Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 19 dicembre 2004
Biografia della contessa di Castiglione
• Dicono che dietro ogni grande uomo si nasconda sempre una grande donna. È anche possibile che dietro a una grande epoca si sia nascosta una donna se non grande, sicuramente spregiudicata. Questo sembra essere accaduto al nostro Risorgimento. Si aggirava allora per l’Europa una giovane di una bellezza, sembra, mai vista. Il suo nome era Virginia Oldoini, ai più nota come la Contessa di Castiglione. Come spesso succede alle donne particolarmente belle la vecchiaia arrivò rapida e impietosa. In una delle ultime case parigine che abitò, un ammezzato in Place Vêndome 26 dove oggi si trova il gioielliere ”Boucheron”, di specchi non ce n’erano. Per lei la vita era finita da un pezzo. Era solita ripetere che ci sono tre brevissime fasi da attraversare: «Quindici anni d’infanzia, quindici anni di giovinezza, quindici anni di vecchiaia». Aveva deciso che dopo una giovinezza dorata, voleva morire in silenzio: «Nessuna Croce. Nessun Prete. Nessuna Chiesa. Nessun Servizio Divino. Nessun Fiore. Nessuna Veglia. Nessun Console. Nessun Ambasciatore. Nessun Sigillo. Nessun Erede. Nessun Necrologio. Nessuna Informazione. Nessun Giornale». E da sola: «Nessun erede. Senza famiglia, né in Francia né in Italia. Nessun parente, sia che si chiami Oldoini, Rapallini, Lamporecchi, Castiglione, Castigliole, Asinai, Verasis». Insomma, sola si sentiva e sola voleva rimanere. Ciò che credeva di avere di più prezioso al mondo, una camicia da notte di seta trasparente colore verde acqua, se lo voleva portare nella tomba: «Desidero essere sepolta con la camicia da notte di Compiègne del 1856». Quando morì davvero, infatti, era fermamente convinta di essere povera. E invece era ancora ricca, molto ricca. Risultarono a lei intestati quattro appartamenti in affitto a Parigi, utilizzati in realtà come magazzini. Vi furono ritrovate decine di casse, armadi e bauli, contenenti centinaia di ventagli di madreperla, argento e oro cesellati, di ombrellini con manici d’oro e d’argento, tempestati di pietre preziose. In un cassetto c’erano decine di polizze del Monte di pietà di Parigi relative a gioielli impegnati e che si era dimenticata di riscattare. Purtroppo per lei e per le sue ultime volontà, tra i nomi che aveva escluso nel suo testamento, se ne era dimenticato uno, quello dei Tribone di Genova, parenti alla lontana, che erediteranno tutto.
• La più bella creatura di dio. Il giorno in cui la morte se la portò via, il 28 novembre 1899, Virginia Oldoini aveva 62 anni. Era nata il 23 marzo 1837, da genitori cugini di primo grado che avevano in due meno di quarant’anni. Una madre frivola e mondana e un padre poco padre ma molto interessato ai vantaggi che la posizione della figlia poteva offrirgli. Fin da bambina ebbe un’alta considerazione di se stessa. Sapeva perfettamente di essere bella e fino d’allora, e poi per tutta la vita, ne trasse ogni beneficio possibile. Modestamente si autodefinì «la più bella creatura che Dio ha messo al mondo»; più volgarmente Rattazzi la chiamò «la vulva d’oro del nostro Risorgimento». Trascorse la sua adolescenza tra Firenze, la città materna che attraversava un momento di splendore grazie al Granduca Leopoldo, e La Spezia, dove i suoi genitori avevano stabilito la loro dimora, nuovo e importante centro di vita mondana estiva. Vi villeggiavano i reali piemontesi, il re Vittorio Emanuele II con la regina malaticcia Maria Adelaide, il conte di Cavour, Massimo D’Azeglio, scrittori come George Sand e molti illustri nobili. Inserita da sempre nel giro di quelli che contano, fu soprannominata per la prima volta ”Nicchia” da Massimo d’Azeglio. Ricevette la sua prima dichiarazione d’amore a undici anni e a sedici cedette alle avances di quello che fu il primo di una lunghissima serie di amanti, Ambrogio Doria. Difficile calcolare quanti siano stati: un suo biografo ci ha provato e arrivato a quarantatre si è arreso. Il povero marito che, in seguito a quell’episodio, fu scelto per lei, il torinese Francesco Verasis conte di Castiglione, passerà tutta la vita innamorato, cornuto e indebitato a causa di una moglie a altissimo mantenimento. Quando lui chiese la sua mano, di tutta risposta lei si presentò fasciata di nero, insomma vestita a lutto. Per tutta la vita non interruppe mai le sue relazioni, più o meno saltuarie che fossero. La più duratura sarà quella con il re Vittorio Emanuele II, incontri sporadici ma prolungati negli anni.
• ”Arruolata” da Cavour. Fu con il trasferimento a Torino, una Torino schiva e severa, che le si aprirono davvero le porte del gran mondo. Per Virginia divenne del tutto naturale frequentare e conversare con re, regina e principi vari. Palazzo Verasis dove la nuova coppia si stabilì, confinava con la casa di Cavour, cugino del povero marito cornuto. Virginia aveva diciotto anni e un bambino di otto mesi, quando fu deciso che la sua piccola storia si sarebbe incrociata con la Grande Storia. Pare che l’idea di ”arruolarla” al servizio della causa piemontese fosse venuta in mente a Cavour e a Vittorio Emanuele, alla fine della guerra di Crimea nel settembre 1855. Ma facciamo un passo indietro. Cavour si era da tempo reso conto che all’indipendenza italiana, frustrata dal giogo austriaco, era necessario l’appoggio della Francia. Non doveva essere troppo difficile ottenerlo. Da tre anni lì era nato il secondo impero. Luigi Napoleone, imperatore col nome di Napoleone III, era forse più italiano che francese. In Italia era cresciuto e in Italia aveva fatto le sue prime esperienze rivoluzionarie. Carbonaro, aveva prestato giuramento massonico che avrebbe dato anche la vita per la libertà italiana. A Cavour fu subito chiaro che erano due le strade da seguire. La prima era inserirsi nei giochi delle grandi potenze. L’occasione giunse dalla guerra di Crimea tra Russia e Turchia, in seguito alla dissoluzione dell’impero Ottomano. Il Piemonte barattò la promessa di porre sul tavolo della pace la questione italiana con l’invio di quindicimila bersaglieri a sostegno dell’esercito francese, alleato della Turchia. Ma c’era un’altra strada da percorrere: cercare una donna che «charmer politiquement l’Empereur, coqueter avec lui, le seduire s’il le fallait». Insomma, si trattava di trovare una donna bella e intelligente che, seducendo l’imperatore, lo assicurasse definitivamente alla causa italiana, o meglio piemontese. E chi poteva essere quella donna se non Virginia? Era successo, infatti, che durante una visita a Parigi il re e Cavour si erano resi conto che la contessa era molto conosciuta nell’entourage di corte. Niente di più facile, dunque, che sfruttare le entrature già da lei possedute.
• Il journal di Virginia. L’imperatore era piuttosto sensibile al fascino femminile. Aveva già una moglie, l’imperatrice Eugenia, attraente sembra, che ovviamente non gli bastava. Bello non era bello, ma il suo fascino, o più probabilmente quello del suo potere, mieteva numerose vittime. Ma era scostante. Le sue storie non duravano mai più di sei mesi. Almeno fino a quando arrivò Virginia. Fu il re che si assunse personalmente l’incarico di prepararla alla sua delicata missione. Cavour, poco prima che lei partisse per Parigi, le scrisse: «Riuscite, cara cugina. Usate tutti i mezzi che vi pare, ma riuscite». Questa lettera fu una delle poche che si salvò dalla distruzione operata, in seguito alla morte di Virginia, dai servizi segreti sabaudi e francesi per eliminare lettere scottanti che si trovavano nelle sue case: corrispondenza con Vittorio Emanuele II, con Cavour, con Pio IX, con Napoleone III. E non era poco, se è vero che Virginia era una grafomane. Scriveva molto e non buttava via niente. Scriveva, in italiano e in francese, lettere a matita per conservare la carta da ricalco. Si faceva restituire le lettere più importanti, postillando con un R.S.V.P. (rendre s’il vous plait). stato grazie al suo Journal, il diario che teneva fino da ragazzina e nel quale annotava tutto, che è stato possibile ricostruire la sua vita. Prima ancora di utilizzare un cifrario diplomatico, aveva elaborato un linguaggio cifrato per celare la parti più piccanti: ”e” stava per abbracci; ”b” per baci; ”bx” per baci e oltre, ”f” per rapporto completo. Giunse, dunque, il giorno della partenza. A Parigi la contessa si trasferì insieme al marito, all’oscuro di tutto come sempre, ma che fungeva da copertura. Capo di gabinetto privato e primo scudiero del re, gli furono procurate numerose missioni all’estero. Non che fosse mai stato un problema per Virginia averlo intorno. Non era mai stato di ostacolo ai suoi piani e ai suoi divertissement. Se ne andava a dormire mentre lei ”conversava” sul divano con l’amante di turno. Era anche geloso, il poverino, ma evidentemente poco furbo...
• Mondanità parigina. Il suo arrivo fu preparato da una vera e propria campagna pubblicitaria organizzata dalle autorità piemontesi presenti a Parigi. E così anche la sua prima apparizione pubblica, attesa da tutta la città, venne calcolata fino al minimo dettaglio. Alla prima festa a cui partecipò alle Tuileries, si presentò strategicamente alle due di notte quando la serata era all’apice e l’imperatrice Eugenia, appesantita dalla gravidanza, era già andata a dormire. Il successo che ebbe quella sera fu clamoroso e si ripetè, uguale a se stesso, nelle numerose serate successive. Non di rado capitava che per qualche capriccio improvviso decidesse di starsene a casa, snobbando importanti serate e fingendo improbabili malesseri. Quando però partecipava lo faceva alla grande. Il che certo non era economico. Si racconta di quando decise di farsi confezionare un costume di tulle d’oro ornato di stelle. La stoffa era introvabile. Il marito la cercò dappertutto. Ma nulla. Un amico a cui aveva confessato il suo dramma promise di aiutarla. E le trovò il tulle. Bisognava però confezionare le stelle. La casa divenne un laboratorio e il lavoro fu completato in tempo. Ma la sera della festa, guardandosi allo specchio, non si piacque, si strappò il vestito e se ne andò a dormire. Le occasioni mondane si susseguivano freneticamente, nella grandeur parigina del Congresso di Pace post guerra di Crimea (febbraio-aprile 1856), quando delegazioni di tutta Europa lì confluivano per parteciparvi. Tra questi, naturalmente, anche il conte di Cavour, che finalmente riuscì a sottoporre la questione italiana all’attenzione dei grandi d’Europa. Nei suoi piani c’era sostanzialmente il raggiungimento di una sorta di Padania sotto l’egemonia piemontese. La cosa non era semplicissima: l’Austria, mantenutasi neutrale durante la guerra, non aveva dato il minimo pretesto alla Francia per essere in qualche modo osteggiata. Tuttavia il cuore di Napoleone III batteva per l’Italia. Il dubbio che il suo atteggiamento durante il Congresso sia stato influenzato dalla sua passione per la contessa, c’è e rimane. Dopo la firma del Trattato di pace quando i delegati stavano già preparando le valigie, infatti, l’imperatore fece proseguire i lavori e mettere all’ordine del giorno una mozione per discutere dello stato di oppressione dei paesi italiani.
• La favorita di Napoleone III. In realtà non è dato sapere con certezza quando cominciò e quando finì la relazione tra Virginia e Napoleone: tutta la corrispondenza relativa è andata distrutta. Non si sa se sia cominciata prima, durante o dopo il Congresso di Parigi. Pare, tuttavia, che il primo approccio tra i due fosse avvenuto successivamente al Congresso, una sera di luglio del 1856, durante una festa organizzata dall’imperatrice nella residenza estiva di Saint-Cloud. Non sappiamo poi esattamente in quale notte Virginia abbia inaugurato con Napoleone la sua famosa camicia di seta trasparente. Qualunque notte sia stata, dal racconto che la marchesa Tiesey-Chatenoy raccolse, pare, dalla viva voce di Virginia, sembra che l’incontro non sia stato particolarmente prolungato: «Era bastata una sola mezz’ora per fare di me un’imperatrice...». Forse breve ma intenso? Divenne comunque la sua favorita, con tanto di assegno mensile di cinquantamila franchi che sperperava serenamente e una nuova residenza. Fu proprio uscendo da lì che una sera, il 2 aprile 1857, l’imperatore fu vittima di un attentato a opera di italiani. Probabilmente fu tutto orchestrato dall’imperatrice per allontanarlo dall’amante. Rimane il fatto che a lei costò molto caro. Accusata di avere ordito il complotto, le fu caldamente consigliato di lasciare Parigi. Partì per Londra e per successive peregrinazioni. E Napoleone non parve disperarsi più di tanto. Non amava le complicazioni e Virginia aveva dato prova di essere una complicazione vivente. Negli anni a venire ci saranno ancora dei ritorni di fiamma fugaci tra i due. Ma il suo momento di gloria era ormai finito. Se questo era stato amore, naturalmente era durato lo spazio di un attimo. Il rapporto tra Parigi e Torino non subì invece conseguenze, neanche quando l’anno successivo un nuovo attentato, organizzato ancora da rivoluzionari italiani, colpì l’imperatore. Questi era comunque deciso a venire in soccorso all’Italia per la sua liberazione. Ai primi di luglio del 1858 Cavour e Napoleone III si incontrarono segretamente a Plombiéres. Quanto fosse segreta la cosa non sappiamo, se è vero che la contessa pare esserne stata al corrente. A Plombiéres prese forma il progetto di creare un regno dell’Alta Italia in mano ai Savoia, un regno dell’Italia Centrale per il cugino dell’imperatore Napoleone Gerolamo, uno stato Pontificio ridotto al solo Lazio e un regno dell’Italia Meridionale per i Borboni. La Francia in cambio voleva Nizza e la Savoia. Sia in questa vicenda che nelle guerre di Indipendenza che seguirono, la seconda che da lì a poco si sarebbe scatenata e la terza nel 1866, Virginia seppe molto più di quanto avrebbe dovuto. Circondata da una rete di informatori privilegiati, svolse probabilmente una vera e propria azione di spionaggio a vantaggio in particolare, oltre che di se stessa, dei Rotschild, che videro aumentare considerevolmente la loro fortuna.
• L’ammezzato di Place vêndome. Il suo unico obbiettivo, tuttavia, rimaneva tornare a Parigi e riconquistare l’imperatore. Per farlo si scervellò non poco, inventandosi stratagemmi di ogni sorta, quale una restituzione di gioielli del tutto fuori luogo. Vi tornò prima con false generalità e poi ufficialmente nel 1860. Vi tornò con discrezione, facendo vita ritirata e gradualmente venne riaccolta a corte. Questo le restituì l’antica sicurezza perduta. La sua vita mondana riprese e durò tanto quanto il secondo Impero che morirà nel 1870 sotto il peso dei colpi prussiani a Sedan. Dopo la cattura dell’imperatore, a Parigi si scatenò l’anarchia contro il passato, i palazzi e le vestigia imperiali. Virginia scappò e vi fece ritorno nel 1873, tentando di ritagliarsi ancora un ruolo nella vita politica. Ma la città e la nazione che Virginia vide dopo la fine dell’Impero, da dietro gli scuri dell’ammezzato di Place Vêndome, non avevano più niente a che vedere con i fasti a cui era abituata negli anni Cinquanta. Tutto era andato perduto, abbattuto. Divenne sospettosa, smise di uscire di casa. I suoi ospiti dovevano fischiare dalla strada per farsi riconoscere e procedere poi, attraverso parole d’ordine prestabilite, al superamento di ben tre porte. Forse le sue erano ormai solo manie, ma nel 1881 la sua casa era ancora sorvegliata dalla polizia. Che questa donna abbia effettivamente influenzato il corso della storia non è dato sapere. I numerosi storici che ne hanno studiato la vita non concordano affatto sull’effettivo ruolo che svolse. Non si è capito e non si capirà mai del tutto. E forse è meglio così. Con questa certezza verrebbe meno un po’ del suo fascino. Nel frattempo, ci fa sorridere il pensiero che ci sia stata un’epoca in cui riuscire a mettere nel letto di chi contava la donna giusta potesse fare credere di cambiare la storia.