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 2016  novembre 12 Sabato calendario

Gli italiani consumano ogni anno cinque chili di caffè a testa, con una media di tre tazzine al giorno

• Gli italiani consumano ogni anno cinque chili di caffè a testa, con una media di tre tazzine al giorno. Settantacinque su cento lo bevono al risveglio, settanta su cento a casa, tutti gli altri al bar. Ormai siamo abituati a veder porgere ai clienti una tazzina dopo l’altra, ma dietro un rito da consumare in pochi minuti ci sono secoli di storia. La prima macchina per preparare il caffè espresso fu brevettata a Milano, il 19 novembre del 1901, dall’ingegner Luigi Bezzera (prima esistevano solo rudimentali caffettiere con filtri in carta). Si trattava di una macchina a vapore in ottone cromato, a forma di cilindro, con una caldaia scaldata da un fornello a gas. Girando una manopola, l’acqua in ebollizione passava attraverso il caffè macinato contenuto nel filtro a una pressione di 1,5 atmosfere: un solo minuto di attesa e l’’espresso” scivolava direttamente all’interno delle tazzine, pronto per essere servito. C’era un solo problema: quel modello bruciava il caffè e lo faceva diventare amaro. Ciononostante, l’ingegnere Bezzera trovò subito un costruttore disposto a realizzarlo: Desiderio Pavoni. L’imprenditore, tre anni più tardi, fondò in una piccola officina di Milano l’omonima azienda che è ancora oggi una delle più famose produttrici di macchine da caffè nel mondo. Il primo modello della Pavoni, battezzato l’’Ideale”, era disponibile in varie dimensioni, a seconda delle destinazioni: case, bar, balere o altri luoghi di ritrovo. Fu un grande successo, tanto che i primi esemplari vennero venduti alla media di uno al giorno. Anche l’aspetto estetico era molto curato: visto che andava di moda lo stile Liberty, le macchine della Pavoni erano decorate con motivi floreali o piccole raffigurazioni di uomini o animali. Negli anni Venti nacquero altre case costruttrici, alcune destinate alla storia: a Torino la Victoria Arduino, l’Augusta e la Minerva, a Milano La Cimbali, la Universal e la Eletta. Il sistema per ottenere il caffè rimase quello ideato dal Bezzera e tale restò fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Cambiarono però le decorazioni, ispirate alle nuove correnti artistiche: Astrattismo, Cubismo, Futurismo. I tipici ghirigori dei primi modelli furono sostituiti da linee spezzate e angolose o fiori stilizzati. E cambiarono pure le forme: celebre il modello a base ottagonale della Universal, rifinito in argento, presentato alla Fiera Campionaria di Milano nel 1929. Negli anni Trenta la Victoria Arduino, ispirandosi al rigore fascista, mise in vendita modelli massicci e privi di qualsiasi decorazione.
• Nel 1945 Carlo Valente, ex operaio milanese già meccanico a quattordici anni, si era messo all’opera per fondare una sua casa di produzione di macchine da caffè, oggi nota con il nome di Faema. Fu lui l’inventore della prima macchina orizzontale: una leva, azionata manualmente, metteva in moto un pistone capace di portare la pressione da 1,5 a 9 atmosfere: l’ideale per erogare un espresso non più di sapore bruciaticcio. Immediata la corsa delle aziende per lanciare un modello che adoperasse il nuovo sistema: la Pavoni batté tutti. Il suo modello fu realizzato da Gio’ Ponti, uno dei designer più quotati del tempo, con l’ingegnere Antonio Fornaroli e l’architetto Alberto Rosselli. Il risultato? Quello che ancora oggi è ritenuto un autentico gioiello del design italiano, il modello ”La Cornuta”. In seguito un sistema identico fu adottato con successo anche da altre case costruttrici come la neonata Gaggia e La Cimbali. Negli anni Cinquanta la moda americana contagiò anche le macchine da caffè, che finirono per assomigliare a pezzi di automobile o jukebox. Nel 1961 la Faema mise a punto il sistema ancora oggi in uso: l’acqua raggiungeva le 9 atmosfere di pressione non più grazie a un pistone ma con una pompa elettromagnetica che spingeva acqua calda ma non bollente. Risultato: il classico aroma ormai noto in tutto il mondo. Il nuovo modello fu battezzato E-61, in onore di un’eclissi solare ammirata in Italia proprio in quei giorni (che ispirò pure un film di Antonioni).
• Ma il rito del caffè ha una storia molto più antica delle macchine che vediamo tutti i giorni nei bar. I primi a berlo, nell’Alto Medioevo (probabilmente verso il Milleduecento), furono gli etiopi. Le piante del caffè, infatti, crescevano spontaneamente e in abbondanza sugli altopiani dell’Abissinia, oltre i mille metri. Alcuni pastori della regione di Caffa (da qui il nome) si accorsero che le capre, dopo aver mangiato quei frutti rossi e tondeggianti, diventavano irrequiete e faticavano a prendere sonno. Dopo aver ridotto in polvere i chicchi, li versarono in acqua bollente (il cosiddetto metodo della ”decozione”) e ne ricavarono un infuso dalle proprietà energetiche. Quando partirono alla conquista dello Yemen portarono con sé molte tradizioni, compresa l’arte di preparare il caffè. Da lì l’usanza si diffuse in tutta l’Arabia, arrivò in Siria, in Iraq, in Iran e da ultimo in Turchia. Il cahuè, ovvero ”l’eccitante” – questo il nome con cui lo chiamavano i turchi – divenne ben presto un prodotto di largo consumo. A Istanbul la prima bottega per degustarlo fu aperta nel 1555. Dopo il Cinquecento in ogni angolo del Medio Oriente era possibile vedere qualcuno che bolliva acqua in un bricco, ci metteva dentro due o tre cucchiaini di polvere e versava il tutto in tazzine di porcellana riccamente decorate. All’inizio del Seicento la moda del caffè si diffuse anche in Europa, a Marsiglia e soprattutto a Venezia. Il merito fu di Prospero Alpino, noto botanico e medico padovano che di ritorno dal Medio Oriente fece scalo proprio in Veneto. Ben presto fu tutto un sorgere di caffetterie e di botteghe del caffè, dove la gente si incontrava apposta per sorseggiare la bevanda, ribattezzata ”vino nero”. Nel Seicento, a Parigi, nacquero le prime caffetterie ambulanti. Celebre quella di un gobbo (detto ”il Candiota”) che girava per la città portando appeso al braccio un paniere colmo di tazzine. Con una mano reggeva un fornello con una caffettiera sopra, con l’altra un recipiente pieno d’acqua fornito di rubinetto. A Vienna, nel 1683, l’ufficiale polacco Kolschitzky, dopo aver salvato la città dall’assedio dei turchi guidati da Kara Mustafà, si impadronì di trecento sacchi di caffè abbandonati dagli assedianti con i quali aprì la caffetteria ”Zur blauen Flasche” (’Alla bottiglia azzurra”) al civico 6 della Domgasse. Nel 1763, a Venezia, qualcuno ebbe l’idea di contare il numero di caffetterie: erano 218. Un record raggiunto e in certi casi addirittura superato da altre città europee, come Parigi, Londra, Francoforte e Stoccolma. Ma con una differenza: mentre in Medio Oriente il caffè continuava a essere degustato con il metodo della ”decozione”, in Europa si diffuse un altro sistema, quello dell’infusione: il bricco, in ottone o in rame, con dentro la polvere di caffè, veniva riempito di acqua bollente, lasciato riposare per qualche minuto e il suo contenuto in seguito colato dentro le tazzine.
• Oggi per ottenere un buon espresso non ci vuole molto. La tecnologia ha fatto passi da gigante: le macchine da caffè del Duemila, altamente funzionali, sono dotate di incredibili stratagemmi meccanico-ingegneristici. Non c’è più solo la E-61. Attualmente in commercio se ne distinguono almeno di tre tipi: le macchine a pompa, le macchine a pistone e le macchine superautomatiche. Le prime sono in assoluto tra le più diffuse: possiedono degli addolcitori a resine che diminuiscono il grado di durezza dell’acqua, altrimenti causa di incrostazioni e malfunzionamenti vari, e una pompa volumetrica, che assicura all’acqua una pressione di 9 atmosfere e una temperatura di 90 gradi, requisiti indispensabili all’erogazione di un caffè ottimale. Quando l’acqua raggiunge il gruppo erogatore costituito da un portafiltro e da un filtro vero e proprio, all’interno del quale risiede il caffè pressato e macinato, avviene la cosiddetta preinfusione, un processo della durata di pochi secondi, necessario a dar risalto alle qualità del caffè. A quel punto il caffè è pronto per riempire le tazzine. Le macchine per caffè superautomatiche sono quelle più sofisticate, quelle tecnologicamente più avanzate, in grado di ridurre al minimo il compito dell’operatore. Un barista alle prese con una macchina di questo genere può, mentre prepara un caffè, fare anche dell’altro. sufficiente pigiare un semplice pulsante per ottenere un espresso eccellente, un cappuccino o un tè. All’interno di queste macchine è situato un computer che provvede ai compiti più diversi: nel caso del caffè alla macinatura istantanea dei semi tostati, al controllo della pressione, della temperatura e della dose dell’acqua per l’infusione, al prelievo di latte fresco e alla sua erogazione sottoforma di latte montato a vapore, alla rilevazione dei dati contabili, all’autodiagnosi di eventuali anomalie. Le macchine a pistone, ultime della serie, possiedono un sistema operativo che, nonostante gli abbellimenti di carattere estetico accumulati dalle sue carrozzerie nel corso degli anni, è rimasto lo stesso delle loro antiche progenitrici. Anziché l’impiego di un’elettropompa per ottenere le indispensabili 9 atmosfere, esse impiegano il principio meccanico esercitato da una molla e comandato da una leva manuale.