Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 12 novembre 2016
Quel «bip-bip» dallo spazio Così Mosca aprì la sfida oltre la Terra
• Quel «bip-bip» dallo spazio Così Mosca aprì la sfida oltre la Terra. Corriere della Sera 2 ottobre 2007. E’ un venerdì ed è già sera quando arriva la notizia che stravolge i giornali: l’Unione Sovietica ha lanciato lo Sputnik, il primo satellite artificiale, una sfera di alluminio lucidissimo, poco più grande di un pallone da basket, emittente un debole bip. Quel 4 ottobre 1957 segnerà l’inizio dell’era spaziale cambiando molte cose sulla Terra. A Mosca non si rendono ben conto del peso della loro impresa e la Pravda, voce del partito comunista, le dedica appena una colonna di testo in prima pagina. Solo l’impaurita reazione degli americani farà capire il giorno dopo la portata dell’evento trasformando subito lo spazio in uno strumento della politica di Nikita Krushev, padrone del Cremlino.
«America vittima di un’altra Pearl Harbor», sostiene Lyndon B.Johnson leader della maggioranza al Senato e futuro presidente. L’incalzare degli eventi riesce a deformare la realtà dipingendola ancora più nera. Non solo il primo Sputnik (in russo «compagno di viaggio») passa sopra gli Stati Uniti, come titola il New York Times, scatenando preoccupazioni di ogni genere, soprattutto militari, ma il 3 novembre successivo, neanche un mese dopo, un satellite sei volte più pesante (508 chilogrammi) ospita a bordo addirittura il primo essere vivente, la cagnetta Laika. Sarà anche la prima vittima del cosmo perché a causa di un guasto al controllo termico, quattro giorni dopo non manderà più alcun segno di vita.
Ma intanto l’Urss, battuta nella costruzione della bomba atomica trova il riscatto in orbita dimostrando di avere missili potenti capaci di portare la minaccia anche su Washington. Da tempo negli ambienti scientifici, nell’ambito dell’Anno Geofisico Internazionale, si parlava di un satellite e i sovietici, in silenzio, battono gli americani. Da qui parte la corsa allo spazio che per gli Stati Uniti ha come scopo la riconquista della superiorità politico- militare perduta ma che nel contempo favorisce quello sviluppo scientifico-tecnologico da allora mai tramontato e rimasto l’indiscusso motore della supremazia tecnologica ed economica.
«Senza lo Sputnik non ci sarebbe stata la conquista della Luna» afferma John M.Logsdon, direttore dell’Institute of Space Policy alla George Washington University. E infatti il presidente John Kennedy incalzato dall’escalation russa al cosmo (satelliti sempre più grandi, sonde che fotografano la faccia nascosta della Luna e Juri Gagarin primo cosmonauta tra le stelle) lancia la grande sfida: entro un decennio un uomo sulla Luna. Alle spalle dello storico proclama ci sarà l’America con tutte le sue risorse economiche (si spenderanno 24 miliardi di dollari dell’epoca), industriali e accademiche.
Ma l’uomo chiave sarà l’europeo Wernher von Braun che dopo lo smacco dello Sputnik, con il suo razzo Jupiter-C risolleverà lo spirito statunitense lanciando il primo satellite americano, l’Explorer-1 nel gennaio 1958. Von Braun ideava in Germania la V-2, il primo missile balistico con il quale Hitler bombardava Londra. Dopo la guerra si consegna agli americani lavorando per l’esercito. E quando nasce la Nasa per rispondere agli exploit russi, diventa il direttore del centro Marshall dove si costruisce il potente razzo Saturno- 5 con il quale Neil Armstrong e Edwin Aldrin sbarcheranno sulla Luna nel 1969.
Anche Mosca vorrebbe arrivare sulle sabbie seleniche ma non ci riuscirà perché il padre dello Sputnik e delle altre vittorie, Sergei Korolev, non farà in tempo a realizzare il grande razzo necessario. La sua esistenza tenuta segreta per volere di Krushev si chiuderà, infatti, prematuramente nel 1966, a soli 59 anni.
L’America chiuderà così il capitolo dell’esplorazione umana dello spazio affidando le sue ambizioni soprattutto ai robot cosmici che ci mostreranno volti inaspettati dei pianeti fino ai confini del sistema solare. Nascerà (male) lo shuttle e con grande fatica la stazione spaziale internazionale ancora da completare dopo vent’anni.
Ma dagli anni Settanta lo spazio cambia volto. Entrano in scena Cina, India, Giappone e l’Europa. Lo spazio diventa sempre più un confronto di potere tecnologico e quindi economico senza abbandonare, tuttavia, la sua anima militare. Non a caso sarà proprio il piano delle Guerre stellari, estremo atto della guerra fredda voluto dal presidente Ronald Reagan, a dare la spallata finale all’Unione Sovietica portandola al crollo definitivo. Ed ora alle spalle dei successi cinesi che mirano alla Luna continuano ad esserci pesanti investimenti negli strumenti della difesa. Altrettanto è per l’India. A cin quant’anni dallo Sputnik, Pechino si è sostituita a Mosca. E mentre si prepara il ritorno degli uomini sul nostro satellite naturale per costruirvi una colonia, resta la constatazione dei vantaggi portati dallo spazio alla vita sulla Terra in vari campi, a partire dalle comunicazioni via satellite. Intanto si coltiva il sogno dello sbarco su Marte. Perché, al di là di tutto, lo spazio rimarrà sempre una grande avventura.
GIOVANNI CAPRARA
• Dal San Marco ai raggi di Agile L’Italia è sempre più in orbita. Corriere della Sera 2 ottobre 2007. Il Bip Bip di Sputnik ed il battito cardiaco di Laika diedero un segnale di maturità scientifica e tecnologica, ma anche di velata minaccia militare. Fu invece di Explorer 1, il satellite americano, la prima scoperta scientifica spaziale. Gli strumenti di James Van Allen scoprirono le fasce di radiazione che presero subito il suo nome. Intanto Bruno Rossi, allievo di Fermi emigrato negli Usa e divenuto professore al Mit, inizia lo studio delle radiazioni dallo spazio. Fu lui a chiamare, nel 1961, Giuseppe Occhialini a Boston. Tornato a Milano, Occhialini contribuì a far partire la ricerca spaziale in Italia ed in Europa, mentre un altro suo allievo milanese, un certo Riccardo Giacconi (premio Nobel 2002), si metteva a lavorare proprio con Rossi. In parallelo, Luigi Broglio, con genio e testardaggine, riusciva a portare l’Italia ad essere il terzo paese al mondo a lanciare un satellite, il primo della serie San Marco, in orbita nel 1964.
Da allora, l’Italia (dal 1988 con Asi) ha lanciato quasi una ventina di satelliti nazionali. Una missione per telecomunicazioni ad alta frequenza, il Sirio del Cnr, fu seguita da satelliti a frequenze sempre più elevate, Italsat 1 e 2. Poi la fisica fondamentale, prima con i Lageos assieme alla NasaA e poi con gli sfortunati satelliti al guinzaglio, Tethered, da una geniale idea di Giuseppe Colombo. Più recentemente (1996-2002), la missione di astrofisica BeppoSax, dedicata a Occhialini, fu un successo mondiale, meritandosi dagli americani il premio che porta il nome proprio di Bruno Rossi. L’Asi, con la grande industria nazionale, ha costruito circa il 40% del volume abitabile della Stazione spaziale internazionale, ha messo in orbita quattro astronauti (tra pochi giorni saranno cinque col volo di Paolo Nespoli) ed ha partecipato, quale Paese fondatore ed attualmente terzo partner in ordine di importanza, a tutte le imprese della Agenzia Spaziale Europea. Italiana è la antenna della missione Nasa/Esa/Asi Cassini, da anni intorno a Saturno, e la brillante tecnologia della nostra industria radar è alla base dei successi degli strumenti Asi in orbita intorno a Marte e Venere su sonde Esa. Proprio nel contesto europeo l’Italia sta sviluppando il proprio razzo vettore Vega. L’Asi, infine, ha partecipato a numerose missioni di altre Agenzie, prima fra tutte la Nasa: è appena partita, ad esempio, la missione Dawn con uno strumento italiano per lo studio dei corpi minori del sistema solare.
Il 2007, cinquantenario di Sputnik, è stato un anno fortunato per l’Italia dello spazio: in aprile un’altra missione di astrofisica, Agile, con risultati invidiati in tutto il mondo e in giugno il primo satellite della costellazione CosmoSkyMed, che sfrutta alla grande la tradizione italiana di radar per l’osservazione della Terra. «Cosmo» è il progetto spaziale più grande mai affrontato dall’Italia ed il primo del suo genere anche per l’Europa, oltre ad essere la prima collaborazione concreta tra il Ministero dell’Università e Ricerca e un altro Ministero italiano, quello della Difesa. Tra poche settimane sarà in orbita il secondo e presto completeremo la costellazione di quattro satelliti. E il centenario? Penso che lo festeggeremo su Marte e che dallo spazio avremo trovato un’altra Terra nel nostro angolo di Galassia. Più vicino a noi, un super-sistema satellitare, discendente da quel Galileo che l’Europa sta facendo partire, con fatica ma con determinazione, renderà inutile preoccuparsi, ad esempio, di guidare la macchina. E poi chissà: i fratelli Wright, cento anni fa, non avrebbero certo immaginato il nuovo Airbus.
GIOVANNI FABRIZIO BIGNAMI
• Eravamo a Kiev, e mio padre parlò dei missili. Corriere della Sera 2 ottobre 2007.
«Mio padre era a Kiev, quel giorno, e io lo raggiunsi». Così Sergei Krushev (nella foto a destra), ingegnere spaziale, figlio del premier sovietico (foto a sinistra) ricorda il 4 ottobre 1957. Sergei ora vive negli Stati Uniti, a Providence.
Suo padre si aspettava il lancio dello Sputnik?
«Era al corrente del piano, naturalmente, non del giorno.
Tornava da una vacanza e volle assistere a Kiev alle manovre militari».
Come ne fu informato?
«Eravamo a cena al palazzo Mariinskij assieme a Kirichenco, primo segretario del comitato centrale, a Breznev e alti ufficiali.
Alle 11 arrivò una telefonata e mio padre andò in una stanza vicina.
Quando rientrò aveva un sorriso smagliante».
Tutto era già avvenuto...
«Si, lo Sputnik era già in orbita e trasmetteva».
E suo padre che cosa disse?
«Parlò soprattutto dei potenti missili che l’Unione Sovietica aveva costruito e di cui l’America era ancora sprovvista. Ed era grazie a questi che l’Unione Sovietica aveva conquistato la superiorità».
E del satellite non aggiunse nulla ?
«Era soddisfatto e mentre ne parlava si lasciò sfuggire un nome che non doveva pronunciare. Ricordò di aver ricevuto la telefonata da Sergei Korolev che era il responsabile del programma ma anche il costruttore del missile che aveva lanciato lo Sputnik».
Non doveva essere un segreto?
«Infatti, appena pronunciò il nome di Korolev, aggiunse subito che nessuno lo doveva sapere e ordinò che lo dimenticassero. Poi andò in un angolo della sala dove c’era una radio, l’ accese e fece sentire agli ospiti il segnale trasmesso dal satellite e diffuso da Radio Mosca».
Si dice che suo padre chiedesse a Korolev di organizzare subito un lancio per ricordare la Rivoluzione d’ottobre?
«Lo dicono gli storici. Io credo che si sia limitato a prospettare questa possibilità. Aveva troppo rispetto dei tecnici per forzarli sino a quel punto».
GIOVANNI CAPRARA
• Guerra fredda La mossa più ardita. Corriere della Sera 2 ottobre 2007. Il lancio di un satellite sovietico il 4 ottobre 1957 fu visto come la mossa della torre o dell’alfiere sulla scacchiera della Guerra fredda. Non era ancora uno scacco, ma poteva rapidamente diventarlo. A Mosca vi era un uomo nuovo, Nikita Kruscev, che dava segnali contradditori e sembrava ora conciliante, ora minaccioso e aggressivo.
Nel febbraio dell’anno precedente, durante una seduta a porte chiuse del XX congresso del Pcus (partito comunista dell’Unione Sovietica), aveva denunciato i crimini di Stalin e il culto della personalità. Nella stessa occasione, durante una seduta pubblica, aveva elogiato il concetto leninista di coesistenza pacifica e dichiarato che questo sarebbe stato, da quel momento, l’obiettivo della politica estera sovietica.
In aprile sciolse il Kominform con cui l’Urss, dal 1947, aveva cercato di teleguidare i partiti comunisti dell’Europa occidentale. Ma nello stesso mese, durante un viaggio a Londra, aveva annunciato che il suo Paese si accingeva a costruire missili dotati di testate nucleari all’idrogeno. E in novembre non aveva esitato a reprimere nel sangue la rivoluzione ungherese. A quale Kruscev avremmo dovuto credere?
A quello che «riabilitava» le minoranze oppresse da Stalin e cacciava la vecchia guardia dal Comitato centrale? O a quello che tradiva i patrioti ungheresi e mandava i carri dell’Armata Rossa alla conquista di Budapest? Anche l’Occidente, d’altro canto, lanciava segnali non propriamente pacifici. Nel maggio del 1955 la Germania venne ammessa a far parte della Nato.
Nei mesi seguenti l’organizzazione cominciò a discutere il problema dell’installazione di basi missilistiche in Europa occidentale. Quando fu annunciato, nel febbraio del 1957, che un generale tedesco (Hans Speidel) avrebbe comandato le forze di terra dell’Alleanza in Europa centrale, i sovietici sbarrarono gli occhi. Speidel aveva una impeccabile reputazione anti-hitleriana, ma aveva pur sempre combattuto in Russia per quasi due anni contro l’Armata Rossa. Era quindi inevitabile che lo Sputnik venisse giudicato nel contesto della Guerra fredda e provocasse una discussione sul modo in cui l’avvenimento avrebbe modificato i rapporti di forze tra i due blocchi. Ma i tempi della tecnica non sono quelli della politica. Più che di una deliberata strategia sovietica il lancio fu il risultato di un processo che era cominciato nel 1945 quando sovietici e americani, avanzando nel territorio del Reich, avevano cominciato a fare incetta di scienziati e tecnici tedeschi. Secondo alcune stime, furono circa 750 gli esperti importati che gli Stati Uniti impiegarono, subito dopo la fine del conflitto, nei loro laboratori. E furono probabilmente altrettanti quelli che lavorarono nella patria del socialismo. Dopo il lancio dello Sputnik, un comico americano, Bob Hope, disse: i loro tedeschi sono meglio dei nostri. In realtà le due équipes lavorarono con precisione germanica in quasi perfetta sintonia. Quattro mesi dopo lo Sputnik, il 31 gennaio 1958, apparve nello spazio Explorer 1. La corsa era cominciata.
SERGIO ROMANO