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 2005  gennaio 02 Domenica calendario

Una storia tutta italiana, fatta di combine e spartizione (equa) di milioni

• Una storia tutta italiana, fatta di combine e spartizione (equa) di milioni. Ce la consegna la prima lotteria nazionale organizzata nel nostro Paese, nel 1933: lontana dagli schermi televisivi, a cui sarebbe arrivata solo nel 1958 con Canzonissima, fu abbinata al Gran Premio automobilistico di Tripoli, subito ribattezzato dai giornali dell’epoca ”la corsa dei milioni”. L’idea di collegare l’estrazione dei biglietti a una gara di macchine venne a un giornalista della Gazzetta dello Sport, Giovanni Canestrini (una delle menti della Mille miglia), deciso a rilanciare una competizione ormai sul viale del tramonto: iniziato nel 1926 per volontà del ministro delle Colonie Emilio De Bono e con il convinto assenso di Mussolini, il Gran Premio di Tripoli era stato infatti interrotto nel 1930, quando le casse dell’Automobil club locale erano ormai con pochi fondi; nello stesso anno, inoltre, la sorte volle che durante le prove perse la vita il pilota Gastone Brilli Perri. L’abbinamento alla lotteria, invece, solleticò non poco la stampa e i pubblicitari, entrambi attratti dai nomi degli assi (tra questi, Tazio Nuvolari e Achille Varzi), dal fascino di una competizione realizzata in un ambiente esotico fatto di palme, dune di sabbia e minareti e dal senso inebriante di essere i dominatori in terra coloniale. Una miscela di elementi che inondò di denaro il Gran Premio di Tripoli (al locale Automobil club, presieduto dal milanese Egidio Sforzini, fu destinato il 15 per cento del ricavato della vendita dei biglietti, che fruttò complessivamente 15 milioni di lire) e lo elevò ai vertici delle competizioni sportive internazionali, senza trascurare il rilancio turistico della colonia italiana, fino a quel momento trascurata. Grazie ai nuovi fondi, il circuito del Mellaha fu ristrutturato in gran fretta con nuove strade asfaltate, larghe e prive di polvere: in poco tempo si ottenne un tracciato misto-veloce, circondato da saline, palme e dune, dove i grandi assi dell’automobilismo si sfidarono a velocità medie ben superiori ai 150 chilometri orari. A fiutare l’affare furono anche le aziende, in particolare quelle del settore: ad esempio, su Auto italiana del 10 aprile del ’33 un’inserzione dell’Agenzia italiana del Mixtrol prometteva di «regalare milioni. Ordinando direttamente entro il 15 aprile una latta dell’insuperabile Mixtrol... verrà offerto in dono un biglietto della lotteria di Tripoli. Calpesterete due volte la fortuna respingendo questa vantaggiosa offerta». E gli italiani non la calpestarono nemmeno una volta, visto che furono staccati un milione e mezzo di biglietti.
• L’accordo per spartirsi il premio. I soldi, però, oltre a procurare la felicità di organizzatori e pubblicitari, provocarono non pochi problemi. A creare difficoltà fu una norma del regolamento della lotteria che prevedeva l’estrazione dei biglietti vincenti e l’abbinamento ai 33 corridori ben otto giorni prima della corsa: «Non appena avvenuta l’estrazione, l’Automobil club di Tripoli provvederà a comunicare a ciascuno dei possessori dei biglietti estratti il nome del corridore di cui ciascuno di essi seguirà la sorte nella corsa». In virtù di questa norma, da sabato 28 aprile l’Italia ebbe 33 potenziali neo milionari, la cui sorte era direttamente collegata ai piloti a cui erano stati abbinati. Prima della partenza, fissata per il 7 maggio, i possessori dei tagliandi estratti s’affrettarono così a contattare il ”proprio” corridore affidandogli speranze e possibili fortune. Ma ci fu chi si spinse ben oltre, accordandosi con i piloti: i giornali dell’epoca riferiscono di una lunga riunione di oltre sette ore tra tre fortunati italiani, Umberto Donati, Arduino Sampoli e Alessandro Rosina e i tre piloti loro abbinati, che erano ovviamente i più accreditati alla vittoria, ovvero Tazio Nuvolari, Achille Varzi e Umberto Borzacchini. I sei s’incontrarono il 2 maggio nell’albergo romano di via Cavour, il Massimo d’Azeglio, alla presenza dei rispettivi avvocati, del giornalista della Gazzetta Canestrini (che secondo alcuni fece da tramite) e di un notaio, Paolo Castellini, con lo scopo di «trovare una forma conveniente ed ineccepibile di reciproca garanzia», come scrisse in modo elegante lo stesso Canestrini: in altri termini le parti s’accordarono per spartire in sei parti uguali l’ammontare complessivo dei primi tre premi, poco meno di sei milioni di lire (5.897.124), evitando che l’accesa e proverbiale rivalità tra Varzi e Nuvolari (simile a quella tra Coppi e Bartali) si traducesse in una reciproca eliminazione e azzerasse i sogni di ricchezza degli estratti. Trovare un compromesso non fu facile, né immediato, ma, come riportano alcuni giornali dell’epoca, furono necessarie ore di acceso dibattito, poi concluso con un atto notarile steso alla presenza del direttore della Banca del Lavoro (da cui poi furono custoditi i biglietti fortunati). Canestrini raccontò addirittura di una sorta di ”postilla” all’accordo, in base alla quale si stabilì con il lancio della monetina che al traguardo dovesse arrivare primo Varzi, seguito da Nuvolari e Borzacchini.
• Nuvolari e Varzi al traguardo. Di fronte a uno scandalo del genere, i giornali del 3 maggio versarono fiumi d’inchiostro, divisero l’opinione pubblica e fecero protestare gli altri piloti, amareggiati non tanto per l’illecito sportivo, ma piuttosto per essere stati esclusi dalla combine. Tra questi si distinsero soprattutto Campari, Birkin e Fagioli, che non nascosero la loro personale speranza di vincere il Gran Premio per mandare all’aria un accordo così ben congegnato. L’eco dei media, inoltre, scatenò una vera e propria caccia ai tre possessori dei biglietti ”vincenti”, ai quali furono offerti controvalori piuttosto alti per la cessione dei tagliandi (ma pare che nessuno si lasciò tentare). Nonostante le polemiche, la corsa partì regolarmente alle 15 di domenica 7 maggio, alla presenza del Generale Pietro Badoglio, dal 1929 Governatore della Tripolitania: ancora prima della partenza, però, quattro dei possibili neo-milionari avevano già perso le speranze di futura ricchezza, dal momento che dei 33 piloti iscritti alla competizione se ne presentarono 29 (i ritiri erano legati a noie tecniche dell’ultimo momento). La Gazzetta dello Sport dell’8 maggio 1933 racconta di «una folla enorme, composta da un pubblico di tutti i ceti. Composti nelle tribune, meno fine negli altri recinti, fatto per buona parte di indigeni sui bordi della strada». Massima allerta, inoltre, attorno al circuito, lungo tredici chilometri e cento metri da percorrere trenta volte (per un totale di 393 chilometri), dove ogni duecento metri fu messo di guardia uno zaptié, un militare indigeno arruolato nell’Arma dei Carabinieri in terra d’Africa. Già alle prime curve, però, uno dei tre piloti che aveva siglato il contestatissimo accordo, Borzacchini, che correva su un’Alfa Romeo 8 cilindri - 2600 (lo stesso modello di Nuvolari), fu costretto a ritirarsi per problemi al cambio. La cronaca della gara, per il resto, dimostra come i corridori esclusi dalla combine tentarono in tutti i modi di impedirne il buon esito: sir Henry Birkin, infatti, passò subito in testa con la sua Maserati, per essere superato al terzo giro da Campari (uscito in seguito per problemi al serbatoio dell’olio), che rimase in prima posizione fino al tredicesimo giro, quando fu passato da Nuvolari e Varzi (su una Bugatti 2300). Questi ultimi due, spinti «dall’entusiasmo di una folla trepidante», quasi si dimenticarono dell’atto notarile siglato a Roma e animarono fino all’ultimo istante la gara, vinta di mezza lunghezza da Varzi, con il tempo di 2 ore 19’ e 31” (qualche decimo in meno del suo acerrimo nemico Nuvolari). I due assi quindi rispettarono gli accordi, ma non è dato sapere se il ritiro di Borzacchini abbia fatto saltare l’intera trattativa o solo una parte: al suo posto, infatti, arrivò terzo l’inglese Birkin, giunto sul traguardo con due minuti di ritardo; al quarto e quinto posto si piazzarono, rispettivamente, Giorgio Battilana e Piero Taruffi, entrambi su Alfa Romeo. A chiudere la competizione l’immancabile cerimonia di premiazione, presieduta e officiata dal generale Badoglio.
• Il primo vincitore. A prescindere dalle discussioni sollevate dal presunto accordo, l’Italia nel 1933 conobbe i primi neo-milionari della lotteria, personaggi sconosciuti diventati improvvisamente ricchi e famosi grazie alla fortunata estrazione, che aveva moltiplicato a dismisura il loro piccolo investimento di 12 lire con cui avevano acquistato il biglietto. Una nuova categoria tutta da scoprire, alla quale i quotidiani dettero notevole rilievo. In base al Regio decreto 1147 firmato il 13 agosto del 1932 da Vittorio Emanule III, i premi furono divisi tra Arduino Sampoli che vinse 3.370.357 lire, Umberto Donati (1.684.178) e Natale Bianchi (842.589): molto probabilmente, però, i primi due estratti ricevettero la cifra pattuita nell’accordo, che era di circa 900mila lire; il 12 per cento del montepremi, infine, fu diviso in parti uguali tra gli altri 30 sorteggiati. Restò sconosciuta la vicenda di Alessandro Rosina, tra i tre estratti che aveva partecipato alla combine, la cui ipotetica ricchezza si legò al pilota Borzacchini, finito fuori gara al secondo giro. La stampa dell’epoca capì l’importanza dell’evento e dedicò ampio spazio ai fortunati vincitori. Tra tutti spicca il nome di Arduino Sampoli, vincitore del primo premio, un commerciante di legnami di Castelnuovo Berardenga (Siena), che, ironia della sorte, era «un fervente fascista della prima ora e segretario politico per sei anni del Fascio di Castelnuovo Berardenga, da lui stesso fondato», come scrisse il Corriere della Sera del 9 maggio del ’33. I giornali indagarono anche sulle conseguenze che una vincita del genere poteva avere nella vita di un uomo qualunque: sempre sul Corriere si scrisse che «il Sampoli è tornato quello che era prima, con una visione maggiormente ottimista della vita. Appena ricevuto l’annuncio della vittoria, si recò a Montevarchi e inviò un telegramma al Duce per dimostrargli che nessuna contentezza gli ”poteva far dimenticare la gioia più grande: quella di sentirsi gregario del grande esercito delle Camicie nere”». La Tribuna illustrata del 21 maggio invece lo immortalò assieme a parenti e amici intento a apprendere la felice notizia: «Nella loro casa di Castelnuovo Berardenga, Arduino Sampoli e i suoi famigliari hanno ascoltato dalla radio l’emozionante notizia di aver vinto il primo premio della lotteria di Tripoli. Un’allegra bevuta ha consacrato la lieta novella». Stando sempre alle cronache dell’epoca, il primo vincitore della storia italiana, non si lasciò inebriare dalla inaspettata ricchezza ma, in linea con i costumi morigerati del periodo, tornò al suo commercio abituale levandosi solo lo sfizio di «condurre la madre e la sorella a Roma».
• La fine delle polemiche. A parte i milioni e il rilancio di Tripoli nell’immaginario collettivo italiano e internazionale, la prima edizione della lotteria italiana lasciò un nostrano strascico di polemiche bene amplificato dalla stampa: proprio come oggi, i giornali si prodigarono a dispensare consigli per impedire il verificarsi di frodi o combine nelle successive edizioni. Tanto per fare un esempio, un editoriale pubblicato su Auto italiana del 10 maggio del ’33: «Ma se si vuole evitare lo spettacolo pietoso di quest’anno, le discussioni oziose e i viaggi inutili, se si vogliono evitare tutti quei movimenti di avvocati e di consorzi, patteggiamenti veri o inventati, l’estrazione andrebbe fatta mentre si svolge la gara in modo che tutti i giocatori possano restare con l’animo teso fino al momento in cui la radio annuncerà la classifica definitiva». E l’anno successivo il comitato organizzatore eseguì alla lettera il consiglio, facendo sparire pettegolezzi e accordi sottobanco, nonostante i premi fossero decisamente superiori a quelli dell’anno precedente (nel 1934 furono venduti ben 3 milioni e mezzo di biglietti). La parola passò definitivamente ai campioni dell’automobilismo e agli ambienti esotici del circuito di Tripoli, dove si sfidarono Varzi, Trossi, Chiron, Moll (tutti su Ferrari) e Taruffi (su Maserati). Vinse ancora una volta Varzi, che fece intascare ben 7 milioni di lire al possessore del biglietto a lui abbinato. Nessuna polemica, a parte quella sollevata da Moll che accusò la scuderia Ferrari di avergli dato una vettura di secondo ordine per favorire Varzi. Ma questa è tutta un’altra storia. sport.
• Secondo Ferdinand Porsche Tazio Nuvolari fu «il più grande pilota del passato, del presente e del futuro». Per tutti il ”Mantovano volante” fu un affascinante mix di scelleratezza e raziocinio. Figlio di un piccolo proprietaro terriero, fin da giovanissimo si cimentò con entusiasmo nelle imprese più pericolose. Cercò di far volare un residuato bellico, fece qualche gara in bici, quindi cominciò a vincere nelle più importanti gare motociclistiche. Corse e trionfò completamente ingessato, manovrando lo sterzo con una chiave inglese dopo aver rotto il volante, sorpassando gli avversari guidando a fari spenti nella notte per sorprenderli. Più l’inferiorità del mezzo di cui disponeva era patente, più si galvanizzava. Enzo Ferrari una volta salì su un’auto guidata dal grande Tazio e descrisse il suo stile di guida funanbolico come un «incessante precipitare nel baratro su un vagoncino dell’ottovolante». Vittima di numeosi gravi incidenti e spesso dato per spacciato, Nuvolari riuscì sempre a risorgere. Quasi fosse per vendetta, il destino si accanì su di lui portandogli via i due adorati figli. Per questo, ormai vecchio e malato, nel dopoguerra, il pilota mantovano cominciò a guidare con folle abbandono, quasi a volere cercare al volante una morte che ormai desiderava. Anche questo ultimo disperato sforzo non ebbe risultati. Nuvolari, sfidando la sorte a ogni curva, riuscì soltanto a rendere più confusi i contorni del suo mito, a firmare nuove increbili imprese. La morte lo prese, come probabilmente era già deciso fino dall’inizio, nel suo letto, di martedì, alle sei del mattino di un giorno del 1953. Una morte normale, l’unica che poteva beffare chi aveva cercato di stanarla dietro ogni curva.
• Il rivale vero, e unico, di Tazio Nuvolari fu Achille Varzi. I due erano in effetti ottimi amici, però la stampa sportiva non si lasciò sfuggire l’occasione per una contrapposizione che sembrava scritta da uno sceneggiatore di film popolari. Tazio era piccolo, segaligno, riservato, funanbolico, con origini contadine. Achille invece veniva da una famiglia ricca, era alto e biondo, guidava con stile insuperabile, cercando di centellinare le energie sue e del mezzo meccanico con l’unico fine di conquistare la competizione. Il suo stile era unico. Di solito partiva molto lentamente, perché le statistiche che aveva studiato dimostravano che la maggior parte delle auto si fermava durante i primi giri. Così, dopo avere pazientato e essersi tolto di torno buona parte degli avversari, affrontava chi era rimasto in gara. Accelerava fino a arrivare in seconda posizione, quindi studiava chi era in testa e decideva dove era possibile di superarlo, cosa che faceva di solito nel corso dell’ultimo giro. Le sue gare erano sagge e razionali, ma nella vita il suo stile era ben diverso. Varzi era sempre stato un amante delle belle donne e della vita mondana, ma la sua carriera sportiva ebbe un grave danno da una storia d’amore ”maldetta” che legò il pilota alla bella moglie austriaca di un collega della squadra tedesca Auto union. Quella che ci fu fra i due fu una passione travolgente e cupa, condita da alcol e grandi quantità di droghe. Per questo a Varzi subito prima della guerra venne ritirata la licenza. Riprese a guidare a guerra finita vincendo qualche gara. Morì sul circuito di Berna nel luglio 1948, durante alcuni giri di prova, a bordo della sua Maserati.