Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 28 novembre 2004
Nelle battaglie napoleoniche il corso degli eventi era quasi sempre lo stesso
• Nelle battaglie napoleoniche il corso degli eventi era quasi sempre lo stesso. Il combattimento si apriva con una fase di logoramento durante la quale gli eserciti bruciavano le loro prime linee. L’abilità dei comandanti consisteva nel dosare l’afflusso delle riserve, nel tenere accesa la fornace della battaglia consumando meno battaglioni possibili. Il processo continuava fino a quando uno dei due schieramenti aveva esaurito le proprie riserve; si giungeva allora al momento della crisi, quello che Napoleone sapeva sfruttare da maestro.
Si accorgeva con sensibilità da medium dove, come e quando lo schieramento nemico risultava in difficoltà, iniziava a cedere, allora scatenava, al momento migliore e nel punto giusto, l’attacco concentrato di tutte le riserve. Questo portava allo sfondamento delle linee nemiche e al collasso di tutto l’esercito avversario al quale venivano inferte le perdite più pesanti nella fase successiva alla battaglia, durante l’inseguimento.
Era allora che i cannoni venivano abbandonati e i reparti rimasti isolati e senza ordini si arrendevano quasi senza combattere alla cavalleria che li circondava.
Lo sviluppo della battaglia di Austerlitz, combattuta 199 anni fa il 2 dicembre 1805, primo anniversario dell’incoronazione di Napoleone a Imperatore dei francesi, non fu particolarmente originale, ma le dimensioni del successo furono così insolite e conseguite con perdite così contenute che alcuni reparti poterono essere impegnati nel corso di tutta la giornata, dal momento del primo scontro fino a quando gli ultimi contingenti austro-russi vennero messi in rotta.
Alla vigilia della battaglia la superiorità francese non era costituita solo dalle straordinarie doti di comando di Napoleone e dei suoi marescialli, che ormai da vent’anni si misuravano sui campi di tutta Europa. Quella di Austerlitz era la quarantesima battaglia che l’imperatore combatteva. Alla preparazione del vertice dell’esercito francese corrispondeva un uguale livello professionale nelle truppe, a ogni livello. La Grande Armée napoleonica era nel 1805 al massimo della sua efficienza, si trattava di esercito in perfetto equilibrio fra esperienza di guerra e freschezza delle energie. Composto in larga parte da veterani delle guerre della rivoluzione e del consolato aveva avuto gli anni successivi alla stipula della pace di Amiens del 1802 per ritemprare le forze, infittire i ranghi con i coscritti, addestrare le reclute e trasferire loro lo spirito di corpo sul quale poteva contare un esercito passato di vittoria in vittoria.
• Tre proiettili all’anno. I soldati che lo zar Alessandro e l’imperatore d’Austria Francesco II contrapponevano a Napoleone erano per la maggior parte inesperti e male equipaggiati, con la sola eccezione della Guardia Imperiale russa e di alcuni reparti di cavalleria austriaca. La decisione di dare battaglia fu presa dal comando alleato anche sotto la pressione delle difficoltà che incontrava a rifornire l’esercito di beni di prima necessità. Parecchi soldati russi marciavano senza scarpe, con cortecce d’albero legate sotto i piedi, molti di loro avevano sparato meno di dieci colpi di moschetto in tutto il loro addestramento dato che il regolamento militare prevedeva la distribuzione di tre soli proiettili l’anno per le esercitazioni. Neppure gli ufficiali che comandavano l’esercito alleato erano all’altezza dei loro avversari, che contavano su di un’esperienza ben superiore. Durante la vigilia della battaglia Napoleone ebbe a dire che il suo piano si basava sulla certezza che il nemico avrebbe commesso dei gravi errori, che lui voleva essere pronto a sfruttare.
Le modalità di partecipazione alla battaglia del 24esimo reggimento francese di fanteria leggera costituiscono insieme l’occasione per ripercorrere brevemente la giornata di Austerlitz e per dare le dimensioni del più grande successo conseguito da Napoleone sul campo.
Con i suoi due battaglioni, per una forza che lo storico americano Scott Bowden indica in 1291 uomini all’inizio del combattimento, il 24esimo leggero costituiva da solo la prima brigata della II divisione del IV Corpo della Grande Armée. Il comandante di reggimento era il colonnello Pourailly, quello di brigata il generale Schiner, ma ben più famosi di loro sono rimasti il generale Vandamme, comandante della divisione, che spesso veniva indicata con il suo nome, e il maresciallo Soult, comandante del più grosso dei Corpi francesi presenti alla battaglia. Fu uno dei più stretti collaboratori di Napoleone e lo seguì fino alla fine della sua epopea: nell’ultima battaglia, a Waterloo, era capo di stato maggiore dell’imperatore.
• L’alba di Vandamme. All’alba del 2 dicembre 1805 la divisione Vandamme era schierata alla sinistra della divisione Saint Hilaire, esattamente sul centro del dispositivo francese, ai piedi dell’altipiano del Pratzen, che Napoleone aveva capito avrebbe rappresentato la posizione chiave della battaglia. La sua tattica si basava sul fatto di essere riuscito a convincere il comando nemico di trovarsi in una tale situazione di vantaggio da potere sferrare un grande attacco contro i francesi. Il piano alleato, elaborato dal conte austriaco Weyrother sulla base di istruzioni impartite personalmente dallo zar Alessandro, prevedeva che russi e austriaci, organizzati in quattro gigantesche colonne scendessero dall’altipiano del Pratzen, dove avevano trascorso la notte, e si dirigessero prima verso ovest e poi verso nord in modo da attaccare i francesi da sud, tagliando loro la strada per una possibile ritirata verso Vienna, la capitale austriaca che avevano occupato un mese prima della battaglia e che adesso fungeva da base logistica per la Grande Armée.
Attorno alle otto e trenta del mattino Napoleone giudicò che il movimento austro-russo si fosse già sviluppato a sufficienza e ordinò l’avanzata delle divisioni Vandamme e Saint Hilaire. La forza complessiva dei francesi che iniziavano a risalire il Pratzen era di circa 14.000 uomini. Sulla cima dell’altipiano incontrarono la quarta colonna nemica, composta dalle truppe russe del generale Miloradowitch e da quelle austriache di Kollowrath. Circa 24.000 uomini che, secondo il piano di Weyrother, avrebbero già dovuto essere scesi dall’altipiano. La manovra era stata però ritardata dal comandante dell’esercito alleato, il generale russo Kutusov, che non condivideva le scelte dello zar Alessandro e giudicava imprudente la decisione di combattere una battaglia offensiva contro un comandante del livello di Napoleone.
• Il nemico in rotta. Kutusov riteneva che le truppe della quarta colonna dovessero tenere il centro alleato piuttosto che aggiungersi ai 30.000 uomini che stavano tentando di aggirare l’ala destra francese, peraltro con pochi risultati. Perché l’anziano generale accettasse di ordinare l’avanzata di Miloradowitch e Kollowrath verso ovest fu necessario l’intervento personale dello zar, che ingiunse al generale di dare corso al piano di battaglia nei termini nei quali era stato predisposto.
La quarta colonna si era quindi messa da poco in movimento quando venne investita sul fianco destro dai francesi di Vandamme e Saint Hilaire. La sproporzione di forze appariva del tutto favorevole agli austro-russi e il loro notevole vantaggio numerico iniziale aumentò ancora per l’intervento nella zona di reparti della seconda colonna, che attaccarono la divisione Saint Hilaire da sud-ovest. In effetti Miloradowitch e Kollowrath riuscirono in un primo momento a respingere i francesi, che però arretrarono in buon ordine fin quando l’offensiva degli alleati si esaurì, anche per effetto del micidiale fuoco sviluppato contro di loro dall’artiglieria. Quando lo slancio degli austro-russi si fu spento del tutto i francesi scatenarono un contrattacco così determinato da volgere completamente in rotta il nemico, cancellandolo dal campo di battaglia. Nella sua fuga disordinata la massa dei fanti russi e austriaci travolse il proprio quartier generale, così che l’esercito alleato rimase di fatto privo di comando, fino a quando, dopo alcune ore, Kutusov riuscì a riprendere in mano la situazione e a organizzare la ritirata della truppe ormai sconfitte lungo tutta la linea di combattimento.
Messo in rotta i primi reparti nemici incontrati, la divisione Vandamme continuò il proprio movimento verso est, con il 24esimo leggero in posizione avanzata. Questo portò i francesi a contatto con la Guardia russa, che rappresentava ormai l’unica riserva degli alleati e era stata schierata fin dall’inizio della battaglia ai piedi del Pratzen, dalla parte opposta a quella che le divisioni di Vandamme e Saint Hilaire avevano risalito vittoriosamente.
Il quarto di linea si trovò a affrontare l’attacco della migliore fanteria russa presente sul campo di battaglia e riuscì a respingerlo con la seconda linea. Dietro la fanteria arrivarono però i corazzieri. Vandamme capì che il quarto non avrebbe potuto resistere da solo e dette ordine di sostenerlo al 24esimo, che però non riuscì a arrivare in tempo.
• L’aquila in mano nemica. Il quarto, che si era stretto in quadrato per affrontare la cavalleria nella formazione più opportuna, si trovò da solo a affrontare i corazzieri, appoggiati dal fuoco di sei pezzi ippotrainati. Due squadroni caricarono, ma vennero respinti da una salva di moschetteria sparata a bruciapelo. Prima che i francesi potessero ricaricare le armi i cannoni russi spararono a loro volta una salva a mitraglia contro i ranghi serrati dei fanti, aprendo dei vuoti impressionanti e subito un terzo squadrone di corazzieri caricò nuovamente. Questa volta l’attacco ebbe successo; il quadrato venne spezzato e iniziò una mischia furibonda, con i cavalleggeri che sciabolavano i fanti dall’alto delle loro monte. Si combattè con accanimento attorno all’aquila del primo battaglione, l’emblema posto da Napoleone in cima all’asta delle bandiere tricolori, per segnalare simbolicamente la continuità fra repubblica e impero. L’alfiere venne ucciso, cadde anche il primo ufficiale che prese il suo posto. Allora un sottufficiale si pose a difesa dello stendardo, ma anche lui venne ferito e i corazzieri riuscirono a strappargli l’aquila. Sarebbe stato l’unico trofeo a cadere in mano alleata nel corso di tutta la battaglia.
Messo in fuga il quarto reggimento, il 24esimo si trovava adesso da solo a affrontare la cavalleria russa. Visto che la formazione in quadrato non si era dimostrata efficace contro i corazzieri, anche perché molto vulnerabile al tiro dei cannoni che li accompagnavano, gli ufficiali del 24esimo decisero di affrontare lo scontro mantenendosi in linea. Era una scelta rischiosa, ma non assurda. Proprio a Austerlitz, meno di un’ora prima, la cavalleria di Liechtenstein era stata respinta con gravi perdite dalla fanteria di Caffarelli che aveva combattuto il linea. Gli ufficiali del 24esimo contavano anche sul fatto che il terreno era coltivato a vigneto e i pali di sostegno alle piante avrebbero potuto costituire un serio impiccio per il movimento di uomini a cavallo.
• Il miglior attacco è la fuga. Le loro speranze vennero deluse. I corazzieri russi, esaltati dal successo appena conseguito ai danni del quarto, si precipitarono sul 24esimo e lo misero in fuga a sua volta.
I fanti scappavano più velocemente che potevano e la loro corsa li portò a passare quasi davanti a Napoleone in persona, che nel frattempo aveva raggiunto la cima del Pratzen con la Guardia Imperiale e tutta la riserva francese. Sarebbero stati loro a costringere alla ritirata la Guardia russa.
Sotto gli occhi di Napoleone gli ufficiali del 24esimo fecero un primo tentativo di fermare i soldati in fuga e riorganizzare i loro ranghi, una prassi abituale con i reparti di fanteria dell’epoca. La qualità dei soldati si dimostrava anche nei momenti di difficoltà: solo i migliori potevano essere rimessi nei ranghi e riportati in combattimento dopo che erano stati messi in fuga. Tutto quello che gli ufficiali francesi riuscirono a ottenere fu di suscitare qualche grido di ”Viva l’imperatore” da parte degli uomini che continuavano a scappare.
Mentre la cavalleria della Guardia e il I Corpo francesi battevano e costringevano alla ritirata la Guardia russa, sia il quarto che il 24esimo vennero comunque riorganizzati. Quando Napoleone ordinò la conversione verso sud di tutto il centro, in modo da aggredire alle spalle le tre colonne russe che avrebbero dovuto aggirare l’esercito francese, le divisioni Vandamme e Saint Hilaire formavano ancora una volta l’avanguardia del grosso francese.
• Infine l’accerchiamento. Presi fra due fuochi e stretti contro gli stagni gelati di Satchan gli austro-russi sotto il comando di Buxhoewden si difesero con determinazione, ma erano senza speranza. Furono gli artiglieri russi a difendersi con grande eroismo, continuando a sparare fino all’ultimo colpo a mitraglia, anche quando ormai non c’era più nessuna speranza di cambiare le sorti della giornata e combattere a oltranza significava solo rendere più aggressivi i vincitori. Prima di sera tutta l’ala sinistra russa era comunque in fuga. Quasi duecento cannoni e una cinquantina di bandiere caddero in mano francese.
Quando già calava l’oscurità, che a dicembre in Moravia arriva prima delle cinque del pomeriggio, e i combattimenti erano praticamente cessati, il venticinquenne Philippe Ségur, uno degli aiutanti di Napoleone, fece notare al generale Vandamme che uno dei battaglioni del 24esimo leggero era ridotto a non più di centocinquanta uomini degli oltre seicento che contava prima della battaglia. Il generale gli rispose «Bisogna rompere un sacco di uova per fare una buona frittata».