Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 ottobre 1999
Sì, sono stato io a uccidere la dottoressa Maria Monteduro
• Sì, sono stato io a uccidere la dottoressa Maria Monteduro. Non me lo perdonerò mai. E so che non mi verrà mai perdonato da nessuno. Ma per favore, credetemi, non volevo ucciderla... Non mi rendevo conto fino in fondo di quel che stavo facendo. Ero una pianta che vegetava, una larva, un essere inutile che poco prima s’era riempito di cocaina e di eroina fin sopra i capelli. Mi sentivo solo, quella notte, e pioveva, pioveva...».
Davanti al suo avvocato, Luigi Piccinni, nel supercarcere leccese di Borgo San Nicola, Giovanni Pucci, 30 anni, confessa l’omicidio di Maria Monteduro, 40. La sua confessione acquisterà valore processuale in serata, durante l’interrogatorio condotto dal pubblico ministero Leonardo Leone de Castris.
In carcere, Giovanni Pucci appare prostrato, senza il fiato necessario a spiccicare parola, immiserito nel corpo dalla t-shirt verdognola, i jeans scoloriti, le scarpe da ginnastica senza lacci (è una misura di sicurezza).
Eppure, sembra quasi voler gridare subito la propria colpevolezza e liberarsi la coscienza dal peso del delitto commesso nella notte tra il 24 e 25 aprile scorsi, quando abbandonò il corpo di Maria Monteduro nella campagna fra Castrignano (il paese in cui Pucci viveva con la madre) e Gagliano del Capo (il paese della dottoressa, che lì prestava servizio notturno di guardia medica).
• Non mangia e non dorme da quattro giorni, Giovanni Pucci, e quando ripercorre i momenti più brutali del suo delitto invoca per se stesso la morte.
«Una buona morte, rapida e silenziosa. La morte che speravo di trovare la notte in cui uccisi Maria».
Pucci chiama la dottoressa Monteduro sempre per nome, «Maria». Ma ripete: «Non la conoscevo, era la prima volta che la vedevo. No, non ne ero innamorato. E non volevo nemmeno rapinarla, o violentarla».
Ma allora perché lo ha fatto?
«Non lo so nemmeno io. Ma non è una giustificazione. So che devo pagare e pagherò... che quella notte, in quell’ambulatorio, mi auguravo di trovare un paio di medici, che alle mie richieste e provocazioni mi riempissero di botte e mi ammazzassero. E invece c’era Maria, così disponibile, attenta, paziente».
Sta dicendo che ha ucciso Maria perché l’ha trattata con umanità?
«No. Voglio dire che io ero ”strafatto” di roba, l’avevo acquistata a Lecce poche ore prima; sono andato all’ambulatorio di Gagliano perché gli spacciatori mi avevano spaccato il labbro. Sì, ho dato false generalità, ma questo non c’entra con quel che è successo dopo, quando mi sono trasformato in una belva...ª
• Perché ha costretto la dottoressa ad accompagnarla?
«No, non l’ho costretta. Quando le ho chiesto di accompagnarmi a casa con la sua macchina, lei non ha fatto storie. Forse avrà visto in quali condizioni ero e si è impietosita... Ha lasciato in ambulatorio anche la borsa e il telefonino e si è messa alla guida. Non mi aspettavo che facesse questo per me».
E lei l’ha premiata uccidendola?
« che... che... a un certo punto, durante il tragitto, si è messa a parlare, e ha detto che dovevo andare in una comunità di recupero, uscire dalla schiavitù della droga, in cui ero precipitato nel ’91, in Iraq, dov’ero andato a lavorare con mio padre...».
E allora, non aveva ragione?
«Sì, sì, sì. Ma in quel momento le sue parole mi hanno fatto infuriare. Le ho detto di finirla e di non rompermi i c... con la sua predica, le ho urlato che lei non sapeva nulla di me e non doveva pretendere di darmi consigli. Lei è rimasta in silenzio. Ma poi ha ripreso a parlarmi delle stesse cose, e a un certo punto mi ha detto: ”Pensa almeno a tua madre e a tuo padre”. Non ci ho visto più, quando ha nominato mio padre sono diventato una belva. Ho cominciato a colpirla con schiaffi e pugni, e chissà che cosa le ho urlato. Anche lei urlava, e cercava di schivare i colpi. Poi ha fermato la macchina, ha aperto la portiera accanto a me e mi invitato a scendere... e fuori pioveva, pioveva a dirotto».
E poi?
«Quando mi ha detto ”Vattene via, fuori” ho preso un cacciavite e l’ho colpita alla fronte. Una, due volte. L’avevo uccisa, l’ho capito subito. E questo mi ha fatto uscire di testa ancora di più. L’ho trascinata fuori e le ho scaraventato non so quante pietre sul corpo e sul viso. Non l’ho colpita, non volevo sfregiarla. Le ho buttato addosso quelle pietre perché ero arrabbiato e terrorizzato per averla ammazzata... Non pretendo di essere creduto, ma lo ripeterò sempre, con tutta la forza che mi resta: non volevo uccidere Maria».
• Perché quando Maria nomina suo padre lei la uccide?
«Non voglio dare a mio padre la colpa dell’omicidio che ho commesso. Lui per me ha fatto tutto quello che un padre può fare per un figlio. Ma non c’era mai quando avevo bisogno di lui, quando sono caduto nella trappola della droga e per ”farmi” ho cominciato anche a rubare... Poi sono cominciati i conflitti, i litigi, e i miei problemi venivano affrontati da lui soltanto con le minacce di punizione. Ma forse meglio di così lui, grande lavoratore, uomo onesto, non era in grado di fare. E io ho vissuto questi anni come un uomo solo, emarginato. Ma non erano gli altri a rifiutarmi, ero io a isolarmi, e a rifugiarmi nella droga».
Ma l’anno scorso suo padre è tornato dall’Egitto apposta per lei, le ha anche aperto una pescheria in paese...
«Sì, ma non è andata bene. Per colpa mia, forse, ma anche perché non era un lavoro per me. Dopo quel fallimento, mio padre si è ”arreso” ed è tornato a lavorare all’estero. A me restavano soltanto mia madre, la cara e dolce mamma, ”debole” come tutte le madri, mio nonno, don Serino il prete del paese, e la dottoressa Anna Toma, del Sert (il centro di recupero tossicodipendenti). Non ho amici, ho sempre lavorato all’estero, e queste sono le uniche persone che si son prese cura di me».
Perché è scappato in Kazakistan?
«Non sono scappato. La ditta Renco mi ha richiamato ad Alma-Ata, in giugno, perché lì avevo un lavoro importante (come suo padre, Giovanni Pucci è un tecnico specializzato nel settore elettrico, n.d.r.), controllavo undici cantieri ed ero rispettato persino dall’ambasciatore italiano. E poi perché là c’è la mia fidanzata».
Alla sua ragazza ha detto ciò che ha fatto?
«No. Lei sa solo che da quel giorno non mi drogo più. Ma non sa perché. Glielo dirà mia madre. Spero che venga a trovarmi lo stesso».