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 1999  giugno 07 Lunedì calendario

«Egregio Scalfari, spero che lei abbia voglia di ascoltare una voce fuori dal coro sull’omicidio D’Antona

• «Egregio Scalfari, spero che lei abbia voglia di ascoltare una voce fuori dal coro sull’omicidio D’Antona. Sono stato allievo del prof. D’Antona all’università di Catania 15 anni or sono. Rimasi subito affascinato da quel giovane docente che insegnava con entusiasmo, capace di scomporre il più complesso istituto giuridico in concetti immediatamente fruibili, senza far perdere al discente l’unità della costruzione di pensiero, con lucidità invidiabile e convinto fervore politico e sociale. Decisi di chiedere la tesi in Diritto del Lavoro e cominciai a frequentare il relativo Istituto. Poi venne il c.d. Decreto di S. Valentino sul blocco della scala mobile, che io avversavo. L’intero Istituto di Diritto del Lavoro lo appoggiò, con in testa D’Antona che all’epoca era molto più vicino al Psi di Craxi che non al Pci. Ricordo la cocente delusione che provai di fronte a quello che consideravo – e considero – un tradimento delle ragioni della sinistra da parte di uomini che avevo stimato, e che fornivano copertura tecnico giuridica ad un provvedimento che, privo di senso sul piano tecnico, politicamente aveva la funzione di scaricare in massima parte sui salariati il costo della riduzione dell’inflazione. Per inciso, cambiai tesi. Adesso vivo a Roma, ho un buon lavoro in una importante società, una bella casa e tutto ciò che si può desiderare. Continuo però a sentire un rancore profondo dentro di me verso i traditori delle ragioni della sinistra, che si acuisce ogni volta che il mio datore di lavoro chiude i bilanci con 100 miliardi di utili (com’è accaduto quest’anno) e io so che – al meglio – avrò in premio un fuori busta di un paio di milioni lordi. L’utile si divide tra gli azionisti che non ci sono, non si vedono, se non esistessero la società non se ne accorgerebbe neppure. E io, mi creda, mi sento derubato di 100 miliardi che sento miei, perché sono frutto del lavoro mio e dei miei colleghi.
• Credo quindi di poter dare dell’omicidio D’Antona una lettura diversa da quelle che sinora ho ascoltato. Ritengo che la ”resurrezione” delle Br (se verrà confermata) in ambienti di medio/alto livello culturale e forse sociale, come sembrerebbe ipotizzabile dalla lettura del comunicato di rivendicazione, sia un elemento prevedibile, prevedibilissimo. Perché stupirsi se la generazione di studenti che è cresciuta nel mito del ’68, ha dato vita al ’77, ha subito l’ottusità degli anni ’80 e ’90 ed ora non si riconosce in questa società riscopre la lotta armata, il furore del ”tanto peggio, tanto meglio”? Un lavoratore dipendente del terziario di buoni mezzi intelletivi e culturali, per due milioni al mese, o poco più, esce di casa che non è ancora giorno e rientra col buio, viaggia su metropolitane puzzolenti e affollatissime, combatte guerre con i colleghi, i capi, i sottoposti, ha l’infarto da stress, si sfianca, talvolta si umilia, tutto per ottenere un promozione, un aumento di stipendio, che gli consentano di accedere al possesso di un’auto più bella, all’acquisto di un soggiorno in un villaggio vacanze, uniche speranze di un mondo senza speranze. Perché adesso tutti la pensiamo allo stesso modo, tutti vogliamo le stesse cose, tutti abbiamo accettato il mercato e le sue regole. Siamo in un vicolo cieco, è morta la speranza di un mondo diverso, una società diversa. Possiamo solo puntare a banali micro obiettivi, a piccoli miglioramenti, in fondo secondari, di un modus vivendi che è comunque segnato. Allora perché stupirsi, e perché inquietarsi, se qualcuno tenta di andare oltre questo misero orizzonte, tenta di sfondare il muro del vicolo cieco in cui si dibatte e di cui si sente prigioniero? Ammesso che il mezzo, cioè la lotta armata, l’omicidio politico, sia errato e comunque non efficace, forse il tentativo è comunque migliore dell’apatia e della resa. La prego di credere che la morte di Massimo D’Antona mi addolora profondamente sul piano personale ed umano, ma non posso fare a meno di considerare che si tratta di un obiettivo estremamente efficace sul piano politico, come simbolo della pretesa sinistra che ha messo la sua competenza al servizio dell’impresa e che viene colpita da chi si ritiene unico depositario dei valori della vera sinistra. Inoltre non si può negare che il risveglio della generazione dormiente (se di questo si tratta, come voglio sperare) sia da salutare come il primo fatto socialmente positivo del decennio» (Lettera di Massimo Di Stefano).