Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 12 novembre 2016
Come un animale braccato
• Come un animale braccato. la sensazione che prova il «mobbizzato», cioè chi subisce ingiustizie e vessazioni sul posto di lavoro. Un milione e mezzo, in Italia, stando almeno ai dati del Centro studi e ricerche Eurhope di Roma. Ma il numero sale ad almeno 5 milioni se si considerano anche i familiari delle vittime, che vengono coinvolti dagli stati di malessere del loro caro.
Ma che cosa significa mobbing? «La parola mobbing deriva dal verbo inglese ”to mob”, che vuol dire attaccare», spiega Emanuela Fattorini, responsabile del Gruppo di studio e ricerca sul mobbing dell’Ispsel, l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro. «L’espressione indica l’attacco di un gruppo di uccelli ai danni di un altro individuo che appartiene alla stessa specie, ma viene percepito come estraneo e minaccioso». Ad usare per la prima volta questo termine per indicare quell’insieme di soprusi e violenze, più o meno velati, sul luogo di lavoro è stato, alcuni anni fa, un professore svedese, Heinz Leymann, tuttora considerato la maggiore autorità in questo campo.
Come nasce...L’origine del mobbing risiede in un conflitto interno all’organizzazione del lavoro che si trasforma in un duello personale e che va avanti per molti mesi, manifestandosi ogni settimana con singoli episodi. Qualche esempio? « difficile catalogarli», dice Fattorini, «ma in linea di massima possiamo dire che da parte del mobber, che può essere un superiore o un collega, c’è un atteggiamento diverso rispetto a quello normalmente riservato agli altri».
• Mobbing, cosa fare? «Purtroppo, qualunque sia il tipo di vessazione subita», conclude Fattorini, «ancora non esistono leggi specifiche: questi comportamenti vengono equiparati ad altri tipi di reato (abuso di potere, minacce, violenza privata, diffamazione, molestie) o a un diritto leso nell’ambito della tutela della salute». Ma qualcosa sta cambiando: la Commissione europea sta lavorando a un Libro verde sull’argomento. In Italia è stata presentata una proposta di legge nazionale. E la Regione Lazio ha approvato un provvedimento che prevede la creazione di un osservatorio, la definizione dei comportamenti vessatori e la creazione di sportelli antimobbing nelle AsI.
• Tutti i soprusi passo dopo passo
1a FASE
Succede che... da almeno sei mesi subite una o più volte alla settimana piccoli gesti di maleducazione dei colleghi o ricevete rimproveri immeritati da parte dei superiori. Qualche volta, mentre parlate, alzano la voce per coprire la vostra e non vi ascoltano.
... E voi la tensione che sopportate ogni giorno vi provoca qualche sintomo di malessere, come una leggera emicrania o mancanza d’appetito, ma la notte dormite bene. Il consiglio è semplicemente di non perdere la fiducia in voi stesse e di non cadere nelle trappole che vi vengono tese.
2a FASE
succede che... da circa due anni in ufficio provano a isolarvi, vi fanno scherzi fastidiosi e di cattivo gusto, vi impediscono di comunicare con i colleghi e di esprimere la vostra opinione nelle decisioni importanti.
... E voi siete vittime di un’ansia irrefrenabile, con cui convivete a casa e in ufficio. Spesso siete depresse e la notte dormite con difficoltà. Correte ai ripari prima che sia troppo tardi: affidatevi a uno psicologo che vi aiuti a combattere il nervosismo.
3a FASE
succede che... da circa quattro anni colleghi e superiori cercano di danneggiare la vostra reputazione personale e professionale e l’ufficio del personale vi invia spesso note di richiamo.
... e voi avete un equilibrio psicofisico a rischio. Potreste esplodere da un momento all’altro, facendo una scenata davanti a tutti. Iscrivetevi a un corso di yoga, dedicate a voi stesse tempo e cure, approffittate dei week end per rilassarvi. Ma intanto preparatevi a dare battaglia.
4a FASE
succede che... dopo anni e anni di soprusi, qualcuno vi spinge, magari velatamente, a dare le dimissioni, ad esempio riservandovi incarichi pericolosi per la vostra salute o volutamente degradanti.
... E voi non dormite più, non fate altro che parlare a tutti delle ingiustizie che subite ogni giorno, insomma, siete sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Per evitarlo avete due vie di salvezza: ricorrere al sindacato o chiedere a un avvocato esperto di mobbing di avviare una causa per il risarcimento dei danni morali e materiali. L’importante è non mollare: licenziarsi vuol dire darla vinta ai propri persecutori e rimanere sconfitte.
• Dieci modi per vincere
A differenza di quello che accade per le molestie sessuali, il mobbing colpisce in uguale misura uomini e donne, che reagiscono allo stesso modo. Cosa fare se colleghi e superiori cominciano a isolarvi e a darvi sempre incarichi che nessun altro vuole svolgere? Ecco i suggerimenti di Mirko Tosi, presidente del Mima, Movimento italiano mobbizzati associati, per resistere a queste pressioni senza farvi prendere dall’angoscia e dallo sconforto.
1) abbi pazienza.
Il viaggio contro il mobbing è lungo e difficile, ma non perdete la calma: dopo un periodo iniziale di angoscia e ansia ritroverete la forza di sorridere, sconfiggere i vostri «aguzzini» e chiedere il giusto risarcimento.
2) no ai sensi di colpa. Se siete «mobbizzate» non dipende da un vostro atteggiamento sbagliato. Voi non avete nessuna colpa, rappresentate soltanto il capro espiatorio di una situazione lavorativa complessa di cui è difficile capire le ragioni.
3) niente dimissioni. Spesso il mobbing ha come scopo quello di licenziare impunemente. Dare le dimissioni vi libera dall’oppressione, è vero, ma così facendo la date vinta all’autore delle vessazioni e vi precludete qualsiasi azione risarcitoria.
4) Un po’ di riposo. Se proprio avete bisogno di staccare la spina, dite che non state bene. A patto, però, di non rimanere a casa troppo a lungo: al ritorno potreste trovare che molte cose sono cambiate in peggio perché chi vi maltratta ha avuto il tempo di affilare le armi.
5) Il tempo è dalla tua parte. Secondo i calcoli dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), le azioni «mobbizzanti» costano all’azienda circa il 190% della vostra retribuzione annua lorda, se si considerano le giornate perse in malattia, le liquidazioni e i risarcimenti. Alla fine, quindi, saranno loro a cedere.
6) Raccogli documenti. Tenete un diario di ogni azione che ritenete vessatoria e delle conseguenze psicofisiche prodotte. Chiedete con una lettera che vi venga confermato per iscritto ogni ordine che vi è stato dato verbalmente.
7) Parlane con i colleghi. Rendete nota all’interno dell’azienda la vostra situazione: in alcuni casi questo ha fatto sorgere un forte movimento di opinione contro i responsabili del mobbing. Ma fate attenzione a non violare la segretezza degli atti d’ufficio.
8) Cerca alleati. Non è facile trovare colleghi disposti a testimoniare in caso di denuncia. Spesso temono ritorsioni da parte degli autori delle pressioni. Ma non isolatevi. Rinsaldate i rapporti con loro e cercate di individuare i più coraggiosi.
9) Iscriviti a un’associazione. Rivolgetevi unicamente a quelle che non hanno scopo di lucro o interessi economici da difendere (ne trovate alcune nel riquadro in questa pagina).
10) Ricorri alle vie legali. Se decidete di intraprendere questa strada, non siate impazienti: preferite dapprima il procedimento civile (una causa di lavoro o di risarcimento per lesioni personali). Ma preparatevi a tempi lunghi. Anche in caso di vittoria in primo grado, aspettatevi un ricorso in appello da parte dell’azienda: calcolate da un minimo di quattro fino a dieci anni. Rivolgetevi a un buon avvocato che abbia già trattato cause di mobbing.