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 2016  novembre 12 Sabato calendario

Oscar Giannino per Libero

«Perché il dottor Paolo Mieli ha detto ad Alberto Nagel, direttore generale di Mediobanca, che Giovanni Consorte doveva pagare perché si era prestato a operazioni di bassa lega per conto di D’Alema?»

• Oscar Giannino per Libero

«Perché il dottor Paolo Mieli ha detto ad Alberto Nagel, direttore generale di Mediobanca, che Giovanni Consorte doveva pagare perché si era prestato a operazioni di bassa lega per conto di D’Alema?». «Perché in un’altra occasione la stessa accusa venne fatta a Consorte da Giuliano Amato, presenti Mieli, Andrea Manzella e Cesare Romiti, che lo riferì a Francesco Cossiga?». Sono interrogativi di Giovanni Consorte. Che vi terranno compagnia, cari lettori, per un po’ di settimane. Da due anni, Consorte combatte con la stessa determinazione con cui nei venticinque precedenti ha portato la ”sua” Unipol a essere il terzo gruppo assicurativo italiano: dacché perdeva quasi un miliardo di lire l’anno quando ne divenne amministratore delegato, nel 1996.

Consorte però da due anni combatte su un altro fronte. Ai pm di Milano e Roma, che lo indagano per le vicende della scalata tentata da Unipol a Bnl nell’estate rovente del 2005 e che sondano tutte le piste per ricondurre la vicende di Bnl, Rcs e Antonveneta a un’unica regia, oppone una determinazione ferrea. Centinaia e centinaia di pagine di memorie e controdeduzioni, indagini di parte avviate e realizzate dai propri legali per smontare una per una tutte le accuse che gli vengono rivolte.

Chi qui scrive - ne informo il lettore perché lo sappia - per molti anni ha seguito i tentativi di Consorte di far crescere la Unipol nel panorama finanziario, assicurativo e bancario italiano. Certo, Unipol è controllata dalla cooperative "rosse" di Legacoop. Ma l’amor di verità dovrebbe indurre a evitare di farsi condizionare da questo aspetto: quando si è accusato di reati come l’aggiotaggio, l’associazione a delinquere e l’appropriazione indebita, ciò che deve valere è solo se i reati abbiano un fondamento o meno, e nient’altro.

In ogni caso, poiché a distanza di due anni la virulenza sulla grande stampa delle intercettazioni telefoniche e della pubblicazione di brani di interrogatori degli indagati non accenna a diminuire, abbiamo chiesto a Giovanni Consorte se fosse disponibile a fare insieme a noi un punto generale delle vicende che lo hanno investito. Ha accettato di buon grado. Risponderà a ogni domanda. Di conseguenza, da oggi inizia la pubblicazione a puntate dell’intera ricostruzione della vicenda Bnl, nonché di tutto ciò che i magistrati hanno ritenuto di vedervi collegato.

Gli inquirenti e molti grandi giornali pensano ancor oggi che la scalata ad Antonveneta di Fiorani, quella a Rcs di Ricucci , e quella su BNL di Unipol siano stati il frutto di un’unica regia, violando il codice penale. E Consorte è diventato il sospetto numero uno. Persino più di Fiorani, il disinvolto ex capo della Banca di Lodi. Perché i lodigiani con quei metodi volevano continuare a crescere contro le maggiori banche italiane. Mentre Consorte non solo ha la colpa di aver mirato al primo grande gruppo banco-assicurativo italiano.

Il sospetto, nel suo caso, è più grave. Unipol significa infatti la Lega delle cooperative, 400mila dipendenti, 7,3 milioni di iscritti. Ma Legacoop non è solo supermercati, costruzioni o finanza. Pesa il legame con l’asse storico Pci-Pds-Ds. Ed ecco perché molti hanno identificato Consorte come il nuovo "Compagno G", quel Primo Greganti che ai tempi di Tangentopoli divise l’Italia in due, alcuni convinti che il Pci sulle tangenti era eguale a tutti gli altri ma veniva risparmiato, altri che nessun paragone era possibile e che in ogni caso Greganti era il simbolo di come i comunisti potessero finanziare il partito, ma senza mai arricchirsi e restando in silenzio.

Senonché, del compagno G nessuno sapeva niente. Consorte invece ha guidato Unipol per 10 anni, l’ha risanata, condotta a produrre utili, fino a renderla un protagonista della finanza italiana. Con un obiettivo: crescere. Per anni, Consorte le ha tentate tutte. Cercando il consenso del vecchio pilastro storico della finanza rossa, il Montepaschi di Siena. E la preda era anche allora Bnl. Oppure un ancor maggiore gruppo centroitaliano, che passasse anche per Capitalia: con l’accordo di Gilberto Gabrielli, capo degli olandesi di Abn Amro in Italia, e buon amico di Consorte perché entrambi cresciuti negli anni 70 alla Montedison. Se ne parlò dal 99 - quando Consorte debutta alle considerazioni annuali di Bankitalia, alla fine di ogni maggio - al 2002.

Poi le grandi banche italiane fecero pesare che Siena era anche nel patto di controllo di Generali, e il Monte si decise a restar solo. Unipol scoprì allora che per crescere sarebbe stata dura. I suoi tentativi sono andati a vuoto su Meliorbanca, sulla Toro, e sulla grande distribuzione di Esselunga. Per l’acquisizione andata a segno della Winthertur assicurazioni, nel 2003, Consorte dovette pagar caro, un miliardo e mezzo di euro.

Questa è la premessa generale da tener presente, prima di iniziare a sentire da Consorte la sua ricostruzione dei fatti. Chi scrive, la filtrerà alla luce di quanto conosce e sa delle carte, dei numeri e delle vicende finanziarie di cui si parlerà. Diciamolo chiaro sin dall’inizio: il sospetto di alcuni è che la presenza di Unipol nella Hopa di Chicco Gnutti, sin dai tempi dell’opa Colaninno in Telecom, abbia mascherato da anni provviste finanziarie illecite, comuni magari ai bresciani e a Unipol, su mega operazioni come poi quella attraverso la quale Tronchetti Provera nel 2001 assunse il controllo del grande gruppo telefonico italiano.

Il problema è di vedere se tutto ciò sia un luogo comune alimentato ad arte da veleni politico-editoriali, o magari se non si anche la rivincita delle grandi banche italiane che guardavano ai bolognesi di via Stalingrado come un pericolo. O se sia invece vero. Anche a Torino, ricordano bene quando nel dicembre 2002, dimessosi Paolo Fresco, Chicco Gnutti sondò Consorte per vedere se insieme si poteva rilevare la Fiat. Un altro segno che via Stalingrado andava fermata.

Consorte, l’ingegnere chimico con master in finanza che in tanti anni di attività non è riuscito a dismettere una calata chietina e una schiettezza di parole che a volte diventa torrentizia, è assunto a materia di scandalo e divisione per elettori e dirigenti della sinistra. Ma è stato davvero per anni alla testa di una rete di malaffare? E’ questo, che insieme a lui tenteremo di capire. Per tutte le puntate che sarà necessario, per dipanare davanti ai vostri occhi uno dei mosaici più intricati e velenosi della storia finanziaria italiana dell’intero dopoguerra.

Un’ultima premessa. Oggi, leggerete qui tutte le domande che Consorte fa a se stesso, dopo due anni di battaglie giudiziarie. Dalla prossima puntata, inizieremo a entrare nel merito di ogni singolo passaggio della vicenda Bnl e delle indagini aperta a Milano e Roma. Ma, per oggi, mi accontento di farvi capire i tanti perché che si agitano nella mente dell’irriducibile assicuratore rosso. E gli lascio la parola, in questo primo incontro.

"La controindagine che io chiedo - dice Consorte - è su chi ha fatto fallire l’opa di Unipol su Bnl. Una volta dichiarata la nostra intenzione alle autorità competenti a vigilare sul mercato, presentato il piano industriale , il prospetto finanziario dell’opa come tutte le informative dovute sull’aumento di capitale che Unipol ha sostenuto in vista dell’acquisizione, abbiamo aspettato per sei mesi che i regolatori si pronunziassero. Sei mesi: un’attesa senza precedenti, nella storia finanziaria italiana. Alla fine, dal luglio 2005 la risposta conclusiva di Bankitalia venne solo il 10 gennaio del 2006. Quando Vincenzo Desario, il giorno prima di andare in pensione, firmò il rigetto a nome di via Nazionale ai requisiti patrimoniali di Unipol per poter rilevare Bnl. Ma mesi prima il dottor Carosio, alla presenza del governatore Fazio, ci aveva detto il contrario. Perché?

"Perché alla fine si decise di applicare a un’opa lanciata nel 2005 una norma sui requisiti patrimoniali dei cosiddetti conglomerati finanziari banco-assicurativi che ancora non era scritta, e di cui era previsto in teoria l’entrata in vigore solo l’anno successivo? Perché, quando nell’estate precedente il dottor Frasca per Bankitalia ci aveva detto il contrario? Perché l’Isvap, l’organo di vigilanza sulle assicurazioni che in teoria doveva formulare a Bankitalia un parere solo consultivo per l’autorizzazione dell’opa, invece di 15 giorni come da procedura impiegò per rispondere oltre due mesi? Il nostro prospetto per l’opa su Bnl fu presentato alla Consob nell’agosto 2006. Perché venne discusso e ridiscusso su dettagli infinitesimali per mesi interi? Perché tutto ciò avvenne mentre Unipol tuttavia metteva in atto il suo aumento di capitale per circa 2,6 miliardi di euro? Come mai, visto che le megafusioni bancarie italiane vengono comunicate e approvate dalle autorità politiche di governo nonché dai regolatori di mercato nel giro di pochi giorni se non nel giro di poche ore, e quando nessuno ne conosce neanche minimamente i piani industriali? "

Consorte va avanti di filato. Ragiona a freddo. Ma ogni tanto la voce gli si incrina. Gli brucia troppo, ancora, e la passione governa a malapena la stizza che a volte gli inumidisce anche l’occhio. "I pm sospettano nella vicenda Antonveneta che il governatore Fazio abbia ritardato ad arte l’autorizzazione a crescere nel capitale della banca che gli olandesi di Abn Amro richiedevano, allo scopo di favorire invece la Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani. Ma perché non ci si rende conto che facendo attendere Unipol per oltre sei mesi analoghe autorizzazioni sull’opa per Bnl, siamo stati vittime di un meccanismo forse analogo?"

Interrompiamo Consorte. Perché contro di lui si sono scagliati il Corriere della sera, il Sole 24 ore e Repubblica. La Margherita, ex socialisti come ex democristiani. Confindustria, il sindacato, persino mezzo partito dei Ds. Mica roba da poco, come lista di nemici per la pelle. Consorte frena a stento l’impeto. "E’ così. Infatti a due anni di distanza, di fronte agli argomenti che io porto ai magistrati e che smontano una dopo l’altra le accuse, di fronte al fatto che non patteggerò mai perché sono certo di non aver violato la legge e di non aver partecipato ad alcuna regia congiunta su operazioni che nulla avevano a che vedere con la nostra su Bnl, di fronte a tutto questo il concerto dei miei accusatori è costretto a montare accuse mediatiche sempre più false e spericolate, come quelle riapparse in queste settimane sul Sole o sul Corriere. A nessuno sembra interessare che Unipol, a differenza degli spagnoli del Bilbao che offrivano di rilevare Bnl con un’operazione carta contro carta, prospettava invece agli azionisti denaro liquido, grazie al proprio free capital e all’aumento di capitale realizzato per 2,6 miliardi, con soli 400 milioni di aggravio di debito su un’operazione di acquisizione che ammontava a circa 6 miliardi".

Perché alla scalata Unipol su Bnl si è data una valenza politica, replichiamo a Consorte. "Già - risponde - ma come si fa a dargli una valenza politica, quando dalla pubblicazione delle telefonate intercettate si ha la prova provata che i politici chiamavano loro me, e solo a scopo informativo e mai intromissivo sull’operazione? Perché io mi ritrovo additato al pubblico ludibrio e plurindagato dopo due anni a seguito di esposti assolutamente generici come quelli allora presentati dagli spagnoli del BBVA, secondo i quali Unipol non aveva i denari per acquisire la Bnl? Perché ci si vuole confondere con soggetti che non avevamo nemmeno mai nemmeno incontrato, come i Ricucci e i Coppola?

Lo stesso ingegner Caltagirone - del conropatto che si era formato in Bnl avverso a Generali, Della Valle e BBVA che sostenevano Luigi Abete - prima dell’estate 2005 lo avevo visto una sola volta.." E Fiorani? "Le dimostrerò per filo e per segno che nella vicenda Antonveneta la Unipol non c’è entrata né per diritto né per rovescio. Mai. Come in quella Rcs. La Popolare di Lodi ci offrì il suo 1,62% che deteneva di Bnl, senonchè noi rispondemmo che siccome loro erano impegnati su Antonveneta non se ne faceva nulla perché non intendevamo mischiare i due dossier.

E in ogni caso scoprimmo pure che se l’erano venduta a Deutsche Bank, la loro quota in Bnl, e lo abbiamo documentato alla Consob che non ne aveva neanche il sospetto. Le pare l’atteggiamento di chi stava concertando con Fiorani l’assalto congiunto ad Antonveneta e chissà che altro? Ma andiamo, per piacere. Piuttosto, perché non parliamo di uno scandalo che è sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno dei grandi giornali che mi accusa sembra notare?".

Cioè? "Vogliamo parlare d violazioni della privacy, visto che nel caso di Lapo Elkann il Garante si è precipitato a intervenire?" Che c’entra? "Grazie ai nuovi pervasivi poteri di cui le norme sui reati finanziari hanno dotato i pubblici ministeri, nell’estate 2005 , anzi dal 5 luglio per la precisione, vengo messo sotto intercettazione in teoria per i fatti di Antonveneta, sui quali né io né Unipol hanno nulla a che spartire.Da allora, di giorno in giorno gli inquirenti si mettono in condizione di seguire in tempo reale passo passo tutti gli avvenimento finanziari di quell’estate. E di adottare le misure interdittive personali e anche patrimoniali che la nuova normativa consente.

Eppure una ragione ci deve essere, se gli stessi pm adottano misure patrimoniali che bloccano l’intera operatività della BPI di Fiorani, mentre nulla di analogo avviene per Unipol, tranne la mia defenestrazione mediatico-giudiziaria. Per la quale ho anche sposto querela a Bologna contro le indebite pressioni esercitate da Unipol nei miei confronti, per indurmi alla fine a dimettermi".

Si pensava che la malabestia del cancro ci avrebbe pensato lui, a mettere Consorte definitivamente fuori combattimento. E a farlo tacere. "E invece mi dispiace per i miei accusatori, ma non è andata così. Il cancro l’ho tenuto a bada anche con la forza di volontà. La stessa che mi porta a contrastare con argomenti concreti tutte le accuse rivoltemi. Come è possibile che io stato stato accusato di collusione con il giudice Francesco Castellano, indagato a Perugia per millantato credito e abuso d’ufficio in quanto sospettato di passarmi notizie sulle indagini sostenute da colleghi nei miei confronti, ma quando Perugia archivia l’accusa che cade nel nulla, alla fine sui media che continuano a dedicarmi pagine d’infamia non esce nemmeno una riga? Come mai non ha nessun rilievo, che in tutte le operazioni sulle quali sono indagato come ex capo di Unipol, nessuno ci ha rimesso un solo euro e anzi Unipol ci ha guadagnato un pacco di quattrini?

Unipol ha guadagnato dalla cessione della sua quota in Bnl ai francesi di Bnp ottanta milioni di euro. Sessanta, dalla cessione delle quote detenute in Antonveneta agli olandesi di Abn Amro. Cinquanta milioni, dalle cessioni di quote detenute in Bell. Altri cinquanta, dai titoli detenuti in Olivetti. Oltre 100 milioni dallo spin off immobiliare per l quale sono indagato a Roma, e su cui torneremo difffusamente più avanti. Unipol ha guadagnato anche 12-13 milioni dalla quota detenuta nella Popolare di Lodi. In totale, sono oltre 350 milioni di euro guadagnati per Unipol. Non da me. Da Unipol, in tutte le operazioni per le quali sono massacrato da due anni.

Gli azionisti di Bnl, poi? Senza l’opa di Unipol, il prezzo non sarebbe passato dai 2,5 euro per titolo che offriva il Bilbao, ai 2,70 offerti da noi, che pagavamo in più per cassa e non carta per carta. Venti centesimi per ogni titolo Bnl, a ogni azionista, li abbiamo fatti guadagnare noi. Il bilancio finale qual è? L’Italia ha perso la titolarità di una banca, la Bnl, finita ai francesi che hanno naturalmente spostato a Parigi tutti i vertici e le funzioni operative. Unipol è stata sconquassata ed è all’angolo da due anni, per la gioia di tutti i suoi concorrenti. Io, personalmente, sono stato massacrato. inaccettabile. immondo, che mezza politica italiana e la grande stampa abbiano orchestrato tutto ciò. Perché il dottor Mieli ha detto che dovevo pagare perché operavo per D’Alema?".
Appunto, ricominciamo di lì, dalla prossima puntata.
(1. continua)


• «Quando nel ’91 ho salvato la sinistra». Libero 5 luglio 2007. Dunque, indagato Consorte Giovanni, nella nostra prima puntata eravamo arrivati alla fine della sua lunga lista di perché irrisolti, dopo due anni di massacro mediaticogiudiziario come lei l’ha definito. Ed eravamo tornati all’interrogativo iniziale: perché Paolo Mieli ha sostenuto che Consorte doveva pagare perché operava per conto di D’Alema? Forse è il caso di raccontare la storia del suo rapporto con la guida di Unipol e la sinistra dall’inizio, non crede? Non è che Fassino e D’Alema spuntino fuori dal nulla, con le telefonate intercettate e spiattellate alla stampa dell’estate 2005. «Benissimo, cominciamo dall’inizio», è la prima risposta di Consorte. Con lui, oggi ricostruiremo tutte le premesse per le quali Unipol si decise, nel 2005, a lanciare un’opa su Bnl. Come vedrete, sono premesse che affondano le radici in anni e anni di vicende finanziarie precedenti, e non c’entrano nulla con l’ipotesi sulla quale indagano gli inquirenti milanesi, per la quale c’era un’unica regia delittuosa che accomunò la scalata a Rcs di Ricucci, quella di Fiorani ad Antonveneta, e quella dei bolognesi di via Stalingrado alla banca romana guidata da Luigi Abete. Ma lasciamo la parola a Consorte. «Tutto cominciò il 4 novembre del 1991», inizia Consorte. «Cinzio Zimbelli, che insieme ad Enea Mazzoli per anni era stato il deus ex machina finanziario delle coop, era in fin di vita. Al terzo infarto, due ore prima di morire, mi fece giurare che sarei stato io, a occuparmi di rimettere in sesto Unipol Finanziaria, allora la società controllante di Unipol. Accettai. Unipol Finanziaria era gravata da 815,7 miliardi di lire di debiti nei confronti del sistema bancario, e registrava purtroppo oltre 500 miliardi di lire di perdita. Questa è stata l’eredità che ho trovato sulle mie spalle. Alla fine io e Sacchetti riuscimmo a restituire alle banche oltre millecento miliardi di lire. Eppure, sin da allora avrei dovuto capire una cosa che forse avrebbe potuto tornarmi utile, col senno del poi, nelle vicende di cui parliamo oggi». Cioè? «Enea Mazzoli e gli altri componenti del cda, espressi dal mondo coop e vicini al mondo politico socialista e comunista, assistevano al risanamento che stavamo conducendo e al contempo restavano sulle loro. Era come se sottendessero che "Consorte non poteva non sapere", per effetto di quali scelte avventate operate negli anni precedenti si erano determinati quei debiti e quelle perdite, e per questo lo stesso Consorte si doveva adoperare per risolverle». Non era così? «Neanche per idea, naturalmente. Erano loro, non io, ad aver deliberato negli anni decisioni e strategie che avevano portato Unipol sulla soglia del tracollo. In più, bisogna tener conto che eravamo nei mesi caldissimi in cui si preannunciava l’esplosione del tornado che sarebbe avvenuto di lì a poco». Tangentopoli, Mani Pulite, l’era del pool di Milano castigamatti e affossa Prima Repubblica e tutto il suo malaffare collegato ai partiti. Se è questo che intende, la sinistra comunista restò fuori dall’autodafè sacrificale, però. «Un momento. Non è affatto così. La crisi di Unipol Finanziaria era così profonda che determinò uno stallo strategico di Unipol durato 8-9 anni, nei quali la compagnia assicurativa non aveva risorse per cogliere al volo le occasioni di crescita sul mercato. I mezzi che riuscimmo a procurarci attraverso una strategia di efficienza servirono a rimettere in sesto Unipol Finanziaria, non a far crescere la compagnia. Proprio in quella prima fase scoppiò Tangentopoli. E per me il lavoro raddoppiò. Perché fui chiamato a prestare una pressante opera per farci carico della ristrutturazione di molte grandi cooperative, nel settore della costruzionelavoro, che erano state seriamente colpite dagli effetti delle indagini a tappeto del pool milanese, nel settore delle opere pubbliche. Coop dalla tradizione storica e dal fatturato molto importante, come la Cmc di Ravenna e la Edilterra, stavano affrontando per via dei contraccolpi di Tangentopoli un momento nerissimo». E lei? «Non mi tirai certo indietro. Lavorando notte e giorno, rimettemmo in sesto tutto. Salvammo migliaia e migliaia di posti di lavoro che erano a serio rischio. E ponemmo le premesse per crearne altre migliaia, negli anni successivi». Non è che siano molto riconoscenti, nei suoi confronti. La Unipol attuale l’ha pure querelata, presso la procura di Roma. «Ci arriveremo. Ma devo dire che nella base cooperativa i lavoratori e i soci non hanno dimenticato. Ancora oggi, quando giro, tutti mi sono grati. Altra storia è quella dei vertici. Allora, lavorammo ventre a terra con Federcoop, l’articolazione territoriale delle cooperative. A Bologna, allora, in Federcoop c’era Pierluigi Stefanini che oggi guida Unipol. I vertici si comportarono come se avessi io delle responsabilità oggettive e indirette per quello che era avvenuto in passato. Avrei dovuto capirlo, che in quell’atteggiamento c’era anche una punta di quella malafede che ho visto riemergere nei miei confronti dopo le vicende del 2005. Oggi ho un’idea assai più precisa di allora, su vicende dalle quali tutti i lettori potranno farsi la propria idea precisa, in materia di chi abbia mantenuto un atteggiamento davvero etico ai vertici del movimento cooperativo italiano. Ma ci torneremo più avanti, quando avremo ricostruito per intero la vicenda Bnl, e trarremo un bilancio complessivo su come ciascuno si è comportato, in Unipol, in quegli anni e nel seguito sino ad oggi». Ma i suoi rapporti con la sinistra com’erano, in quegli anni difficili in cui mezza politica cadeva a pezzi sotto gli arresti, e lei intanto salvava grandi cooperative rosse? Iniziavano a dire di lei che era «il Gorbaciov della finanza rossa» o «il Cuccia delle coop», come scriveva Peppino Turani: coi vertici del partito doveva parlare parecchio, ho l’impressione. «Certo che parlavo moltissimo. Ma dei problemi relativi alle ricadute occupazionali di grandi coop. Non certo delle strategie industriali di Unipol che iniziavo a disegnare. Di quelle, non ho mai parlato coi vertici di alcuna forza politica, perché le decidevamo noi in Unipol. Non ho nulla di cui vergognarmi, ricordando che con molti politici della sinistra ho parlato a lungo per il salvataggio del movimento cooperativo. Era ed è un pezzo importante dell’impresa italiana, non solo di storia o di preistoria come alcuni pensano, a maggior ragione dopo averci messo nell’angolo nel 2005. Su questo, i rapporti coi vertici del Pci, del Pds e poi dei Ds non potevano che essere intensi e positivi». Già, ma negli anni successivi, quando il timone passa a Piero Fassino, di lei si dice che abbia avuto un ruolo addirittura decisivo, nella ristrutturazione dei debiti ingenti questa volta direttamente dei Ds, non delle cooperative o di Unipol Finanziaria. «Ci arriveremo, un passo alla volta. Ci arriveremo, non si preoccupi. Non mi ritraggo certo dalla questione. Ora non mi faccia perdere il filo. Stavamo parlando dell’atteggiamento che sin dall’inizio nei miei confronti fu tenuto non dalla base, ma da alcuni personaggi di spicco del movimento cooperativo». E dunque? «Sin dall’inizio, come dicevo, mentre le coop di costruzione-lavoro stabilirono rapporti che non potevano che essere fondati sul grande apprezzamento di quanto avevamo fatto per salvarle, ben diverso fu l’atteggiamento riservatomi dopo il 2001 da alcuni vertici delle coop nel settore del con- sumo e della grande distribuzione». La vedevano di cattivo occhio? Ci sta dicendo che il dissenso verso l’operazione Bnl dei toscani e di Turiddo Campaini affonda le radici in molti anni prima dell’estate 2005? «Dico solo che le coop del consumo sin dall’inizio cominciarono a voler esercitare nei confronti del management di Unipol che rappresentavo una sorta di ruolo di proprietà di ultima istanza. Ci provarono molte volte, a mettere la mordacchia a me e Ivano sacchetti. Ogni volta che ci provavano, perdevano. Poi, smisero. Ma a distanza di anni, nelle vicende del 2005 e oggi, ecco che quegli atteggiamenti li ho riconsiderati in un’ottica totalmente diversa da allora». Insomma, il regolamento di conti nella vicenda 2005 nasce da un giuramento su un letto di morte che molti non mandarono giù. D’accordo. Ma vogliamo almeno cominciare, a parlare di Bnl? «Certamente. Ma anche qui abbiate pazienza, perché dobbiamo fare un passo indietro, per capire da dove nascesse la strategia di Unipol del 2005 su Bnl». Sentiamo, da dove dobbiamo cominciare? «Dall’11 ottobre del 2000, da Generali e da Mediobanca». Addirittura. «Certamente. In Unipol il piano di crescere nel settore banco-assicurativo lo avevamo maturato, io e Sacchetti, in tutta la seconda metà degli anni ’90. E l’11 ottobre del 2000, su proposta delle Generali, dalla quale Unipol aveva già acquisito compagnie di assicurazione come Aurora e Navale, il cda della stessa Unipol deliberò l’acquisizione del 51% di Bnl Vita detenuta dall’Ina, che era stata acquisita da Generali e che la compagnia triestina doveva dimettere per indicazione dell’Autorità Antitrust, sia europea che italiana. La delibera prevedeva anche la cessione dell’1% di Bnl Vita a Bnl Banca, contemporaneamente alla stipulazione di un patto di governance con la banca stessa. Ma il problema era un altro. Come sa chiunque si occupi di intese banco-assicurative, per una compagnia di assicurazioni l’intesa vale assai poco, se non si siede anche nel cda della banca con cui si ha l’accordo. Perché se il vertice della banca dice agli sportelli di non vendere i prodotti e le polizze oggetto dell’intesa, dell’accordo puoi fartenere carta straccia perché non produrrà nulla. Dunque, ci mettemmo subito all’opera perché Generali cedesse all’Unipol il 7,5% di Bnl che deteneva». Ma che cosa c’entra Mediobanca, invece? «C’entra eccome. Mentre iniziammo ad adoperarci su Generali, non smettevamo di guardaci in giro per cogliere tutte le occasioni possbili di ulteriore crescita. Per questo andammo da Vincenzo Maranghi, nel 2001. E gli chiedemmo di comprare la Fondiaria». E lui? «Lo ricordo come fosse ieri. Il dottor Maranghi ci accolse, me e Sacchetti, con grande signorilità, ma ci rispose che la Fondiaria stava a Firenze, e che lui aveva un legame fortissimo con quella città, e che non poteva proprio pensare che Mediobanca ne cedesse la quota decisiva per il controllo». E poi? «Poi la vendette a Ligresti. Avrei preferi-to che il discorso fosse più chiaro, del tipo ’a voi di Unipol non vi diamo niente, siete considerati minorenni e nonsapete stare in società’. Sarebbe stato preferibile, almeno più chiaro. Ma a quel punto io e Sacchetti capimmo che il vertice dell’establishment finanziario italiano considerava la nostra Unipol come un soggetto fuori dal grande gioco». E dunque? «Nacque da lì, come una conseguenza naturale, la decisione di avvicinarci a Chicco Gnutti e ai bresciani che si raccoglievano intorno a lui e ai Lonati. Dopo l’operazione Colaninno in Telecom, nel 1999, era un possibile baricentro finanziario fuori dal grande gioco dei salotti buoni, in questo era accomunato a noi di Unipol. Era "il nuovo", per usare un’espressione trita». Gnutti, come la prese? Non aveva problemi, lui, a trattare con la Unipol rossa? «Per niente. Rapidamente assunse con Hopa il 20% di Unipol Finanziaria, di cui tenne il 5% cedendo invece il 15% al Montepaschi. Per le coop socie fu una bella plusvalenza, sugli 80 milioni di euro, grazie alla quale chiusero bene i bilanci sia del 2001 che del 2002. In più, oltre a questo, entrammo nell’operazione Telecom, che consideravamo molto valida». Già, quella per la quale è indagato per appropriazione indebita, per via dei 49 milioni di euro sui conti suoi e di Sacchetti che gli inquirenti trovarono presso la ex popolare di Lodi di Fiorani, poi Bpi. quello, il famoso "tesoretto" che le vale le accuse di tradimento di etica del perfetto cooperatore rosso. Gnutti le aveva allungato la stecca, dicono i suoi accusatori. E chissà se era per lei, oppure per il partito o per qualcuno del partito, continuano a dire gli accusatori che riempiono le pagine del Corriere e del Sole. «Bene, risponderemo per filo e per segno a questa accusa, del tutto infondata e diffamatoria. Tutte le operazioni di intermediazioni sostenute da me e Sacchetti nella compravendita di titoli detenuti in Olivetti, nel cambio di proprietà a favore di Tronchetti Provera, sono documentate e sostenute da regolari pezze d’appoggio. Ci torneremo. L’accusa è ignobile. Per ora, mi lasci dire che Unipol sui titoli Olivetti guadagnò grazie anche a Gnutti circa 50 milioni di euro di plusvalenze, e un bel risparmio aggiuntivo quando nell’agosto e nel novembre 2001 vennero ceduti i titoli Olivetti che erano detenuti sia da Finsoe , la nuova denominazione assunta da Unipol Finanziaria, che dalla Unipol direttamente. anche grazie a quelle plusvalenze, che comprammo poi da Telecom la Meie, un’altra tessera della crescita assicurativa di Unipol in quegli anni. sempre stata Unipol a guadagnarci e a crescere». Guardi che non dimentichiamo il chiarimento che ci deve, sui denari ricevuti da lei e Sacchetti. «Ci torneremo più avanti. Riprendiamo da Generali. Quel che sinora nessuno ha detto, è che all’atto dell’acquisizione da parte di Unipol del 51% di Bnl Vita, noi raggiungemmo un accordo con l’allora capo di Generali, il dottor Gutty. Egli ci firmò un accordo scritto, sia pure privato, a me e Sacchetti, nel quale si impegnava a mettere in atto tutte le condizioni per la cessione a Unipol del 7,5% detenuto dal Leone Alato in Bnl. Era una quota che dava diritto a due consiglieri d’amministrazione nella banca romana, era ciò che ci serviva per essere sicuri che la nostra quota in Bnl Vita non sarebbe stata impedita nell’attesa redditività da orientamenti contrastanti da parte del management della banca». Gutty però non tenne fede a quell’accordo. «Non per mancanza di volontà. A più riprese vennero sollecitati, da Generali e da Unipol, incontri col vertice di Bankitalia, con l’obiettivo di ottenere le autorizzazioni che erano necessarie, da parte di Generali, per la cessione a noi della quota detenuta in Bnl». E Fazio, come vi rispose? «In due anni Unipol riuscì a metter piede in Bankitalia solo due volte, il 9 ottobre e il 3 novembre 2003. Fu il dottor Bianchi, non il governatore Fazio, a dirci nella seconda occasione che "se dimostrerete di essere meritevoli - disse proprio così - quando lo riterremo opportuno terremo in considerazione la vostra richiesta, ma solo dopo che avremo deciso l’allocazione finale del controllo di Bnl". Analoga risposta ottenne sempre anche Gutty negli anni precedenti. Senonché nel settembre 2002 Gutty fu fatto fuori dal vertice di Generali, dalla stessa Mediobanca. Quanto a noi, in Bankitalia non mettemmo più piede sino alle autorizzazioni per crescere prima nel capitale e poi per lanciare l’opa su Bnl, nell’estate inoltrata 2005». Insomma, Fazio non era vostro amico. «Non direi proprio». Ma Gutty, è stato sentito dai pm che indagano sulla vostra scalata a Bnl, per confermare queste circostanze che retrodatano il vostro intreresse ad anni prima del presunto concerto con i furbetti dell’estate 2005? «Non che io sappia. Lei mi sa spiegare perché? Io no». E coi nuovi vertici di Generali, la vostra intesa per la cessione del 7,5% di Bnl valeva sempre? «Perissinotto, succeduto a Gutty, ci disse all’inizio che continuava a sollecitare la Vigilanza di Bankitalia nella persona del dottor Bianchi, per ottenere il via libera. Ma niente. Nel marzo 2003, io e Sacchetti incontriamo una mattina presto all’aeroporto di trieste Perissinotto e Minucci, che rappresentava Generali nel cda di Bnl. Baci e abbracci, in apparenza. Anzi, Perissinotto ci riscrive su un pezzo di carta lo stesso accordo che ci aveva rilasciato Gutty. Senonché nell’aprile 2004, ecco che apprendiamo dai giornali che improvvisamente in Bnl si è formato un nuovo patto di sindacato, e che Generali lo hanno sottoscritto con il Bbva e con Della Valle. Anzi, Della Valle entra pure in Generali e nel suo cda. Perissinotto a quel punto ci dice che a Trieste hanno cambiato idea, che i problemi di antitrust erano superati, insomma che del nostro accordo non se ne sarebbe più fatto nulla. Io ho i miei bei dubbi, su come Della Valle entrò in Bnl e in quel patto». Cioè? «Basta chiedersi chi ha prestato a Della Valle le risorse, per assumere quella quota». Di più Consorte non dice. Ma il quotidiano Il Tempo ha pubblicato una ricostruzione secondo la quale fu Capitalia ad anticipare le risor- se a Della Valle, il quale con una triangolazione svizzera restituì alla banca prestante il capitale, grazie a un prestito concessogli dalla Bnl stessa, di cui Della Valle acquisiva coi suoi denari il 5%... Insomma, Generali e Mediobanca vi hanno silurato. «C’è un’altra cosa da tener presente. Tanto eravamo ala spasmodica ricerca di una crescita banco-assicurativa, che in quegli stessi mesi non corteggiavamo solo Generali per la sua quota in Bnl, bensì anche Antonveneta». Ecco i primi segnali della triangolazione con Fiorani, pensano i pm. «Sbagliando in pieno, però. Perché Unipol aggancia a fine 2003 sia Piero Montani, allora amministratore delegato di Antonveneta, sia Francesco Spinelli, presidente della banca ed espressione degli olandesi di Abn presenti nel suo capitale. Il rapporto con Antonveneta e con gli olandesi, che saranno poi i nemici di Fiorani nella scalata su Padova, data ad allora perché ci candidammo da subito ad acquisire cento sportelli bancari per Unipol Banca, con il suo piano industriale del febbraio 2004 che allora presentammo in Bankitalia. Lo facevamo non solo per far crescere Unipol Banca, ci candidavamo direttamente a sostituire in Antonveneta il Lloyd Adriatico, che con la banca aveva un rapporto diretto banco-assicurativo. Per tutto il 2004 fummo soggetti alle ispezioni e ai controlli di Bankitalia, per le acquisizioni di sportelli ai quali ci eravamo candidati a Padova. Montani voleva rifilarci solo sportelli in Sicilia, e noi chiedemmo invece un ribilanciamento territoriale. Alla fine furono solo 22 filiali. Ma lo dico solo per ricordare che Unipol voleva crescere e cercava ogni possibilità aperta. Quando nel febbraio 2005 fu chiaro che la Bpi di Fiorani e Abn Amro si sarebbero scontrati, per il controllo di Antonveneta, noi a entrambi - per gli olandesi parlavamo col dottor Spinelli - facemmo sapere che eravamo interessati solo al rapporto banco-asscirativo, chiunque avesse vinto la partita. Boni, il braccio destro di Fiorani, nell’incidente probatorio avvenuto davanti ai pm il 9 giugno 2006, quando era ancora ristretto dalle misure cautelari, lo conferma esplicitamente: Unipol sarebbe cresciuto in Antonveneta solo in presenza di possibilità di un piano industriale banco-assicurativo, non certo per fare un piacere alla Popolare di Lodi. E se lo dice lui, si figuri io». Insomma quattro anni prima del 2005 vi eravate messi in moto. Niente intesa con Fiorani né con Fazio, e guerra aperta dai vertici finanziari che poi saldano l’intesa coi Della Valle. così? «Già». E i vertici della sinistra, che dicevano? «In tutte queste operazioni, non ho mai agito per mandato di vertici politici. Anzi, i cooperatori dissidenti, alla fine, mi hanno presentato il conto che tra il ’99 e il 2001 alcuni di loro hanno iniziato a covare. Ero troppo indipendente, nel fare utili e risultati».

I DUBBI
Nella prima puntata del memoriale abbiamo riportato le domande che Giovanni Consorte fa a se stesso dopo due anni di battaglie giudiziarie. Sono i tanti perché che assillano la mente dell’assicuratore rosso, mossi dall’assoluta convinzione di aver agito nel rispetto della legge.
LA SCALATA «Chi ha fatto fallire l’opa di Unipol su Bnl? Una volta presentato il piano industriale, il prospetto finanziario sull’opa con le informative sull’aumento di capitale, abbiamo aspettato per 6 mesi che i regolatori si pronunciassero. Dal luglio 2005 al 10 gennaio del 2006, quando Vincenzo Desaio, il giorno prima di andare in pensione, firmò il rigetto a nome di Bankitalia ai requisiti patrimoniali di Unipol per poter rilevare Bnl. Perché mesi prima il dottor Carosio, alla presenza di Fazio, ci aveva detto il contrario?».
TELEFONATE «Perché alla scalata Unipol su Bnl si è data una valenza politica quando dalle intercettazioni si ha la prova provata che i politici chiamavano loro me, e solo a scopo informativo e mai intromissivo sull’operazione?».
RICUCCI E FIORANI «Perché ci si vuole confondere con soggetti che non avevamo nemmeno mai incontrato, come i Ricucci e i Coppola? E Fiorani? Dimostrerò per filo e per segno che nella vicenda Antonveneta la Unipol non c’è entrata né per diritto né per rovescio».
LA PRIVACY «Perché non si parla dello scandalo che è sotto gli occhi di tutti, e cioè della violazione della privacy? Vengo messo sotto intercettazione per i fatti di Antonveneta nel luglio del 2005, e da quella data gli inquirenti si mettono in condizione, giorno per giorno, di seguire tutti gli avvenimenti finanziari di quell’estate».
CASTELLANO «Com’è possibile che io sia stato accusato di collusione con il giudice Francesco Castellano, indagato a Perugia per millantato credito e abuso d’ufficio in quanto sospettato di passarmi notizie sulle indagini sostenute da colleghi nei miei confronti, ma quando Perugia archivia l’accusa che cade nel nulla, i media continuano a dedicarmi solo pagine d’infamia?».
GUADAGNI «Come mai non ha nessun rilievo che in tutte le operazioni per le quali sono indagato come ex capo di Unipol, nessuno ci ha rimesso un solo euro e anzi Unipol ci ha guadagnato un pacco di quattrini?».
MIELI E D’ALEMA «L’Italia ha perso la titolarità di una banca, la Bnl, finita ai francesi che hanno naturalmente spostato a Parigi tutti i vertici e le funzioni operative. Unipol è stata strategicamente paralizzata ed è all’angolo da due anni, per la gioia di tutti i suoi concorrenti. Io, personalmente, sono stato massacrato. inaccettabile. immondo, che mezza politica italiana e la grande stampa abbiano orchestrato tutto ciò. Perché il dottor Mieli ha detto che dovevo pagare perché operavo per D’Alema?».
Oscar Giannino
(2. continua)

• Consorte: quella volta che vidi Bazoli... Libero 11 luglio 2007. Nella seconda puntata del memoriale di Giovanni Consorte l’ex capo di Unipol ci ha raccontato il giuramento su un letto di morte dal quale cominciò il suo impegno di risanamento di Unipol Finanziaria. Poi le traversie per salvare le grandi Coop dai contraccolpi di Tangentopoli. E i primi segni di una parte del vertice cooperativo che non gradiva troppo l’autonomia di Consorte. Infine, come la strategia di crescere nel segmento banco-assicurativo fosse una stella polare per Bnl fin da quando nel 2000 assunse da Generali il 51% di Bnl Vita. Ma Generali e Mediobanca fecero sempre gli indiani di fronte alle richieste pressanti dei bolognesi di crescere ancora. Di lì l’alleanza naturale con Chicco Gnutti e i bresciani di Hopa, anche loro "gente nuova" rispetto ai salotti dei patti di sindacato che contano. Oggi con Consorte iniziamo a entrare nel merito di una delle accuse che più gli bruciano. Quella di aver agito in concerto con Fiorani e la sua ex Popolare di Lodi, nella scalata ad Antonveneta. Ma Consorte prima vuole ribadire la sua amarezza. «Sono passati ormai due anni esatti», esordisce, «da quando Unipol decise di lanciare l’opa obbligatoria su Bnl. In questi due anni sono stato indagato, accusato, dileggiato. stata violata la mia privacy, non solo professionale, ma anche personale; è stata fatta della facile ironia, si sono sollevati i moralisti e non credo vi sia un precedente analogo a un tale accanimento giudiziario e mediatico. In questi anni abbiamo intanto ampiamente dimostrato che nelle indagini, e ci tengo a ribadirlo, che venivano condotte, non c’è nessun danneggiato. bene che i lettori sappiano che nell’operazione Bell (2001-2002), il Gruppo Unipol ha realizzato un utile di circa 150 milioni di euro. E per i rapporti di collaborazione che erano stati stabiliti con Hopa, e in particolare con Gnutti, in quattro mesi (agosto 2001-novembre 2001) il Gruppo Unipol ha avuto la possibilità di eliminare dai propri bilanci, attraverso operazioni perfettamente lecite eseguite in Borsa, oltre 50 milioni di euro di potenziali perdite, che alla luce degli eventi successivi si sarebbero rivelate certe. Tutto ciò nell’ambito di una scelta strategica che il patto di sindacato aveva assunto, cioè riprendere posizione sulle azione Olivetti. Torneremo nel merito di questi aspetti. Ribadisco solo che le operazioni effettuate da me e Ivano Sacchetti sono esattamente le stesse che poi ha svolto il gruppo Unipol. Da sottolineare che nessuna querela è stata avanzata nei confronti miei e di Sacchetti, così come non c’è da parte di nessuno alcuna richiesta di risarcimento. Tra l’altro nessuna transazione diretta è mai avvenuta tra me o Sacchetti e Hopa. Per quanto riguarda l’opa obbligatoria Bnl, dove una vera e propria congiura impedì al Gruppo Unipol di portare a termine l’operazione, Unipol ha guadagnato 80 milioni di euro. Per quanto riguarda lo spin-off immobiliare per il quale sono indagato a Roma, Unipol guadagnò 91,7 milioni. Le indagini su tutte le operazioni sono tutte d’ufficio, quindi senza alcuna querela, non c’è nessun danneggiato, e l’attore delle operazioni è Unipol, che da ciò ha guadagnato lecitamente 350 milioni di utile». Lei sostiene di non essere Fiorani, indagato per aver truffato risparmiatori. «Tutte le indagini riguardano comunque Consorte e Sacchetti non come persone fisiche, ma in quanto amministratori che hanno fatto guadagnare la propria azienda. In tutta questa vicenda sono parte danneggiata, e chiedo perché l’esposto presentato alla Procura di Bologna fin dal 12 dicembre 2005 non abbia avuto corso. L’indagine da condurre deve riguardare anche tutto ciò che è avvenuto dal 16 luglio al 31 dicembre 2005. una questione non solo di interesse personale, ma che riguarda tutti quelli che hanno a cuore la libertà». Veniamo ad Antonveneta. «Nell’operazione Antonveneta (gennaio-aprile 2005) condotta esclusivamente con l’obiettivo di sviluppare l’attività industriale di banca-assicurazione, poi purtroppo fallita, avevamo comunque adottato le debite precauzioni», inizia Consorte. «Dall’operazione Unipol ha poi guadagnato 60 milioni di euro nella cessione delle azioni di Antonveneta ad Abn Amro». Ma è stato Fiorani a invogliare la sua Unipol in Antonveneta? Consorte si inalbera: «Neanche per idea. Il nostro interesse in Antonveneta data al 2003. Nessuno allora parlava di un’opa su Antonveneta. Nel corso dell’intero 2004, come abbiamo ricostruito ai magistrati, con il dottor Piero Montani di Antonveneta, con Francesco Spinelli che era espressione degli olandesi di Abn, per Unipol io e Sacchetti, il direttore generale Cimbri, Di Matteo e Castellina dialogano incessantemente con Antonveneta per due aspetti specifici: l’acquisto di filiali di Antonveneta, in conseguenza del piano triennale di Unipol Banca adottato il 20 febbraio 2004, piano che puntava all’acquisizione di ben 100 sportelli bancari; e la possibilità di un accordo strategico banco-assicurativo con Antonveneta stessa, chiunque la controllasse». Niente Fiorani e bresciani, dunque? «Procediamo per ordine, e vedrà che non c’è nessun concerto nostro con loro. Il 3 febbraio del 2004 alle 13.30 mi incontro al ristorante "Rodrigo" di Bologna con Spinelli, e nelle settimane successive lavoriamo al piano industriale di Unipol Banca, quello per acquisire 100 sportelli. Lo presentiamo di conseguenza al dottor Carosio, in Banitalia». Non a Fazio? «No, a chi allora era a capo della vigilanza». E Carosio? «Rispose con qualche sufficienza. Tanto che dovetti dirgli che io stesso chiedevo a Bankitalia un’ispezione per verificare la solidità delle nostre basi patrimoniali, ma aggiunsi che se fossimo risultati in ordine non spettava certo a Bankitalia sindacare nel merito i nostri piani industriali». Venne l’ispezione? «Puntuale, cominciò il 29 marzo 2004. Nel frattempo il 26 febbraio avevamo già avuto anche un primo incontro con Piero Montani, di Antonveneta, e con lui affrontammo il problema sia della possibile alleanza banco-assicuativa con la banca padovana dopo l’amara esperienza che avevamo appena avuto con la Noricum, che Imi Sanpaolo ci aveva obbligato a retrocedere ai torinesi, a pena altrimenti di vedercela svuotata - sia il nostro interesse ad acquisire filiali come conseguenza del piano triennale di Unipol Banca. Antonveneta aveva deciso di cedere 50 filiali affidando a Rotschild, nella persona di Daffina, la trattativa. Iniziammo a trattare di conseguenza con lui per quelle 50 filiali: quattro in- contri, fino a quello del 26 maggio 2004... L’ispezione di Bankitalia, nel frattempo, come procedeva? «Andò avanti fino a fine estate. Il 13 aprile 2004 incontrai Carollo in Bankitalia, era un sottoposto di Carosio, a conferma del fatto che non parlavamo certo con Fazio. Interloquimmo anche col dottor Conigliani, della sede Bankitalia di Bologna». Ma con Antonveneta, in quei mesi, non si sbloccava né la richiesta di acquisire filiali né l’intesa banco-assicurativa? «Tanto per farle capire quanto fossimo protesi al nostro obiettivo di crescita, le dico anche che il 14 aprile 2004 mi recai a incontrare il professor Giovanni Bazoli, presidente di Intesa». Ah, caspita, questa è una novità mai sentita, o sbaglio? «Non sbaglia. Ma guardi che l’intera ricostruzione puntuale di tutti gli incontri che stiamo facendo non è mai uscita. Comunque, anche con Bazoli fu un nulla di fatto». Ma perché andare da Bazoli? «Perché in precedenza, nel 2003, avevamo acquisito 56 filiali bancarie che Intesa doveva dismettere per ragioni di antitrust, a seguito delle sue incorporazioni. Dunque anche a Bazoli andammo a chiedere se per caso aveva filiali da cederci». La risposta? «Fu un incontro formalmente cordiale, ma anche di gran gelo. Nessuna possibilità di cederci neppure uno sportello, da parte di Bazoli». Conosceva Bazoli in precedenza? «No, avevamo trattato con altri, per gli sportelli rilevati in precedenza. Con l’ad che allora era espressione in Intesa dell’Agricole, Merle, e con il dottor Auletta. Il dottor Desiata aveva interposto i suoi buoni uffici. Nulla di ciò si replicò con Bazoli, nell’aprile 2004». Parlaste di politica? «No. Ascoltò il nostro proposito, e signorilmente ma fermamente risposte picche. Tenga conto che in quegli stessi giorni, il 16 aprile 2004, Minucci e Perissinotto di Generali continuarono a non darci risposte per le nostre richieste di crescere analogamente in Bnl Vita, senza dirci una sola parola sul fato che di lì a due settimane in Bnl Generali sarebbe entrata in un patto di sindacato con Della Valle e gli spagnoli del Bilbao. I signori che insegnano etica di mercato tanto al chilo quando si tratta di Unipol, con noi si comportavano così». Così come? «Diciamo con una certa disinvoltura. Per non dire altro». Dunque, niente crescita. «Iniziammo a prendere in considerazione ad aprile 2004 anche un’altra ipotesi: Meliorbanca. Il 20 luglio 2004 avvenne su questo un primo incontro col governatore Fazio, al quale esponemmo la nostra intenzione di procedere all’acquisizione delle due filiali di Antonveneta che intanto si erano rese disponibili, di Milano e Cagliari, oltre all’eventuale operazione su Meliorbanca». Foste voi a proporre l’operazione Meliorbanca o fu Bankitalia? «Noi ci dichiarammo disponibili. E durante il mese di agosto 2004 passai con una squadra di collaboratori tutto il tempo a Milano, per una due diligence di Meliorbanca». Ma non se ne fece nulla neanche quella volta. «No, le strategie dei due istituti erano troppo diverse, e non mi convinsi. Il 23 agosto 2004 insieme a Di Matteo e Castellina di Unipol mi recai a incontrare Dall’Occhio della Consob, per comunicare all’Autorità del mercato finanziario la nostra rinuncia a Melior-banca. Nel frattempo il cda di Unipol Banca del 6 settembre 2004 confermava la richiesta avanzata il 27 luglio precedente di rilevare altre 50 filiali di Antonveneta, richiesta avanzata insieme alla Popolare di Vicenza guidata allora da Divo Gronchi: 20 di quelle 50 sarebbero andate a Unipol Banca. E il 19 novembre procedemmo all’aumento di capitale necessario all’acquisizione delle filiali». Tutta questa lunga premessa per dire? «Che ancora il 30 novembre 2004 reincontrammo Spinelli per confrontarci sull’ipotesi banco-assicurativa per Unipol in Antonveneta. In tutto il 2004 prima incontrammo molte volte i capi di Antonvenmeta per vagliare tutte le ipotesi, andammo anche da Bazoli, poi trattammo per Meliorbanca. Solo molto dopo Unipol iniziò a considerare l’ipotesi di un accordo con Reti Bancarie Holding della Popolare di Lodi. Per quanto riguardava la partita in Antonveneta, non avemmo allora contatti né con la Popolare di Lodi di Fiorani né con nessuno dei soci sindacati in Delta Erre, né con Benetton, ma solo con la stessa Antonveneta e con Abn Amro. Inoltre, né io né Sacchetti abbiamo mai posseduto o trattato titoli di Antonveneta». Sicuro? «L’ha confermato lo stesso Fiorani nell’incidente probatorio del 26 maggio 2006. Il pm Fusco lo incalza sottilmente per strappargli qualche eventuale conferma. E Fiorani non può che negare. Nessun rapporto con Fiorani fino ad allora. Eppure Fiorani dall’estate 2004 aveva iniziato a preparare l’operazione su Antonveneta, parlando con Doris e Mediolanum, coi Benetton che poi saranno i venditori del titolo maggiormente beneficati». Quando vi rendeste conto che Fiorani faceva sul serio su Antonveneta? «Tra la fine del 2004 e gli inizi del 2005 si iniziò ad assistere alla competizione tra la Banca Popolare di Lodi e Abn Amro per il controllo di Antonveneta. Tale scenario manteneva, pertanto, valide tre opzioni per il gruppo Unipol: la possibilità di addivenire ad accordi industriali di banca assicurazione con Abn Amro su Antonveneta nel caso in cui Abn Amro avesse prevalso su Bpl; la possibilità di accordi di banca-assicurazione con il Gruppo Banca Popolare di Lodi, se fosse stata quest’ultima a prevalere su Abn Amro; la possibilità di un’alleanza con Bpl e Antonveneta, sempre in punto di banca-assicurazione, se fra le due banche si fosse raggiunto un accordo, tenuto conto delle notizie apparse in proposito sulla stampa che facevano presumere la possibilità di una integrazione tra Reti Bancarie Holding e Antonveneta (già in trattativa da 2-3 anni). Durante il mese di gennaio 2005, incontrai perciò separatamente Spinelli e Fiorani per chiarire a entrambi, in separata sede ripeto, la strategia industriale di bancaassicurazione che perseguiva Unipol». E iniziaste a salire nel capitale di Antonveneta. « Il 13 gennaio 2005, per rendere trasparenti le nostre intenzioni al mercato e soprattutto ai due contendenti Bpl e Abn Amro, Unipol acquisì sul mercato circa 300.000 azioni Antonveneta, superando così la soglia del 2% del capitale sociale della Banca, rendendola pubblica al mercato in conformità a quanto previsto dalle norme». Per giocare a carte scoperte. «Esatto». Però la stampa cominciò a descrivervi come amichetti di Fiorani. «Il 22 gennaio 2005 Milano Finanza, a firma di Paolo Panerai, scrisse che: "Da uomo duttile quale è, Fiorani si è adeguato, e temendo soprattutto il lancio di un’opa da parte di Abn Amro ha detto che il 2,11% di azioni acquistate da Bpl, più le altre possedute da possibili alleati come Unipol, sono a disposizione per una collaborazione con gli olandesi...». Alleato di Fiorani, dice Panerai, fin da gennaio 2005. «Balle. Leggo dal verbale del consiglio Unipol del 28 gennaio 2005: "... Il Presidente informa i presenti che la Compagnia detiene attualmente una quota pari al 2,10% del capitale sociale di Banca Antonveneta Spa, per un corrispondente valore di carico di 97,7 milioni di euro. Dalle informazioni di mercato emerge la possibilità della realizzazione di un progetto societario e industriale tra Reti Bancarie Holding Spa (della Lodi) e Banca Antonveneta Spa. Partendo dalle buone posizioni societarie che il Gruppo Unipol ha in Reti Bancarie Holding Spa e Banca Antonveneta Spa, si evidenziano le ragioni che rendono opportuno incrementare la partecipazione ad oggi detenuta in Banca Antonveneta Spa sino al 4,99% del proprio capitale sociale... Il Consiglio approva". Il giorno prima, il 27 gennaio, avevo reincontrato Spinelli e anche a lui avevo ribadito che Unipol era aperta sia all’ipotesi di una fusione consensuale tra Reti bancarie della Lodi e Antonveneta, che ci avrebbe portato a essere i primi soci privati dell’aggregato per le quote che detenevamo in entrambe, sia all’ipotesi di subentrare in Antonveneta all’accordo banco-assicurativo che l’istituto aveva con la Lloyd Adriatico, e per questo ci proponemmo di superare la sua quota detenuta in Antonveneta, che era del 2,7% del capitale. Tutto questo mentre da gennaio 2005 Fiorani e i suoi collegati avevano iniziato a rastrellare i titoli di Antonveneta». Ma è vero che Fiorani le fece capire che in caso di alleanza ci sarebbero stati denari anche personalmente, per lei e Sacchetti? «Il 20 aprile 2005, all’aeroporto di Bologna, insieme a Boni della Lodi parlò esplicitamente della possibilità di "riconoscenza" per noi. Ma non abboccammo in alcun modo, e continuammo a trattare anche con gli olandesi. Anche Gnutti di Hopa si fece vivo, proponendoci l’alleanza con Fiorani. E io gli replicai che non capivo proprio come potesse mettersi con la Lodi contro Abn, visto che entrambe erano socie di Hopa. Unipol aveva potere di veto su una simile delibera, se fosse stata portata nel cda di Hopa, come l’aveva anche il Montepaschi. E insieme a Mps concordammo che lo avremmo posto, il veto. Gnutti capì e desistette. Quanto alle proposte di Fiorani, è stato lo stesso braccio destro del banchiere a Lodi, Boni, a confermare al pm Fusco, nell’incidente probatorio del 9 giugno 2006, che quando Fiorani disse "guardate che nel caso ci sarà anche qualcosa per voi", Consorte replicò che gli interessava solo l’eventuale progetto industriale». Dopodiché? «Il 21 aprile 2005 Il Sole 24 ore pubblica le liste dei consiglieri depositate in previsione dell’assemblea del 30 aprile di Antonveneta. Nella lista presentata da Abn Amro figura il dott. Cucchiai, del Lloyd Adriatico. Capiamo allora che, in assenza di segnali positivi da parte di Abn Amro nei confronti di Unipol, dovevamo salire nel capitale di Antonveneta al fine di poter superare di circa un punto la quota detenuta da Lloyd Adriatico a quella data. Ancora al cda di Unipol del 29 aprile 2005, segnalai che l’eventuale adesione a una delle due offerte, della Popolare di Lodi o di Abn su Antonveneta, sarebbe stata valutata quando disponibili le condizioni definitive delle medesime. Eravamo fuori dalla battaglia dei due schieramenti. Infatti nessuno di Unipol entra nelle liste del Cda di Antonveneta». E con le autorità di mercato, come regolaste i rapporti? «Beh, questa è bella. Il 2 maggio 2005 io e Cimbri, il dg di Unipol, ci recammo in Consob. Al dottor Tezzon spiegammo che eravamo interessati solo ai piani industriali perseguibili da Unipol in Antonveneta. Gli chiedemmo, per alleviare i sospetti di stampa intorno alla nostra ipotetica azione di fianchegghiamento di Fiorani, se per caso non fosse il caso che formulassimo un quesito scritto alla Consob, per darle modo di risponderci e darci atto pubblicamente della nostra terzietà». E Tezzon che cosa vi disse? «Che non era il caso di complicare una cosa già complicata. Questa fu la sua risposta. Poi, il 10 maggio 2005, l’indagine Consob esclude Unipol dal concerto su Antonveneta». Conclusioni destinate a mutare, però. Già, ci tornerò nella prossima puntata. Per ora, mi faccia solo dire questo: lasciare trasparire l’ira o l’odio nelle parole o nelle espressioni del volto è inutile, pericoloso, non intelligente. Ira e odio vanno mostrati unicamente nelle azioni, e questo lo si potrà fare tanto più perfettamente quanto più perfettamente si è evitato di fare l’altra cosa». Parole sue? «No, ma torneranno buone quando parleremo dei magistrati, più avanti».
Oscar Giannino

LE COOP ROSSE
Nella seconda puntata del memoriale abbiamo raccontato la storia del rapporto di Giovanni Consorte con la sinistra. Una storia lunga che inizia il 4 novembre del 1991.
UNIPOL FINANZIARIA «Cinzio Zimbelli, per anni il deus ex machina finanziario delle Coop, era in fin di vita. Prima di morire mi fece giurare di che mi sarei occupato di rimettere in sesto Unipol Finanziaria, allora la società controllante di Unipol, gravata da 815,7 miliardi di lire di debiti e con oltre 500 miliardi di perdita».
TORNADO GIUDIZIARIO «Eravamo nei mesi caldissimi in cui si preannunciava l’esplosione del tornado che sarebbe arrivato di lì a poco. Coop dalla tradizione storica e dal grande fatturato, come la Cmc di Ravenna e la Edilterra, stavano affrontando un momento nerissimo per via dei contraccolpi di Tangentopoli.
IL MIRACOLO «Lavorando giorno e notte, rimettemmo in sesto tutto. I lavoratori e i soci non hanno dimenticato. Ancora oggi tutti mi sono grati. Altra storia è quella dei vertici».
RAPPORTI A SINISTRA «Con molti politici della sinistra ho parlato a lungo per il salvataggio del movimento cooperativo. I rapporti coi vertici del Pci, del Pds e poi dei Ds non potevano che essere intensi e positivi».
LE COOP DI CONSUMO «Le Coop del consumo provarono molte volte a mettere la mordacchia a me e a Ivano Sacchetti. Ogni volta perdevano. Poi smisero. Ma a distanza di anni, nelle vicende del 2005 e di oggi, ho riconsiderato quegli atteggiamenti in un’ottica totalmente diversa».
GENERALI «L’11 ottobre 2000, su proposta delle Generali, il cda di Unipol deliberò l’acquisizione del 51% di Bnl Vita. E ci mettemmo all’opera perché Generali cedesse all’Unipol il 7,5% di Bnl che deteneva. Invano».
MEDIOBANCA «Nel 2001 andammo da Vincenzo Maranghi e gli chiedemmo di comprare la Fondiaria. Disse di no e capimmo che il vertice dell’establishment finanziario italiano considerava Unipol come un soggetto fuori dal grande gioco. Così decidemmo di avvicinarci a Gnutti, che rappresentava il "nuovo"».
BANKITALIA «In due anni Unipol riuscì a mettere piede in Bankitalia solo due volte nel 2003. Poi più niente sino alle autorizzazioni per crescere prima nel capitale e poi per lanciare l’opa su Bnl, nell’estate del 2005. Fazio non era proprio un nostro amico...».
DELLA VALLE «All’improvviso apprendiamo che in Bnl si è formato un nuovo patto di sindacato e che Generali lo ha sottoscritto con il Bbva e con Della Valle. Anzi, Della Valle entra pure in Generali e nel suo cda. Chi gli ha prestato le risorse?».


















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