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 1999  ottobre 18 Lunedì calendario

Sono una persona distrutta, a pezzi, una persona sotto farmaci

• Sono una persona distrutta, a pezzi, una persona sotto farmaci. Continuano ad arrivarmi telefonate anonime in cui mi dicono che sono un’assassina, che dovrei ammazzarmi. Non è giusto. Sono una mamma anch’io. Quel ragazzo in motorino l’ho visto rotolare prima sul cofano e poi finirmi davanti alle ruote. Una mamma capisce e, credetemi, io da quel giorno non vivo più...». C’è una donna, a Tor Bella Monaca, nella periferia est, la cui vita «è cambiata per sempre» alle 15,10 di mercoledì 6 ottobre. Si chiama Susanna Faraone, ha ventisei anni, un figlio di dieci mesi, è sposata, ed è - dramma nel dramma - l’impiegata che guidava la Ford che sette giorni fa ha travolto e ucciso Giulio Balzano in piazza Verbano. «Posso capire solo in parte il dolore della famiglia Balzano - dice nella prima intervista dopo la tragedia - La mia disperazione non è certo comparabile alla loro. Ma voglio, devo, fare qualcosa: ai ragazzi in motorino dico: state attenti, stiamo attenti tutti, mettete il casco. Il traffico di Roma è diventato assurdo, invivibile. Bisogna farci i conti». Parliamo delle minacce? « una cosa bruttissima. Dal cognome, pubblicato sui giornali, sono risaliti al numero di telefono. un continuo. La prima a chiamare è stata una donna. Mi ha detto: ”Come fai a vivere? Ammazzati!”. Poi alcuni ragazzi: ”Assassina, assassina”. Sto già malissimo. Questa aggiunta di insulti è ingiusta».
• Lei guidava l’automobile... «Sì. Ma non mi sento né un pirata della strada né, tantomeno, un’assassina. Mi sento in colpa per essermi trovata lì proprio in quel momento: il destino. Se fossi passata un attimo dopo, se fosse passato un secondo dopo lui, non sarebbe successo. Ho fatto il possibile. Ma, per evitare la tragedia, avrei dovuto avere il potere di scomparire». Ricorda tutto? «Ce l’ho davanti agli occhi in ogni momento. Tornavo dal lavoro. Attraversavo piazza Verbano e volevo girare a destra verso via Topino. Il traffico scorreva. Ho messo la freccia. Sarò andata a trenta, quaranta all’ora. D’altronde i vigili, chiedetelo, hanno trovato la macchina con il cambio innestato in seconda. Alla mia destra non c’era nessuno». Invece c’era... «No, non quando ho guardato. Il motorino è comparso, lungo la fiancata dell’auto, all’improvviso. L’ho visto sbilanciarsi. C’è stato un urto con la macchina. Ma, incredibile, il ragazzo, invece di cadere di fianco, è finito sul mio cofano e poi è rotolato davanti alle ruote. Per quanto abbia frenato, la macchina l’ha scavalcato. Se fossi un pirata, se avessi accelerato, magari il cofano, con più velocità, l’avrebbe sbalzato via». Purtroppo non è andata così. «Già, lui è morto. C’è una famiglia distrutta e ci sono io che non dormo più. So che per me il dolore, prima o poi, passerà. Ma non riesco ad immaginare la mamma di lui. Ci sto malissimo. Non riesco a sopportarlo».
• Ha provato a vedere i genitori di Giulio? «Dopo l’incidente, ho chiesto al mio parroco di mettersi in contatto con il loro parroco. Volevo andare ai funerali. Hanno preferito di no. Li capisco, li rispetto. Non so, davvero, cosa farei io e cosa proverei». Perché andare al funerale? «Perché purtroppo, quando è morto il ragazzo, c’ero io. Avrei voluto essere lì per condividere, per quanto possibile, la loro disperazione». Avrebbe incontrato gli amici di ”Bonzo”... «Vorrei parlargli. Vorrei che capissero che il casco va portato. Può darsi che non sempre possa salvare una vita. Ma può darsi che lo faccia. Gli incidenti, in un traffico così, possono succedere. Ed è una disgrazia per tutti: irreparabile per chi non c’è più. Ma anche per chi ne porterà il peso per tutta la vita». Capì subito che Giulio era morto? «No. Me lo dissero dopo». Che cosa ha provato? «La stessa sensazione di quando ti muore un fratello. Mi è crollato il mondo addosso. Non riuscivo più neanche a dire, a chi me lo chiedeva, dove lavoro». Vorrebbe ancora parlare ai Balzano? «Certo. Ma non so se vogliono loro. Ho paura di dire, anche in queste parole che scambio con voi, cose che possano ferirli. successo da così poco... Ogni loro reazione è comprensibile». Va al lavoro? «Da quel giorno no. Non sono in grado. Sono andata a stare da mia madre. Non ce la facevo nemmeno a stare dietro al bambino». Ha un avvocato? «Sì. Mi ha spiegato alcune cose. Cose giuridiche di cui non mi pare il caso di parlare».