Libero, 11 novembre 2016
Neppure i pm sanno chi ha ucciso Borsellino
Ormai è roba da amatori, ma un aggiornamento sull’universo parallelo «Sicilia-Trattativa-Di Matteo» ogni tanto bisogna darlo. Non tanto sul processo (che è il nulla) ma su come l’impalpabile magistrato Nino Di Matteo, in termini di carriera, non stia riuscendo a capitalizzare la costruzione mediatica del suo personaggio. Le notizie nell’ultimo mese corrispondono a tre No: no di Di Matteo a un trasferimento alla Direzione nazionale antimafia a Roma, nonostante sia quello che dice di volere da tempo; no ancora di Di Matteo nel referendum renziano sulla riforma costituzionale (il magistrato, alla fine di ottobre, aveva ritirato fuori la P2 e la “dittatura dolce”) e soprattutto no di Stefano Luciani (pm del processo Borsellino quater) a un architrave del processo “trattativa”: ha detto che manca qualsiasi prova «che Cosa nostra avesse appreso che Paolo Borsellino era un ostacolo alla trattativa». Capito poco?
Allora riassumiamo. L’altro giorno un quotidiano fiancheggiatore titolava: «Di Matteo dice no al trasferimento: nessuna resa». E ormai è una comica: Di Matteo, in sintesi, sta cercando di lasciare Palermo, ma vuole farlo solo in modo a lui gradito; il Csm gli aveva già offerto trasferimenti eccezionali legati a ragioni di sicurezza (anche se le famose minacce mafiose, a nostro parere, sono bufale) ma lui, non gradendo i trasferimenti, ha sempre fatto sapere che non voleva sembrare «quello che scappa». Non riuscendo tuttavia ad andare dove voleva andare (cioè alla Direzione nazionale antimafia di Roma, tramite concorso) ha sempre fatto sapere che «veniva ostacolato» non si sa da chi, anche se in realtà era più banalmente arrivato undicesimo in un concorso che prevedeva tre posti. Ora: siccome se aspettiamo che Di Matteo vinca il concorso, come dire, campa cavallo, il Csm gli ha offerto direttamente il posto alla Dia. Tutti felici? No: Di Matteo ha rifatto sapere che «andare via sarebbe una resa», e che vuole andare via tramite concorso: allora non sarebbe più una resa. Capito poco? Avete ragione, ma passiamo oltre. L’altra “notizia” in realtà è vecchia, ma ce la ficchiamo dentro: Di Matteo è intervenuto pubblicamente e ha detto che riforma renziana piace perlopiù ai potentati economici, per i quali ogni istituzione democratica è un ostacolo: ha tirato in ballo la P2 e insomma, discorsi un po’ d’accatto, anche se un quotidiano come il Foglio, per dire, ha pubblicato tutto il suo intervento. Alla fine dell’incontro, Di Matteo ha detto: «Sto parlando accanto a Salvatore Borsellino, fratello di uno dei tanti eroi della nostra storia costituzionale». E questo ci porta al terzo tema: il pm di Caltanissetta Stefano Luciani, nella requisitoria del Borsellino quater, l’altro giorno ha dichiarato che non c’è nessuna prova che Cosa nostra sapesse che Borsellino fosse un ostacolo alla “trattativa”. Per chi non lo sapesse cioè le persone normali è esattamente il contrario di quanto la stessa procura ha sostenuto negli ultimi 4 anni. A questo, il pm ha aggiunto che il ministro dell’Interno Nicola Mancino non sapeva alcunché di alcuna trattativa. E ancora a questo, ieri, il pm ha aggiunto l’unica notizia interessante, perché è una conferma: «Abbiamo elementi per dire che a premere il pulsante che fece esplodere l’autobomba contro Borsellino fu Giuseppe Graviano, e che questo fosse appostato nel giardino dietro un muretto che si trova nella stessa via d’Amelio». Gli elementi sarebbero cinque pentiti, di base. Per il resto «non abbiamo elementi per dire che la bomba sia stata innescata da qualcuno che si trovava al castello Utveggio, e nemmeno che il congegno fosse stato installato nel citofono dell’abitazione; non abbiamo raccolto elementi per sostenere che negli uffici del Cerisdi ci fossero personaggi appartenenti al Sisde». In generale, non hanno elementi. Dalla Sicilia è tutto.