Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 25 giugno 2005
Elvis
• Gemelli. Elvis Aron Presley nacque l’8 gennaio 1935 a East Tupelo, città meridionale degli States. Il padre, Vernon Presley, s’arrangiava facendo di tutto (lattaio, mezzadro, operaio ecc.) senza tuttavia riuscire a scrollarsi mai di dosso la nomea di scansafatiche ("quei classici tipi che non combinano niente", diceva di lui il vicino di casa Ernest Bowen). Conobbe Gladys Smith in chiesa: per sposarsi i due scapparono a Pontotoc, Mississipi, dove Vernon, minorenne, dichiarò d’aver 21 anni, mentre Gladys se ne tolse un paio, scendendo a 19. Elvis Aron venne alla luce 35 minuti dopo il fratello gemello Jesse Garon, nato morto. La madre gli disse sempre che quando un fratello gemello muore "quello che sopravvive acquisisce la forza di entrambi". Evento più significativo della sua infanzia: gli otto mesi che il padre passò in gattabuia per aver falsificato e incassato un assegno di 4 dollari, avuto come pagamento di un maiale.
• Chitarra. A 10 anni cantò senza accompagnamento musicale in un concorso per giovani talenti e si classificò quinto: "Lo stesso giorno le presi. Mia madre me le diede per qualcosa, forse una stupidaggine che aveva a che fare con le giostre. Quello annientò tutto il mio ego". La chitarra, una Gene Autry, arrivò a 11 anni, per il compleanno, al posto della bicicletta richiesta, che la mamma si rifiutò di comprargli perché temeva che finisse investito. Imparò a suonarla a Memphis, dove la famiglia si era trasferita nel 1948: sempre su iniziativa della mamma, prendeva lezioni sabato e domenica dal figlio del reverendo, Jesse Lee, di un paio di anni più grande.
• Inferiorità. "Cercava di nasconderlo, ma si sentiva inferiore. Sotto questo aspetto mi ricordava le persone di colore; la sua insicurezza era così incredibilmente simile a quella della gente di colore" (Sam Phillips).
• Happiness. Elvis non riusciva a togliersi dalle orecchie il leitmotiv malinconico di Just Walkin’ in the Rain, dei Prisonaires, una band di detenuti che, con la scorta delle guardie carcerarie, si era presentata alla session di incisione nello studio Memphis Recording Service, di Sam Phillips. Elvis, diplomato da due-tre mesi, un lavoro da 36 dollari a settimana, alla fine dell’estate 1953 trovò il coraggio di presentarsi in quello stesso studio di Memphis, al 706 di Union Avenue, un ufficio con vetrina sulla strada. Pagò 3 dollari e 98 centesimi per incidere My Happiness, una ballata sentimentale di Jon e Sandra Steele e per farsi conoscere, nella vaga speranza che se Phillips avesse avuto per le mani un gruppo senza cantante, lo avrebbe chiamato. Per tutto l’autunno seguente si recò puntualmente in studio a scambiare due parole con la segretaria, la signora Keisker, finché a gennaio non pagò per incidere un’altra canzone, con meno convinzione della prima volta, e poi diradò le visite.
• That’s All Right. L’occasione arrivò nell’estate 1954. Finalmente Sam Phillips si era ricordato di Elvis Presley cercando una voce per il gruppo Starlite Wranglers (il leader, Scotty Moore, di professione faceva il cappellaio in una lavanderia a secco). Una sera dopo il lavoro si incontrarono nello studio di Sam, e provarono in modo insoddisfacente fino a tardi, finché non staccarono perché l’indomani dovevano andare tutti a lavorare. Solo allora Elvis si mise a canticchiare il motivo di una canzone che aveva sentito anni prima, That’s All Right, un vecchio pezzo di blues di Arthur "Big Boy" Crudup: "All’improvviso Elvis iniziò a cantare questa canzone, mettendosi a saltare e a fare lo scemo" (Scotty). Sam, che stava montando un nastro in sala regia, vedendo finalmente Elvis cantare in modo spontaneo, lo fece ricominciare da capo e registrò.
• Radio. Dewey Phillips conduceva con successo un programma radiofonico musicale sei sere a settimana dall’Hotel Chisca per la WHBQ. Quando Sam Phillips gli fece sentire la versione di That’s All Right, volle assolutamente mandarla in onda. Quella sera Elvis si limitò a sintonizzare la radio, disse a sua madre di non cambiare stazione, e se ne andò al cinema perché era troppo nervoso. Arrivarono subito 47 telefonate e quattordici telegrammi che costrinsero Dewey a mettere il disco per sette volte di fila nel corso del programma. Fu Gladys a ricevere la telefonata di Dewey che voleva Elvis in studio per intervistarlo, e andò a cercarlo al cinema. Elvis fece l’intervista in diretta senza saperlo, perché Dewey, che aveva lasciato i microfoni accesi, gli aveva fatto credere che stavano solo provando.
• Mocciosi. "Un mocciosetto che si presenta con dei vestiti assurdi" (Scotty Moore, al primo incontro con Elvis Presley, che per l’occasione si era messo camicia nera, pantaloni rosa con strisce nere sui lati, e si era impomatato i capelli all’indietro, secondo la moda dei rockabilly anni Cinquanta).