeno Visconti aveva mai lavorato). un successo e Zeffirelli è confermato scenografo alla Scala per altri spettacoli, in cui lavora, tra gli altri, con Maria Callas (che dirigerà a Dallas nella Traviata, a Londra e a Parigi nella Tosca e nella Norma). Il suo esordio come regista, oltre che scenografo, è Cenerentola (dopo l’Italiana). Zeffirelli sarà chiamato come regista in tutta Italia e nel mondo (a Londra sia al Covent Garden che all’Old Vic), e dirigerà, tra le altre, Joan Sutherland, a Londra, nella Lucia di Lammermoor, di Donizetti (1958). Tra un’opera e l’altra dirige il primo film, prodotto da Carlo Ponti, con Nino Manfredi e Paolo Ferrari. Virginia. La Magnani si è ritirata a Parigi ed è irrintracciabile dopo aver perso il ruolo della protagonista nella Ciociara, affidato a Sophia Loren, compagna del produttore Carlo Ponti. Zeffirelli, che vuole mettere in scena Chi ha paura di Virgina Woolf, di Edward Albee, pensa alla Magnani, che rifiuta indignata, trattandosi del ruolo di una donna sgradevole, ossessiva e sempre ubriaca. Quando l’opera va in scena, alla Fenice, interpretata da Sarah Ferrati, la Magnani è tra il pubblico e dopo l’ovazione a scena aperta, si precipita in camerino da Zeffirelli: "Figlio di puttana! Questa parte era stata scritta per me! Mi dovevi obbligare. Mi dovevi strozzare. Mi dovevi prendere a schiaffi come faceva Rossellini… Lui lo sapeva come trattare una stronza come me! Chi me la riscrive ora una parte come quella?!". Di Virginia Woolf, Zeffirelli dirige anche una versione francese, che replica per tre anni. Tra le altre regie teatrali, l’Amleto, a Roma, con Giorgio Albertazzi (1963), Molto rumore per nulla a Londra (1965). Bisbetica. Nel 1966 Zeffirelli inizia le riprese della trasposizione cinematografica de La bisbetica domata, con Elisabeth Taylor e Richard Burton, presentato come una produzione Burton-Zeffirelli e distribuito dalla Colombia (è Burton a mettere insieme la maggior parte dei finanziamenti). "A quarant’anni suonati non mi ero ancora convinto di stare vivendo la vita di un altro… Basti pensare a cosa poteva significare per uno che fino a pochi anni prima doveva chiudersi in anguste stanze d’albergo a disegnare scenografie, per guadagnarsi un modesto compenso, trovarsi a volare su un jet privato per discutere con Lyz Taylor e Richard Burton un film da fare insieme". Lyz arriva sempre per ultima sul set, ma poi è impeccabile: "A Hollywood la chiamavano One take Liz (’Liz di un solo ciak”). E devo dire che più tardi, al montaggio, finivo con mia sorpresa per darle ragione. Il primo ciak era quello che poi veniva montato nel film". Romeo e Giulietta. Dopo La bisbetica è la volta di Romeo e Giulietta, distribuito dalla Paramount, in uscita nelle sale di New York nel settembre 1968 (costato due milione di dollari, ne incassa un centinaio solo nella prima stagione). "Con La bisbetica domata seguita da Romeo e Giulietta avevo raggiunto non solo la mia meta ambitissima di lavorare al cinema (e a che livelli!), ma anche un certo successo economico… Con il mio film avevo catalizzato e fatto esplodere energie d’amore in tutto il mondo. Milioni di giovani e di meno giovani si rispecchiarono e si riconobbero nei due protagonisti, nella loro ansia di amare". Incidente. il 15 febbraio 1969, Franco Zeffirelli accetta l’invito di Gina Lollobrigida ad andare con lei, Gianluigi Rondi e un fotografo tedesco, a Firenze, dove il giorno dopo si disputa l’incontro Fiorentina-Cagliari (che nel campionato dell’anno si contendono lo scudetto): "Si tratta di un servizio fotografico di gran classe, internazionale, non uno di quelli che fanno i paparazzi". Il mattino seguente piove a dirotto, ma Gina Lollobrigida vuole tutti i costi guidare lei (partono con una Rolls Royce), ed è già pronta per essere fotografata ("Era conciata da togliere il fiato. Una pelliccia fatta di almeno tre tigri, con un colbacco ottenuto con le zampe delle povere bestie intrecciate. Gioielli, veri o bigiotteria, un po’ dappertutto, e il suo splendente sorriso che metteva automaticamente di buon umore"). Ma Lollo prende male una curva, la macchina sbanda e slitta sul ghiaccio fino a schiantarsi contro una roccia. Zeffirelli finisce in ospedale ad Orvieto, e poi al Salvator Mundi di Roma, dove se la cava grazie all’intervento di un chirurgo inglese, Sir Terence Ward, che in via eccezionale parte dall’Inghilterra per venire a operarlo a Roma. In ospedale accorre anche Visconti, che resta per un paio d’ore: "Ci mormoravamo tutta la nostra storia, con allegria. ”Perché è una bellissima storia, la nostra”, mi disse Luchino. Me lo ripeté fermamente all’orecchio prima di congedarsi: ”è una bellissima storia, ricordalo”". In convalescenza (tre mesi) arrivano anche le visite, gradite, di un marinaio siciliano, Pippo Pisciotto, conosciuto due settimane prima dell’incidente in treno (quando aveva dovuto tirare fuori il suo biglietto da visita per convincerlo di essere Zeffirelli, il regista del film Romeo e Giulietta, che lui aveva visto tre volte). Passa il tempo a leggergli libri ad alta voce e Zeffirelli si convince che sia un angelo mandato dalla zia Lide (morta un anno prima), perché anche zio Gustavo era in Marina. Sogni. In ospedale Zeffirelli sogna San Francesco d’Assisi, il suo santo patrono (al collo porta sempre la medaglia del battesimo con la sua effigie): "La voglia, la decisione di fare Fratello sole nacque così, nel fondo di un letto d’ospedale e con la mia vita ancora seriamente in pericolo". Il film esce in Italia per la Pasqua del 1972, ma le riprese sono piene di inconvenienti (un terremoto che fa crollare l’abside della chiesa romanica di San Pietro, a Tuscania, scelta per alcune scene, l’incidente stradale del pullman con la troupe a bordo che rimane miracolosamente sospeso sull’orlo di un precipizio): "Qualcuno mi aveva detto che san Francesco, profeta di dolcezza e di bontà, era noto anche per essere un santo particolarmente difficile e scontroso.… ha la reputazione di un santo che preferisce ”essere lasciato in pace”. Dicono che ogni volta che si è pensato di fare un film su di lui ci sono stati problemi e contrarietà. Una sorte che toccò pure a noi". Lutti. Luchino Visconti muore il 17 marzo 1976, mentre Zeffirelli sta girando una scena di Gesù di Nazareth in Tunisia (le riprese del film durano due anni, in tempo per uscire sugli schermi Rai per la Pasqua del 1977). Zeffirelli torna a Roma per i funerali e rientra in nottata per continuare le riprese, m all’ora esatta della cremazione del corpo di Luchino fa osservare alla troupe un minuto di silenzio nel Tempio di Salomone: "I più bravi attori del mondo e i migliori tecnici resero omaggio all’uomo che era stato indubbiamente uno dei grandi del cinema e, per me, l’amico più importante e più caro della mia vita". Sedute. Dopo la morte di Visconti Zeffirelli parte e va trovare Gustavo Rol, che organizza in serata una seduta spiritica. "Quella sera eravamo in sei attorno al tavolo. Rol diede a ciascuno di noi un foglio di carta bianca, e ci chiese di piegarlo in quattro parti e metterlo in tasca. Prese una penna e si mise a scrivere febbrilmente su un foglio che aveva davanti, ma senza neppure sfiorarlo: scriveva nell’aria". All’inizio della seduta aveva chiesto a Zeffirelli di non smettere di pensare a quello che voleva chiedere a Luchino e alla fine fa tirare a tutti fuori il foglietto di carta: solo quello di Zeffirelli non è più bianco, ma scritto fitto fitto con la calligrafia di Luchino: "Era inconfondibilmente la sua. Anche ciò che mi scriveva era pieno di dettagli privati che solo io e lui potevamo conoscere. La lettera era colma di affetto e di comprensione dei miei problemi. E anche di una sorta di gioia di poter comunicare con me…. Non avevo mai capito quanto bene mi avesse voluto finché non lessi quella lettera". Dopo la seduta, però, Rol vuole che la lettera sia distrutta. Otello. Con la direzione di Otello, che va in scena alla Scala per l’inaugurazione della stagione 1976-76 (con Carlos Kleiber direttore d’orchestra, Placido Domingo nel ruolo di protagonista, Mirella Ferri e Piero Cappuccilli), Zeffirelli realizza il sogno di trasmettere lo spettacolo in diretta eurovisiva (raggiungendo un’audience di 24 milioni di telespettatori). Los Angeles. Nel 1977 l’idea di girare il remake de Il campione di King Vidor e per realizzarla Zeffirelli si trasferisce a Los Angeles. Il film è prodotto dalla MGM, che in un solo anno incassa centoquarantasei milioni di dollari contro un investimento di nove milioni. Il suo secondo film americano, Amore senza fine ("versione contemporanea di Romeo e Giulietta e film di sentimenti come Il campione"), finito di girare nel 1981, ha un altro grande successo di pubblico (con incasso di ottanta milioni di dollari nelle prime settimane). Traviata. Nell’82 esce finalmente il primo film tratto da Zeffirelli da un’opera, Traviata. Violetta è interpretata da Teresa Stratas, che fin dall’inizio precisa di non volere essere il fantasma della Callas: "Guardatemi. Tutto quello che posso offrivi è il mio corpo piccolo e magro. questo che dovete usare. Non mi sarà difficile far credere alla gente che io sono una donna che sta morendo, mi basta una camicia leggera che faccia vedere come sono magra e fragile. E voglio anche camminare a piedi nudi". Nell’86 segue Otello, prodotto da due israelo-americani, Menachem Golan e Yoram Globus (soprannominati i ”Gammaglobulini”). Venezia. Ispirandosi ancora al mondo dell’opera, dopo Otello Zeffirelli gira Il giovane Toscanini, che non sarà mai distribuito (il regista attribuirà il fallimento alla sceneggiatura). Alla proiezione per la stampa al Festival di Venezia sono addirittura distribuiti fischietti, e quando il nome del regista compare sullo schermo scoppiano insulti e fischi in sala (al ritorno in albergo Zeffirelli sta per versarsi un bicchiere di whisky, quando riceve la famosa telefonata di Silvio Berlusconi: "Che mascalzoni, mi vergogno di essere italiano. Dobbiamo decidere veramente di metterci tutti insieme, anche per aiutarli a capire quanto il mondo sta cambiando"). L’insuccesso ricorda a Zeffirelli la situazione di Dante dopo l’esilio da Firenze: "Dante fu costretto a riesaminare tutta la sua vita, riflettere sugli errori commessi, e cercare di capire che cosa potesse aspettarsi dal futuro. Il risultato di questo processo interiore fu la Divina Commedia… Così questo periodo mi costrinse a fare un serio riesame del mio lavoro e della mia vita. Mi piace identificarmi in Dante perché, come lui, fui costretto a riflettere su quello che avevo fatto e su quello che avrei potuto ancora fare". Risalita. Tra il 1990 e il 1991 lavora contemporaneamente al film Amleto (prodotto e interpretato da Mel Gibson), e all’allestimento del Don Giovanni al Met ("Il destino tornava davvero a sorridermi! "), a cui segue Sei personaggi in cerca d’autore, allestito a Taormina, e poi presentato in lingua originale al National Theatre ("Penso che questa regia sia uno dei miei migliori lavori nel teatro di prosa… Anch’io, come il Poeta, finalmente emersi dal mio periodo buio"). Riporterà Pirandello a teatro nel 2003, a Londra, con Absolutely! Perhaps? adattamento di Sherman, di Così è (se vi pare), a Londra. Tra gli spettatori il Principe Carlo, che lo invita a una cena privata al Saint James’s Palace ("Eravamo cinque o sei, ed ebbi l’occasione finalmente di conoscere Camilla Parker-Bowles, verso cu avevo un’istintiva simpatia prima d’incontrarla"). Intolleranza. Tra le cose che più irritano Zeffirelli, l’intolleranza dell’Islam, sperimentata direttamente in occasione della proiezione di un suo film promozionale sulla Toscana, a Riad, in Arabia Saudita. I funzionari arabi vorrebbero tagliare le immagini del David di Michelangelo e della Nascita di Venere di Botticelli, ma Zeffirelli non lo permette. Capinere. Quando chiedono a Zeffirelli quale preferisca dei suoi film, risponde: "Quelli che hanno avuto meno successo… Li amo come si ama un figlio handicappato: il bambino pieno di salute se la cava da solo, ma quello menomato ha bisogno di sostegno e di tanto amore". Tra questi Storia di una capinera, con interprete, tra gli altri, Vanessa Redgrave ("un altro film che ha molto sofferto per la mancanza di una sceneggiatura adeguata"). Politica. Nel 1994 l’esordio in politica di Zeffirelli, coinvolto direttamente da Berlusconi ("Come vecchio leale amico, e come un intellettuale dichiaratamente anticomunista quale sono e sono sempre stato, fui io uno dei personaggi a cui si rivolse"). Si candida come senatore a Catania, ottenendo il 62 per cento dei voti. Dopo le elezioni ottiene da Berlusconi un congedo dagli impegni in Senato per girare il film tratto dal romanzo di Charlotte Brontë, Jane Eyre ("con l’impegno però di tornare a Roma a qualunque costo per le votazioni più importanti, quelle dove anche un voto poteva essere decisivo"). Dopo la caduta del governo nel marzo 1996, si ricandida a Catania, ottenendo 68.400, tremila voti in più delle elezioni precedenti. Un tè con Mussolini. Il film in cui Zeffirelli si è divertito e commosso di più: "La storia è semiautobiografica, ispirata dai ricordi della mia adolescenza a Firenze, tra gli ”Scorpioni”, come i Fiorentini hanno chiamato da sempre quelle stravaganti e leggendarie dame inglesi". Su ”Repubblica” nel marzo 1999 Tullio Zezich scrive: "Il regista, destrorso conclamato, firma il film più visceralmente antifascista di tutta la storia del nostro cinema; A questo punto abbiamo capito che Franco Zeffirelli non è politicamente classificabile". Aidina. Lo spettacolo d’opera più riuscito e felice che Zeffirelli abbia mai messo inscena, è l’Aida, anzi, l’Aidina, che debutta il 27 gennaio 2001 nel Teatro Verdi di Busseto (duecentocinquanta posti e un prosceni largo sette metri), in occasione del centenario verdiano. Callas. Nel 2002 esce Callas Forever, il film sulla vita di Maria Callas, interpretato da Fanny Ardant. un insuccesso a Parigi ("in quel momento una gran parte della cultura e dell’informazione francese era apertamente ostile a quel che aveva da offrire l’Italia governata da Berlusconi"), ma piace in Italia, in Giappone, "dove realizzò incassi da record", e in Russia, "dov’è diventato un film da antologia". In Grecia Zeffirelli ottiene perfino la cittadinanza onoraria. Ottanta. "Onestamente, noi siamo come pensiamo di essere. La visione che abbiamo di noi può essere talmente convincente anche per gli altri, che c’è la tentazione di credere che corrisponda alla realtà. Sentivo nell’aria un crescente profumo di celebrazione, e con l’approssimarsi di febbraio cominciai a rassegnarmi a dover festeggiare i miei ottant’anni. Sono due le età che hanno un peso particolare nella storia di una persona: i vent’anni, che sono un saluto alla vita e a tutto quello che ci offrirà, e gli ottanta, il tempo delle riflessioni e di bilanci. Quando mi chiedono l’età, rispondo disinvoltamente: ”Quattro volte venti”, che vorrebbe dire che mi sento quattro volte ventenne! Ma poi, se mi guardo allo specchio, mi debbo piazzare in quella fascia che va dai sessanta ai settantacinque". Adozioni. Nel 1999 Zeffirelli adotta Pippo Pisciotto, il marinaio, e Luciano Bacchielli, giovane autista conosciuto nell’81 (in occasione di una serata di beneficenza organizzata a Viterbo, a favore degli animali abbandonati), che durante il viaggio gli aveva confidato di essere figlio illegittimo e di essere cresciuto in orfanotrofio: "Mia zia Lide diceva che i parenti non te li trovi nella culla: quelli, anzi, sono spesso serpenti. La parentela non è tanto quella del sangue ma quella dettata dall’affetto". Madame Butterfly. L’opera che a Zeffirelli non è mai piaciuta, ma che ha messo in scena nel 2004 all’arena di Verona su implorazione del sovrintendente Claudio Orazi, "per salvargli la stagione". "Vi prego di perdonare la mia consueta arroganza, se in tutta sincerità penso che sia stato un record assoluto riuscire a creare uno spettacolo come quello in meno di quattro mesi". Mostre. Nel 2004 il Museo Puskin di Mosca allestisce una mostra su Zeffirelli. Visitata da più di millecinquecento persone al giorno ("un record per il museo"), è prolungata di due settimane ("Avrebbero voluto tenerla più a lungo, ma dovettero lasciare il passo a una mostra con opere di Matisse!"). Nello stesso anno è insignito del ”premio dei due presidenti”, istituito congiuntamente da Putin e Berlusconi. Insieme a lui è premiata Irina Antonova, direttrice del Museo Puskin. I fiorentini. Titolo del film che Zeffirelli sogna da sempre di girare, sugli artisti del Rinascimento fiorentino, per rappresentare le suggestioni evocate dalle opere d’arte della sua città natale. Fortebraccio. Intervistato nel 1978 su Rai 2 sul maggior successo dell’opera lirica nei Paesi dell’Est rispetto all’Europa occidentale, Zeffirelli pronuncia la seguente battuta: "La circostanza forse si spiega col fatto che i regimi dell’Est impediscono ai cittadini di parlare, ma li lasciano cantare tranquillamente". Commento di Fortebraccio (pseudonimo di Mario Melloni) in prima pagina sull’’Unità”, a gennaio, con un pezzo intitolato Per il bene dello Zeffirelli, in risposta a una lettera di un lettore: "Caro compagno Bucci, la domanda che io mi faccio, dopo aver letto la dichiarazione del signor Zeffirelli, riguarda l’impudenza, addirittura svergognata, di questo ganimede baciapiede, regista di cioccolatini. Nessuno nega e può negare che la repressione del ”dissenso dell’Est” sia da condannare, e nessuno può, né deve, proibire a uno Zeffirelli di proclamarsene avverso. Ma è chiaro che egli parla da italiano, in funzione anticomunista italiana e, idealmente, si pronuncia da Roma, dove credo che viva. Orbene, proprio a Roma sono state ben sedici, finora, le vittime del terrorismo e in tutta Italia si lamentano morti ammazzati, rapimenti, ferimenti, agguati. La scuola è in sfacelo, gli ospedali non funzionano, i disoccupati raggiungono i due milioni e a Napoli muoiono decine di bambini, uccisi, prima ancora che dalla malattia, dalla miseria, dalla sporcizia, dall’abbandono […] Il signor Zeffirelli è uno dei maggior corifei di quella ganga di lor signori alla quale risale, diretta o indiretta, la responsabilità dello sfacelo di questo Paese. Il signor Zeffirelli è uno spudorato, caro compagno, e io gli auguro, per il suo bene, che sia incapace di vergognarsi quanto meriterebbe la sua bassezza".