Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 giugno 2005
Il lungo Esodo. Istria: le persecuzioni
• Esodo. Profughi italiani provenienti da Zara, Fiume, le isole del Quarnaro e la penisola istriana, passate sotto il controllo jugoslavo, accolti in Italia tra il 1944 e la fine degli anni Cinquanta: 250 mila, circa la metà della popolazione residente, per lo più appartenenti a ceti elevati. A questo spostamento i giuliano-dalmati, vittime della politica oppressiva di Tito, diedero il nome di ”Esodo”. Dopo la chiusura del contenzioso di confine con la Jugoslavia (Memorandum di Londra del 1954, quando l’amministrazione di Trieste passò al governo italiano), l’Italia negò portata nazionale alla tragedia giuliana per non pregiudicare i rapporti con la Jugoslavia.
• Paradossi. Tra i provvedimenti repressivi del regime fascista nei confronti di sloveni e croati nelle terre di confine, l’abolizione dell’insegnamento in lingue diverse dall’italiano (Riforma Gentile, 1923), che portò al cosiddetto doppio analfabetismo dei gruppi minoritari: i bambini, che avevano una conoscenza solo orale della lingua materna, non imparavano correttamente la loro lingua, né l’italiano, spesso dimenticato dopo la conclusione della scuola dell’obbligo.
• Cognomi. La norma che nel 1927 impose l’italianizzazione dei patronimici slavi in Venezia Giulia creò paradossi, come i casi di fratelli che si ritrovarono con cognome diverso, perché ogni commissione provinciale italianizzava a suo modo (per esempio Sirk diventò Sirca a Trieste, ma Sirtori a Gorizia, e Serchi a Istria). Tra i cognomi italianizzati Mameli (già Mamilovic), Millo (già Milos), Micca, Colombo, Rossini, Fogazzaro, Puccini, Giusti.
• Foibe/1. Proclamate le annessioni dell’Istria alla Croazia e del Litorale sloveno alla Slovenia nel settembre 1943, subito dopo l’armistizio dell’8 settembre, esplose l’esasperazione della popolazione slava per l’oppressione fascista. In poche settimane morirono 500 – 700 italiani. Si tratta degli episodi più noti come le foibe istriane.
• Foibe/2. Con l’accordo di Belgrado del 9 giugno 1945 la Venezia Giulia fu divisa in due zone di occupazione: la zona A (la fascia di territorio da Trieste al confine austriaco lungo la valle dell’Isonzo oltre alla base navale di Pola), affidata all’amministrazione militare anglo – americana, e la zona B, comprendente il resto della regione, affidata all’amministrazione jugoslava. Le autorità jugoslave che s’insediarono misero in atto una repressione analoga a quella popolare dell’autunno 1943, a cui, con valenza puramente simbolica, fu dato il nome di foibe. In realtà buona parte delle vittime delle uccisioni di massa (alcune migliaia) non trovò la morte nelle cavità carsiche. A differenza delle foibe precedenti, inoltre, si trattava di una repressione dall’alto finalizzata all’instaurazione del potere, che colpì anche sloveni e croati contrari al nuovo ordine.
• Opzione. Trattato di pace del 1947: la maggior parte della Venezia Giulia fu assegnata alla Jugoslavia (all’Italia rimase Gorizia), ma ai residenti fu conferito il diritto di opzione a favore della cittadinanza italiana. Nella conferenza di pace i delegati italiani avevano cercato di provare che la popolazione dei territori era per la maggior parte italiana, sfoderando censimenti etnici compiuti sotto amministrazione italiana. L’attendibilità di questi censimenti fu messa in dubbio da Ernesto Sestan, incaricato, nel 1944, dal ministero degli Esteri di studiare la situazione del confine orientale: "L’accertamento della nazionalità in questa regione non si presenta univoco. Questa gente di popolo non ha la percezione immediata della propria nazionalità; sentono piuttosto l’appartenenza allo Stato che alla nazionalità. Nella pratica moltissimi di questi elementi non si domanderebbero: sono slavo o sono italiano, ma piuttosto: sotto chi starò meglio? Sotto l’Italia o sotto la Jugoslavia?" (da Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale).
• Controesodo. Fenomeno con cui si indica il flusso migratorio di cittadini italiani verso la Jugoslavia. Si tratta di alcune migliaia di persone, appartenenti alla fascia del proletariato, comunisti, che si erano battuti per l’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito. Fedeli a Stalin, dopo la rottura di Tito col Cominform, manifestarono il loro dissenso: solo i militanti furono sottoposti a provvedimenti repressivi di polizia (tra cui la deportazione nel campo di rieducazione di Goli Otok), ma tutti gli italiani, ritenuti sospetti, furono sottoposti a licenziamenti e angherie di vario genere. Rientrati in Italia, dove non trovarono né casa né lavoro, la maggior parte degli optanti per la nazionalità jugoslava, emigrò all’estero, questa volta in Francia, Svizzera, Svezia.