Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 12 novembre 2016
”Piccola posta” di Sofri
• ”Piccola posta” di Sofri. Il Foglio 7 giugno 2006. A proposito di record di parti cesarei, si può ricordare che l’auge del taglio cesareo comincia nel ’500 e culmina nel ’700, per impulso non della medicina ma della chiesa. Se ne veda la ricostruzione nel famoso libro di Adriano Prosperi ”Dare l’anima” (Einaudi, 2005): ”Prima di diventare una tecnica chirurgica capace di garantire la vita del nascituro e della madre, il cesareo fu il mezzo per ’dare l’anima alla creatura’. In pieno Settecento un’ecclesiastico siciliano, Emanuele Cangiamila, condusse una personale campagna di opinione per convincere le autorità politiche della bontà di quel metodo, l’unico capace di salvare dei cittadini per il Paradiso. Secondo i dati da lui esposti, l’intervento del chirurgo accanto all’abate aveva permesso di estrarre ’tante creature’ dal ventre materno e di battezzarle appena in tempo. Certo, le partorienti avevano accolto con terrore quelle visite che annunciavano loro la prossima morte. Ma l’uomo di chiesa consigliava di essere piamente inesorabili: bisognava ricordare a quelle madri che il matrimonio era giustificato dal fine di dare dei figli al Cielo. Pertanto era loro dovere accettare prontamente e senza resistenze il sacrificio della vita. Nel parto cesareo, unico rimedio adeguato per raggiungere col battesimo il piccolo corpo, sacerdote e medico si scambiarono le parti e la vita dell’anima fu il guadagno pagato con la morte fisica di gestante e feto. La proposta ebbe rapido e largo successo in tutto il mondo cattolico”. Perché il cesareo lasciasse in vita le partorienti bisognò aspettare fino alla fine del Settecento.
• Il Foglio 8 giugno 2006. Al direttore - Adriano Sofri ha scritto ieri che il parto cesareo venne promosso da preti fanatici, oscurantisti e siciliani, che istigavano il chirurgo ad ammazzare sia la madre che il bambino pur di avere la soddisfazione di effettuare un battesimo in extremis. Invece non era scontato che la madre morisse, e tantomeno il bambino (fra Quattro e Cinquecento nacquero col cesareo Edoardo VI d’Inghilterra e Andrea Doria, il grande ammiraglio, che campò ben novantaquattro anni). Va anche tenuto presente che in antico la mortalità nei parti difficili era altissima sia col cesareo che senza (nemmeno un prete fanatico, oscurantista e siciliano, avrebbe fatto tagliare la pancia di una donna in procinto di sgravarsi con facilità). Infine ricordo che sulle origini del cesareo la chiesa non ha né meriti né colpe: Giulio Cesare nacque in questo modo un secolo prima di Cristo.
Camillo Langone
• ”Piccola Posta” di Sofri 9 giugno 2006. Caro Camillo Langone, naturalmente io sono piuttosto ignorante di storia del parto cesareo, come di quasi tutto. Però penso, dopo aver consultato qualche testo, che tu ti sia sbagliato, fin dall’intento di patrocinare la causa della chiesa. La quale, nel tempo, ha propugnato il cesareo a scopo di salvezza dell’anima e a costo delle vite, e, all’opposto, ha avversato il cesareo come contrario alla natura e alla legge divina, e ogni volta mettendoci quell’eccesso di zelo che, sempre rischioso, diventa micidiale quando si tratta di frugare dentro il corpo delle donne. Hai impropriamente citato nomi illustri di nati col cesareo, come Andrea Doria ed Edoardo VI di Inghilterra, perché coincisero con la morte delle madri: quanto a Giulio Cesare, è del tutto dubbio che quel cesareo sia avvenuto, ed è ancora più dubbio che il nome del taglio derivi da lui. (Un’origine più probabile starebbe nel ”caeso utero”, l’utero tagliato).
Il prete fanatico, oscurantista e per giunta siciliano sul quale ironizzi ebbe un’influenza enorme, oltre la stessa Europa, e fino nelle ”nuove Indie” nelle quali l’esportazione del battesimo era allora più imperiosa che l’esportazione della democrazia oggi, con le armi o senza. Nella Roma della prima monarchia una lex regia imponeva l’estrazione del feto dalla donna morta. Si assegna a François Rousset il titolo di padre del taglio cesareo, perché sarebbe stato il primo a proporsi di salvare la vita alla madre e al feto, nel 1581. Secondo altre opinioni, peraltro assai incerte, il primo a condurre il parto cesareo sulla madre viva sarebbe stato, nel 1500, lo svizzero Jacob Nufer, di professione ”castratore di porci”, il quale l’avrebbe eseguito felicemente sulla propria moglie, suturandone l’utero ”come si cuce una scarpa vecchia”. Le storie della medicina fissano una data miliare nella storia del parto cesareo a un intervento compiuto a Pavia da Edoardo Porro il 21 maggio del 1876, che fece seguire al taglio l’estirpazione dell’utero, per evitare l’emorragia e l’infezione. Saranno solo la riuscita della sutura della breccia uterina (1881) e le scoperte antisettiche, cui è legato il glorioso nome del dottor Semmelweis, a inaugurare il successo del parto cesareo anche fuori dalle emergenze, fino al record italiano attuale, o ai quattro milioni di dollari appena pagati per la prima foto di Shiloh Nouvel, nata da dodici giorni col parto cesareo ad Angelina Jolie in una fantastica clinica in Namibia. La voce della National Library of Medicine dice: ”It was not until the nineteenth century that such a possibility (la salvezza di madre e nascituro) really came within the grasp of the medical profession”. Fra gli studi italiani più esaurienti si può leggere, di Nadia Maria Filippini, ”La nascita straordinaria. Tra madre e figlio: la rivoluzione del taglio cesareo (sec. XVII-XIX)”, Angeli 1995. Vi si trova anche la menzione di Peter Frank, autore di un ”System der medizinische Polizei” (titolo notevole), e la storia del primo parto cesareo da lui curato e destinato a salvare la madre che sarebbe avvenuto nel veronese solo nel primo ’800. Ottavia Niccoli, in ”Rinascimento anticlericale” (Laterza 2005), racconta invece la preoccupazione di salvare l’anima del feto che spinse il nipote di Paolo IV, il nobile Carafa che giudicò e condannò a morte in famiglia la moglie per tradimento, a estrarre il bambino dal ventre dell’uccisa: l’antenato più adatto a questa storia di cesareo all’italiana. Un antenato più insigne - racconta ancora la Niccoli - è il san Carlo Borromeo che decise nel 1582 di dichiarare obbligatoria nella sua diocesi la pratica del cesareo a fini battesimali.
Fin qui quello che ho trovato io, che mi ero del resto affidato alla ben diversa autorità di Adriano Prosperi (’Dare l’anima”, Einaudi 2005). Quanto a me, che non ho alcun movente anticlericale, salvo il merito delle questioni, fui colpito a suo tempo dal successo che la metafora cesarea aveva riscosso nel marxismo e in genere nel pensiero rivoluzionario, persuaso che il mondo nuovo, l’Uomo Nuovo, non potesse generarsi dal vecchio senza il pietoso e spietato colpo di forcipe capace di farlo venire alla luce, e che la rivoluzione avrebbe messo fine alle doglie del vecchio mondo. Metafora feconda, alla lettera, di conseguenze rivelatrici, che tu sarai capace di riconoscere. Cordiali saluti.