Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 2 ottobre 2004
Nel 622 dell’era volgare nasceva ufficialmente a Medina una religione nuova, direttamente opposta ai tre fondamentali dogmi cristiani, la Trinità, l’Incarnazione e la Redenzione
• Nel 622 dell’era volgare nasceva ufficialmente a Medina una religione nuova, direttamente opposta ai tre fondamentali dogmi cristiani, la Trinità, l’Incarnazione e la Redenzione. Oggi, i seguaci di questa religione sono sul punto di diventare più numerosi dei cristiani, qualsiasi sia la loro confessione. Da mezzo secolo, tre sono i fatti che hanno radicalmente cambiato la situazione.
I paesi musulmani, che erano caduti sotto la dominazione degli imperi europei (considerati cristiani da parte dei muslmani), vale a dire l’impero inglese, russo, francese, olandese, hanno ritrovato l’indipendenza (con l’unica eccezione della Cisgiordania palestinese). Le minoranze cristiane che all’inizo del XX secolo erano ancora numerose in Turchia, in Egitto, in medio oriente, si sono convertite, sono state espulse, (come i greci dall’Asia minore), a volte persino massacrate (come gli armeni). Alla fine, forti minoranze si sono pacificamente trasferite in Europa occidentale. In Francia, oggi formano quasi il 10 per cento della popolazione, e tra una ventina d’anni secondo i demografi raggiungeranno il 20 per cento. In Germania, in Inghilterra, negli Stati Uniti, le cifre sono inferiori, ma altrettanto significative. Fatto questo che suscita in tali paesi una certa apprensione.
Il problema è posto in termini demografici, comunitari, in termini di assimilazione, di lotta contro il ”razzismo”, ma molto più raramente in termini religiosi. L’umore delle chiese in effetti, da mezzo secolo a questa parte, volge all’irenismo, all’ecumenismo. Sebbene molte di loro sembrino in crisi – o forse proprio a causa di questa crisi – nessuna mostra una preoccupazione di tipo religioso. Il problema per le chiese si limita a riservare all’islam una buona accoglienza, a cercare il contatto, i punti in comune, il dialogo. In Francia in particolare, la penetrazione della religione del Corano è avvenuta a piccoli passi e in modo silenzioso. Solo di recente i francesi hanno improvvisamente capito che questo fatto rappresentava un problema gravissimo, dal momento che si tratta, a lungo termine, della nascita di un’altra civiltà sul territorio di un altro paese. Sorpresi, reagiscono oggi in maniera disordinata, come si è visto nel corso dei dibattiti sul permesso o sul divieto del velo musulmano nelle scuole pubbliche. Hanno la scusa di essere stati male o poco informati. Hanno avuto paura di venir accusati di intolleranza religiosa, addirittura di razzismo, anche se non si tratta di razza, ma di religione. Se erano cristiani, potevano leggere una letteratura spesso prodotta da chierici ben votati a difendere i valori del’islam, a sottolineare i punti in comune che prentendevano cogliere tra questa religione e la loro. Questi libri potevano essere letti come un’involontaria propaganda in favore dell’islam.
Non è stato sempre così. Molti grandi autori classici hanno constatato che tra l’islam e il cristianesimo c’è un’incompatibilità teologica. E’ il caso di Giovanni Damasceno e Tommaso d’Aquino.
Yahia ibn Mansour, detto il Damasceno, discendeva da una famiglia di alti funzionari bizantini che aveva avuto un ruolo nella resa di Damasco. Fu dapprima al servizio del Califfo, nell’amministrazione fiscale. Alle prime persecuzioni, si ritirò nel convento di San Saba, presso Gerusalemme, dove morì nel 754. Ha scritto solo alcune pagine che sono preziose essendo egli un testimone della prima ora. Il primo testo si trova inserito nel suo catalogo, ”Il Libro delle eresie”, in cui l’islam viene catalogato come l’eresia numero 100. Ciò vuol dire che a quella data, in particolare per i monofisiti* e per i nestoriani* – che detestavano l’ortodossia melchita che rappresentava l’oppressione bizantina – non era chiaro se l’islam fosse un’altra religione, o non piuttosto una versione supplementare della nebulosa cristiana. La stessa cosa a volte succede anche oggi. In ogni modo, la descrizione del Damasceno è puramente sarcastica. Maometto è un falso profeta. Le sue dottrine sono assurde e non possono che essere tali, visto che nega le verità cristiane. Il secondo testo, più tardivo, appare sotto forma di una ”Controversia tra un musulmano e un cristiano”. E’ una breve catechesi per impedire ai cristiani di convertirsi, cosa che già facevano in massa. Contro il fatalismo che egli attribuisce all’islam, Damasceno tenta di difendere il libero arbitrio, e anche la consistenza della natura creata, l’ordine delle leggi di natura, contro il puro capriccio del Dio predicato dall’islam. Giovanni parla con condiscendenza, un po’ come un distinto teologo del XIX secolo avrebbe trattato la rivelazione di Joseph Smith e il ”Libro dei Mormoni”.
Tommaso d’Aquino segna una tappa capitale in questa tradizione del rifiuto puro e semplice; Nella ”Summa contro i Gentili” (I, 5), offre infatti i seguenti argomenti: Maometto ha sedotto i suoi seguaci dando loro comandamenti che soddisfano la concupiscenza di uomini carnali; ha offerto solo verità facilmente comprensibili dalle menti comuni; ha fatto un miscuglio di leggende e di dottrine che diminuiscono la verità naturale che pure si trova nel suo insegnamento; le sue prove si fondano sulla forza delle armi e non difettano per nulla ai briganti e ai tiranni. Né l’Antico né il Nuovo Testamento depongono a suo favore; al contrario, Maometto dopo averli deformati con racconti favolosi, fa divieto di leggerli ai suoi discepoli. Alla fine, san Tommaso, conclude: ”Coloro che prestano fede alla sua parola, credono alla leggera”.
Questi due autori nel momento stesso in cui rappresentano un netto rifiuto dell’islam, hanno entrambi prodotto delle summe, vale a dire delle sintesi complete del cristianesimo. In effetti, sembra proprio che tutta la discussione con l’islam richieda una conoscenza approfondita della teologia cristiana e il miglior modo di mettere in guardia il fedele cristiano stia nell’istruirlo della sua stessa religione, che egli in genere conosce male. La polemica con l’islam è efficace solo se accompagnata da una catechesi. Ed è proprio quanto ha fatto Jacques Ellul nel testo che leggerete. E’ importante che un teologo ci parli oggi dell’islam dal principale punto di vista che valga, quello teologico.
Jacques Ellul è un teologo protestante. Protestante è pure la sua catechesi. Egli si pone nella tradizione di Karl Barth, che nel XX secolo ha tanto segnato non solo la teologia protestate – ma anche, in una certa misura, quella cattolica. Invitato come osservatore al Concilio Vaticano II, Karl Barth levò una solenne protesta contro un documento di quel concilio che, a suo parrere, non manteneva a sufficienza e nemmeno in modo chiaro che l’unico mediatore e l’unico salvatore era il Cristo. Così, con la critica dell’islam, leggeremo anche la confessione di fede di Jacques Ellul, che ne è l’altra faccia, l’indispensabile contropartita. Ma Jacques Ellul non ha avuto il tempo di finire. Questo testo è un brogliaccio decifrato dopo la sua morte. E’ un testo di grande ricchezza. E nel suo solco, io vorrei solo raccontare la stessa storia in un modo un po’ diverso, anche se sulla maggior parte dei punti che riguardano l’islam, mi sento vicinissimo alle sue posizioni.
(1. prima di sei puntate)
* In polemica col patriarca di Costantinopoli Nestorio (morto nel 451) e i nestoriani, che sostenevano l’unione nel Cristo di due distinte persone (l’una divina e l’altra umana), e che vennero condannati dal Concilio di Efeso, i monofisiti sostenevano che dopo l’incarnazione nel Cristo ci fosse una sola natura, quella divina. Negare che Gesù Cristo fosse vero Dio e vero uomo significava negare di fatto l’incarnazione, il centro della dottrina cattolica. I melchiti erano e sono i cristiani di rito bizantino e lingua araba dei patriarcati di Antiochia, Gerusalemme e Alessandra.
• Qual è lo statuto che la teologia cristiana può assegnare all’islam? I cristiani, secondo la buona teologia, dividono così il genere umano: la prima porzione si trova sotto l’Alleanza detta di Noé. Sotto questa alleanza, possono prendere conoscenza della legge naturale, vale a dire della morale comune, e formarsi un’idea del divino nel quadro delle religioni che verranno chiamate pagane. All’interno di quest’umanità comune, Dio ha ”scelto” un uomo, Abramo, e la ”casa” con la quale ha stretto un’alleanza, ripresa e sviluppata in quella che Mosé riceve in nome del popolo che Dio si ”crea” ai piedi del monte Sinai. Alla fine Dio, nel suo Verbo incarnato venuto come ”Messia” di Israele, stabilisce una ”Nuova Alleanza” suscettibile di estendersi all’intera umanità, a partire da Israele e dal suo Messia. In questa classificazione, dove va messo l’islam?
Ebrei e cristiani hanno difficoltà, provano fastidio a metterlo nel gruppo delle religioni naturali, per il fatto che l’islam professa di credere in un solo Dio, eterno, onnipotente, creatore, misericordioso. E in questo non si riconosce la prima delle dieci Parole indirizzate a Mosé, il primo comandamento? Sì, manca però un punto, vale a dire che il Dio dell’Esodo si presenta come il liberatore del suo popolo in una particolare situazione storica: ”Io sono l’Eterno Dio tuo che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di servitù”. Nel Dio creatore del Corano, invece, niente storia. Non si riconosce anche lì il primo articolo del Credo cristiano? ”Credo in un unico Dio onnipotente, creatore del Cielo e della Terra? ”Sì, manca però il punto in cui questo Dio viene qualificato come Padre, vale a dire manca il rapporto personale e reciproco con gli uomini.
Bisogna sapere che i musulmani propongono un’altra classificazione, che oppone i pagani a coloro che, ebrei, cristiani, musulmani, hanno ”ricevuto una rivelazione”. Il secondo gruppo dunque viene a essere legato da una similitudine formale (aver ricevuto una rivelazione) e non da una concatenazione storica.
Adesso posso enunciare la mia tesi teologica: l’islam è la religione naturale del Dio rivelato.
La religione naturale viene classicamente distinta dalla religione rivelata. La religione naturale, quella dei pagani, può eventualmente raggiungere il vero Dio (cioè rivelato) in modo più o meno evidente. Per esempio, la Chiesa, che ha condannato gli idoli, ha comunque riconosciuto il dio della filosofia come il vero Dio cercato a tentoni. D’altra parte, la Chiesa crede che questo stesso Dio abbia voluto manifestarsi e comunicare agli uomini la sua volontà di salvezza, facendo conoscere loro alcune verità che superano le possibilità dello spirito umano. Per gli ebrei, questa rivelazione è contenuta nella Bibbia, alla quale i cristiani hanno aggiunto un ”Nuovo Testamento”, riconoscendo però la piena autorità del documento biblico per come si è formato prima della venuta del loro Messia.
Anche i musulmani sostengono di aver ricevuto una rivelazione, che viene concepita come la trasmissione di un testo preesistente. In questa trasmissione, il profeta non esercita un ruolo attivo. Non fa che ricevere alcuni testi, usciti dalla Madre del Libro, che egli ripete come se fosse sotto dettatura. A differenza della Bibbia che i cristiani dichiarano ”ispirata”, il Corano è increato. E’ la Parola increata di Dio.
L’islam distingue tra il profeta (nabi) e l’inviato (rassoul), colui che fra i profeti ha ricevuto un messaggio legislativo. Così Adamo, Lot, Noè, Mosé, David, Gesù sono stati inviati, per portare un messaggio a certi popoli particolari. Solo Maometto, il ”sigillo dei profeti” ha ricevuto una missione universale. I grandi messaggeri di Dio, Mosé, David, Gesù hanno trasmesso nella stessa maniera letterale di Maometto i libri che sono stati loro dettati, la Tora, i Salmi, il Vangelo. Anche Adamo, Seth, Abramo hanno prodotto dei libri. Ma, ed è un punto capitale, questi libri reali o immaginari non sono considerati veridici, perché il loro testo è stato falsificato. Ebrei e cristiani hanno manipolato le loro scritture e deformato il senso. Inoltre, poiché il Corano contiene tutta la verità, anche se fossero autentici, non potrebbero apportare nulla di nuovo. E questo fa sì che i musulmani non riconoscano valore ai documenti di rivelazione anteriori al loro. La vera Tora, l’autentico Vangelo vanno cercati soltanto nel Corano. I veri discepoli di Gesù sono i musulmani.
La palla dunque passa nel campo degli ebrei e dei cristiani: possono, essi, riconoscere la Bibbia nel Corano? La risposta è no. (2. continua)
• Quali sono i rapporti di filiazione tra la Bibbia e il Corano? Nessuno, assicurano i musulmani. Maometto era ignorante. Dio dichiara al profeta: ”Tu non conoscevi quello che sono le Scritture e la fede anteriormente”. Se ci sono coincidenze, è naturale, visto che lo stesso messaggio è stato rivolto a tutti i ”messaggeri” e se ci sono divergenze, è perché gli ebrei e i cristiani lo hanno troncato e falsato.
Questo, i cristiani non possono crederlo. Maometto aveva una certa conoscenza della Bibbia. Medina era piena di ebrei e di cristiani di varie sette. Giovanni Damasceno credeva nell’influenza di un monaco ariano*. Altri, in quella di un monaco nestoriano. A chi ha familiarità con la Bibbia, le figure bibliche citate nel Corano appaiono identificabili e al tempo stesso deformate. Abramo non è Ibrahim, così come Mosè non è Moussa. Prendiamo Gesù. Issa appare fuori dallo spazio e dal tempo, senza riferimento al paese di Israele. Sua madre, Maria, che è la sorella di Aron, lo mette al mondo sotto la palma. Poi Issa compie vari miracoli che sembrano tratti dai vangeli apocrifi. Annuncia la futura venuta di Maometto. Sarà testimone il giorno della resurrezione.
I cristiani a volte sono impressionati dal posto che Gesù ha nel Corano. Ma non è lo stesso posto al quale essi hanno dato la loro fede. Il Gesù del Corano ripete ciò che i profeti venuti prima di lui, Adamo, Abramo, Lot eccetera avevano annunciato: tutti i profeti in effetti hanno la stessa saggezza e proclamano lo stesso messaggio, che è l’islam; sono tutti musulmani. Gesù viene inviato per predicare l’unicità di Dio. Sostiene di non essere un ”federatore”. ”Non dite Tre”. Non è il figlio di Dio, ma una semplice creatura. Non è un mediatore, perché l’islam ignora la mediazione. Siccome per l’islam è inconcepibile che un messaggero di Dio sia vinto, Gesù non è morto sulla croce. Gli è stato sostituito un sosia. Questa cristologia, dal punto di vista cristiano, presenta un misto di elementi tratti dal nestorianesimo** e dal docetismo***.
L’islam è estraneo all’idea di una rivelazione progressiva. Il messaggio divino viene infuso sin dal primo uomo, sin da Adamo, il primo profeta. Solo che gli uomini dimenticano il messaggio e la ripetizione dell’identico diventa necessaria. Maometto è l’ultimo messaggero divino e il riformatore definitivo. L’unica prospettiva da cui la storia può essere contemplata, è la legge del trionfo dei messaggeri divini e l’annullamento di quanti vi si sono opposti. L’islam, vale a dire la ”sottomissione”, è il regolatore che riporta il tempo al suo istante eterno, così come Dio riporta periodicamente gli uomini al suo decreto eterno.
Per un ebreo e per un cristiano quindi non vi è continuità tra la Bibbia e il Corano. L’uno e l’altro constatano che la storia raccontata nella Bibbia rispunta nel Corano come se fosse frammentaria, deformata, stretta in una matrice dogmatica coerente, al punto che gli stessi fatti appaiono sotto tutt’altra luce e con un altro senso.
Questa esteriorità si manifesta nel punto stesso in cui si produce apparentemente la coincidenza tra l’islam e la religione biblica, quello del Dio Uno, creatore onnipotente e misericordioso. In effetti, sebbene il musulmano ami snocciolare i 99 nomi di Dio, questi nomi non vengono rivelati nel quadro di un’Alleanza, come succede sul Cespuglio ardente o nel Vangelo nel dono del nome del Padre. Questo Dio Uno, che richiede la sottomissione, è un Dio separato. Chiamarlo Padre è un antropomorfismo sacrilego. Dio ha condisceso a fare scendere fra gli uomini una legge sacra. Domanda obbedienza. Non s’impegna in una relazione amorosa. Il Dio musulmano è assolutamente impassibile, e attribuirgli dell’amore sarebbe sospetto. Al posto dell’amore c’è una condiscendenza gratuita, una semplice benevolenza.
E’ per questo che ebrei e cristiani sono obbligati a rifiutare al Corano lo statuto di rivelazione. All’islam contestano addirittura lo statuto di religione abramitica. L’Abramo che l’islam rivendica è un messaggero e un musulmano. Non è il padre comune di Israele e poi dei cristiani che dividono la sua fede. ”Abramo non è né ebreo né cristiano”. Ha partecipato al culto musulmano costruendo la Kaba e istituendo il pellegrinaggio alla Mecca. Non che Maometto abbia avuto la fede di Abramo, al contrario è Abramo ad aver avuto la fede di Maometto. Poiché la verità, secondo il Corano, viene data tutta intera sin dal primo giorno e sin dal primo uomo, è inconcepibile che Abramo abbia avuto il ruolo fondatore che ebrei e cristiani gli attribuiscono. I musulmani, quando si richiamano a Ibrahim, non hanno né la fede di Abramo che la storia delle religioni cerca di restituire, né la fede di Abramo nel senso professato dal giudaismo e dal cristianesimo.
(3. continua)
* Ariano: seguace dell’eresia di Ario, che nega la divinità di Cristo. L’arianesimo, condannato dal Concilio di Nicea nel 325, continuò a diffonderersi nell’impero romano d’oriente, finché il Concilio di Costantinopoli nel 381 non impose l’ortodossia.
** Nestorio: patriarca di Costantinopoli la cui dottrina, condannata dal Concilio di Efeso nel 431, nega l’unione ontologica delle due nature, umana e divina, nella persona di Cristo, parlando di congiunzione psicologico-morale.
*** Docentismo: dal greco dokein, apparire. Altra eresia cristologica del I-II secolo secondo la quale l’umanità e le sofferenze di Gesù Cristo sono apparenti più che reali.
• Prendiamo ora il problema dal lato opposto: mettiamo che l’islam sia una religione naturale.
Un tratto comune delle religioni naturali è l’evidenza di Dio o del divino diffuso dovunque. L’islam che si rappresenta come la religione della fede, non ha bisogno della fede per credere, o piuttosto per constatare l’evidenza di Dio. Oggetto della fede non è Dio, è l’unicità di Dio. Come per i greci e i romani, basta contemplare il cosmo, la creazione, per essere certi, prima di qualsiasi ragionamento, che Dio, o il divino, è, sicché non credere in Dio o nel divino è un segno di sragione che allontana il non credente dalla natura umana. Diversa è l’opinione della teologia cristiana, secondo la quale la ragione non può accettare l’esistenza di Dio se non attraverso inchiesta e ragionamento. Poi la fede teologale che è sovrannaturale viene a suggellare questa certezza.
Agli uomini Dio ha dato una legge attraverso un patto unilaterale. Questa legge nulla ha in comune con la legge del Sinai che fa di Israele l’alleato di Dio, né con la legge dello Spirito di cui parla san Paolo. La legge dell’islam è una legge esterna all’uomo, che esclude ogni idea di imitazione di Dio simile a quella proposta dalla Bibbia. Chiede solo di restare entro i limiti del patto i cui termini sono stati fissati da Dio nella sua parola increata e nella ”sunna”, l’autentica tradizione. Qualsiasi desiderio di oltrepassare tali limiti è sospetto. Per beneficiare delle ricompense promesse e sfuggire ai castighi previsti basta solo fare il bene e rifuggire il male.
In questa prospettiva è normale trovare alcune norme dell’etica pagana. L’ascetismo è estraneo allo spirito dell’islam. La civiltà islamica è una civiltà della buona vita. Offre piaceri leciti e svariati nell’ordine dei sensi. C’è un carpe diem musulmano, una felicità musulmana che spesso ha affascinato i cristiani, che avevano anche provato nostalgia per il mondo antico. La predestinazione, per come viene intesa dall’islam, non s’allontana molto dal senso del fatum che avevano gli antichi. Sono benedizioni, che il musulmano riconduce in modo naturale alla perfezione della sua Legge. Una legge moderata, più adatta alla natura umana della legge cristiana, più dolce della legge ebraica. E questa moderazione, che viene chiamata ”la” ”facilitazione della religione” va a suo credito, e rende ancora più inescusabile il fatto di non credere. Niente peccato originale, niente inferno per il credente.
Talvolta si scherza sul paradiso musulmano. E’ sbagliato. Certo, non è una visione di Dio e una partecipazione alla vita divina come lo sono il paradiso ebraico e cristiano. Dio nell’al di là resta separato e inaccessibile. Ma l’uomo col perdono e la pace vi trova la ”soddisfazione”. La Bibbia fa percorrere all’uomo un itinerario che comincia in un giardino, l’Eden, e finisce in una città, la Gerusalemme celeste. Nel Corano, l’uomo ritorna al giardino. Le mitologie antiche ci offrono le stesse immagini di banchetti ideali dove coppie, efebi, giovani vergini, circolano in uno stesso clima di soddisfazione e appagamento di tutti i desideri.
In sintonia con la religione naturale e col sostrato ellenistico su quale l’islam si è diffuso, la vita religiosa comporta varie modalità su piani diversi. Alle anime religiose si aprono due vie che esistevano anche nel mondo greco romano, la filosofia (la falsafa così impregnata di neoplatonismo) e la mistica. Alle anime meno esigenti è permesso, attraverso il rispetto della legge e una pratica leggera dei ”cinque pilastri” dell’islam, condurre una vita religiosa perfettamente superficiale eppure perfettamente lecita e sufficiente. Un bel vantaggio rispetto alle due religioni bibliche che esigono in principio maggiore scrupolo e più interiorità. La stabilità di questa religione superficiale e legale non è priva di somiglianze con la religione antica, fatta di riti che accompagnavano il senso naturale e spontaneo del divino.
• Due fatti hanno sempre colpito i cristiani, la difficoltà di convertire i musulmani e la solidità della loro fede, anche nelle persone più superficialmente religiose. Farsi cristiano è assurdo per un musulmano, innanzitutto perché il cristianesimo è una religione del passato, di cui l’islam ha ripreso e superato l’aspetto migliore. Poi perché in fondo il cristianesimo al musulmano appare antinaturale. Le sue esigenze morali gli sembrano superare le capacità umane. Il dogma cristiano della Trinità lo preoccupa: sembra esporlo allo shirk, il peccato irremissibile di dare a Dio dei ”soci”. Sospetta il cristianesimo di essere una religione di misteri, cosa che invece un musulmano condanna, e in quanto tale di essere irrazionale. L’islam al contrario si presenta come una dottrina razionale, come la sola religione razionale. Il che contiene in sé una nota minacciosa, perché se è la ragione a caratterizzare la natura umana, l’irrazionalismo cristiano è un abbandono dello statuto umano. Nel qual caso, lo statuto di dhimmi è una debole protezione. Gli Stati musulmani perciò non possono consentire, sul piano rigoroso del diritto, alla reciprocità di tolleranza che chiedono loro gli Stati cristiani. E a loro volta i cristiani invocando quella reciprocità non fanno che rivelare la loro ignoranza dell’islam.
Quanto alla solidità della fede musulmana, essa significa semplicemente lo stupore che i musulmani provano davanti a un fenomeno legato a doppio filo alla storia del cristianesimo come è l’ateismo moderno. Noi, moderni cristiani, abbiamo tendenza a guardare all’ateismo come a un’alternativa alla fede. Non lo stesso succedeva nel mondo antico che invece accusava i cristiani di ateismo perché rifiutavano di constantare l’esistenza degli dei. Della stessa natura è l’indignazione dei musulmani.
Eppure, nei loro incontri coi musulmani i cristiani non hanno ritrovato la stessa natura che incontravano nel paganesimo grecoromano, germanico, slavo, indio-americano. La natura e la rivelazione sembrano essersi mutilate a vicenda. Non parlerò dell’aspetto esteriore, del profilo della città musulmana, della struttura familiare, dello statuto della donna, del sistema dei costumi. Ma di qualcosa di più interiore che riguarda l’essenza della religione musulmana. Voglio sottolineare tre aspetti.
Il primo è una negazione della natura nella sua consistenza e stabilità. Non esistono leggi naturali. Atomi, corpi e accidenti durano solo un attimo e vengono creati a ogni attimo da Dio. Non esiste rapporto di causalità tra due fenomeni, non vi sono che le ”abitudini” di Dio. Il giorno coincide d’abitudine con la presenza del sole, ma Dio può cambiare l’abitudine e far brillare il sole nel mezzo della notte. Il miracolo non è una sospensione della legge naturale, ma un cambiamento di abitudini di Dio. Abolito il principio di causalità, può succedere tutto ciò che è concepibile. Tolta la causa, al suo posto c’è solo una sequenza, una consecuzione. La creazione di Adamo non fa di quest’ultimo la causa di una discendenza: ogni uomo viene creato ”di nuovo” come Adamo. ”Egli vi ha creato in seno alle vostre madri, creazione dopo creazione”. Ogni momento della crescita è oggetto di un nuovo atto creatore. Un Dio con una natura e un disegno nascosti, un tempo atomizzato in una serie di attimi senza legami l’uno con l’altro, una natura sospesa alle ”abitudini” dell’Onnipotente: il cosmo musulmano, agli occhi dell’occidentale, sembra minato nella sua stessa stabilità. Tra il sogno e la realtà non si vedono confini.
Il secondo aspetto, l’abbiamo visto, è la negazione della storia. La Bibbia è una storia. La rivelazione procede a tappe. Dio interviene nella storia attraverso parole e atti di cui la tradizione e un libro ispirato, soggetto a interpretazione perpetua, conservano il ricordo. Il Corano è increato, e non esiste magistero interpretativo. Non contiene una storia, ma varie storie. L’intervento di Dio consiste nel proteggere i profeti, che sono impeccabili e infallibili nell’annientare i loro nemici. Poiché lo stesso messaggio viene invariabilmente trasmesso da tutti i messaggeri del Signore, il sentimento della storia sarà quello di un’infinita ripetizione della stessa lezione. Tra presente passato e futuro non c’è alcuna differenza.
Un terzo aspetto riguarda la virtù religiosa. E’ una virtù morale che si trova nelle religioni naturali, come nelle religioni rivelate e che, secondo Cicerone, ”offre le sue attenzioni e le sue cerimonie a una natura superiore che viene chiamata divina”. In tutte le religioni governa la pietà, la preghiera, l’adorazione, i sacrifici e altri atti simili. Se al Corano si rifiuta l’autenticità di una rivelazione, sembra difficile non ricondurre la fede musulmana a una forma particolare di virtù religiosa. La confusione è favorita dal fatto che sotto l’islam questa virtù può venire spinta al di là di quel che è ammesso nella religione biblica. In quest’ultima, in effetti, l’uomo è responsabile delle sue vicende nell’ambito di una natura fisica, sociale, politica che ha la sua consistenza e le sue leggi regolari. I doveri religiosi dunque vengono limitati a una zona ragionevole oltre la quale si può peccare per difetto o per eccesso. Ma nell’islam dove la volontà di Dio si estende alle cause seconde come alle cause prime, l’idea di un ordine naturale non ha la stessa solidità. La virtù della religione può assumere una tale intensità ed estensione che nel regime ebraico o cristiano verrebbero considerate come al di là del giusto mezzo.
Per concludere: adesso si capisce meglio il problema ricordato all’inizio che è quello del malinteso cui va incontro il cristiano quando s’avvicina all’islam. Quel cristiano sarà colpito dallo slancio religioso del musulmano verso un Dio che anche lui bene o male riconosce come proprio. Ma lo stesso cristiano non si riconosce né in quel Dio separato né nel rapporto che il musulmano ha con lui. Un cristiano è abituato a distinguere l’adorazione dei falsi dei, che chiama idolatria, dall’adorazione del vero Dio, che egli chiama la vera religione. Per trattare dell’islam come si conviene, bisognerebbe inventare un concetto difficile da pensare, come l’idolatria del Dio d’Israele. (5. continua)
• Torniamo alla situazione storica contemporanea. L’islam, che è in crescita, oggi non sembra più attratto dal cristianesimo che in passato. Mentre i cristiani, dal canto loro subiscono l’attrazione dell’islam e possono persino esserne tentati.
E’ un’attrazione che si avverte in maniera assai sensibile in un uomo di cultura come Louis Massignon, che ha contribuito non poco a influenzare la visione cristiana dell’islam nel XX secolo. In alcuni ambienti teologici è stato lui infatti a radicare due opinioni che ancora oggi continuano a vivere, e cioè, in primo luogo, che il Corano sia una specie di rivelazione sui generis, accorciata certo, primitiva, ma in ogni caso di natura sostanzialmente biblica. In secodo luogo, Poi che l’islam sia autenticamente, come esso stesso rivendica di essere, di filiazione abramitica.
Quando guardiamo alla letteratura favorevole all’islam, opera il più delle volte di preti cristiani di derivazione massignoniana, scopriamo che l’attrazione per l’islam nasce da sentimenti diversi. Una certa critica della nostra modernità liberale, capitalistica, individualistica, competitiva, trova nella civiltà musulmana tradizionale alla quale essa attribuisce aspetti contrari, bei tratti come la stabilità delle tradizioni, lo spirito comunitario, il calore dei rapporti umani. Preoccupati dal raffreddarsi della fede e della pratica religiosi nei paesi cristiani, specialmente in Europa, questi ecclesiastici ammirano la devozione musulana. Si meravigliano di quegli uomini che, nel deserto o in un capannone industriale di Francia o Germania, si prosternano cinque volte al giorno per la preghiera rituale. Pensano che sia meglio credere in qualcosa che non credere del tutto, e s’immaginano che dal momento che quelli credono, credono pressoché la stessa cosa che credono loro. Così facendo confondono però fede e religione. E alla fine, sono lieti di constatare il posto di riguardo che Gesù e Maria assumono nel Corano, senza badare al fatto che quel Gesù e quella Maria del Corano sono solo degli omonimi che a parte il nome nulla hanno in comune col Gesù e con la Maria che conoscono loro.
E’ un fatto grave, questo, che perturba il rapporto tra cristiani ed ebrei. Da questo punto di vista, i musulmani sembrano ”migliori” degli ebrei, perché onorano Gesù e Maria, cosa che gli ebrei non fanno. In questo modo giudaismo e islam vengono posti in simmetria, a vantaggio dell’islam. Gli ebrei a loro volta mettono in simmetria cristianesimo e islam, con un altro vantaggio per l’islam, religione dal monoteismo meno problematico. Ma i cristiani non possono prendere sul serio questa simmetria, e la Chiesa cattolica d’altra parte l’ha espressamente condannata. Accettarla vorrebbe dire rinunciare alla sua filiazione dalla profezia di Israele a partire da Abramo, rinunciare alla filiazione davidica del Messia, trasformare il cristianesimo in un messaggio atemporale, separato dalla sua fonte, dalla sua storia. A quel punto il Vangelo diventerebbe un altro Corano, e verrebbe a fondarsi sull’universalismo di quest’ultimo. E’ per questo che sarebbe bene fare attenzione a depurare il discorso cristiano contemporaneo da espressioni tanto pericolose come ”le tre religioni abramitiche”, ”le tre religioni rivelate”, e persino ”le tre religioni monoteistiche” (visto che ce ne sono anche altre). L’espressione più falsa di tutte è ”le tre religioni del Libro: infatti significa non che l’islam fa riferimento alla Bibbia, ma che l’islam per i cristiani, gli ebrei, i sabei, e gli zoroastriani ha previsto una categoria giuridica tale – ”la gente del Libro” – che essi possono sollecitare lo statuto di d’himmi, e cioè conservare attraverso discriminazione la propria vita e i propri beni invece di andare incontro alla schiavitù e alla morte alla quale sono promessi i kafir, o pagani.
Che tali espressioni vengano usate con tanta facilità è segno che il mondo cristiano non è più capace di stabilire con chiarezza la differenza tra la propria religione e l’islam. Siamo forse tornati ai tempi di san Giovanni Damasceno quando ci si domandava se l’islam non fosse una forma come un’altra di cristianesimo? Non è escluso. Lo storico conosce la situazione. Quando una Chiesa non sa più cosa crede, né perché lo crede, scivola verso l’islam, senza rendersene conto. E’ quello che è accaduto in massa e in poco tempo ai monofisiti di Egitto, ai nestoriani di Siria, ai donatisti dell’Africa del nord, agli ariani di Spagna.
I cristiani fanno un grave errore a considerare l’islam una religione semplicistica, elementare, una ”religione da cammelliere”. Al contrario, l’islam è una religione estremamente forte, una particolare cristallizzazione del rapporto tra uomo e Dio perfettamente opposta al rapporto ebraico e cristiano, ma altrettanto coerente. I cristiani fanno pure un grande errore a pensare che l’adorazione del Dio unico di Israele da parte dell’islam renda i musulmani più vicini a loro di quanto non fossero i pagani. In effetti, come dimostra la storia dei loro rapporti, ne sono ancora più radicalmente lontani, per il modo stesso di adorare questo stesso Dio. Sono due religioni separate dallo stesso Dio. Di conseguenza, se i cristiani vogliono capire i musulmani e come si dice oggi ”dialogare” con loro, devono fondarsi su quel che resta in seno all’islam della religione naturale, della virtù naturale. E per prima cosa devono fondarsi sulla comune natura umana che condividono con loro. Con la differenza che il Corano, diversamente da Omero, Platone o Virgilio, non può essere considerato come una praeparatio evangelica.
Jacques Ellul non affronta il problema esattamente negli stessi termini in cui io l’ho appena posto. Sappiamo, e lui qui lo ripete, che nel solco di Karl Barth rifiuta al cristianesimo, lo statuto di una ”religione”. Desidero segnalare questo punto di teologia, anche se non è necessario approfondirlo qui: non cambia nulla nel nostro modo di guardare all’islam. Come sarei contento se oggi Jacques Ellul potesse riprendere la discussione. Ma questo è il suo ultimo scritto. Aveva sentito che prima di lasciare questo mondo, nel 1994, era urgente dargli un solenne avvertimento. Va dunque letto come un testamento. Oggi, dieci anni dopo, ne comprendiamo meglio la gravità.
(6. fine)