Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 11 novembre 2016
È cominciato a Madrid, il 28 gennaio scorso, il processo a Felix Martinez e Javier Rosado che, per dilettarsi con un ”delitto perfetto”, il 30 aprile del ’94, quando avevano rispettivamente 17 e 20 anni, uccisero a coltellate Carlos Moreno un padre di tre figli, calvo, grasso, fermo alla fermata del bus, soltanto perché il suo aspetto fisico rispondeva alle regole del gioco
• È cominciato a Madrid, il 28 gennaio scorso, il processo a Felix Martinez e Javier Rosado che, per dilettarsi con un ”delitto perfetto”, il 30 aprile del ’94, quando avevano rispettivamente 17 e 20 anni, uccisero a coltellate Carlos Moreno un padre di tre figli, calvo, grasso, fermo alla fermata del bus, soltanto perché il suo aspetto fisico rispondeva alle regole del gioco. L’idea di un agghiacciante gioco dei ruoli era venuta a Rosado che convinse l’amico Martinez a cercare una vittima che rispondesse a una certa descrizione fisica e quindi ad accanirsi su di lui vibrando coltellate e strappandogli le viscere. Gli assassini si erano dati quattro ore di tempo per cercare una vittima donna. In seconda battuta avrebbero ripiegato su un uomo. Dopo l’assassinio Rosado annotò tutti i particolari in un diaro, che pubblichiamo qui sotto.
Il pubblico ministero oggi invoca la condanna di entrambi gli imputati per omicidio, furto e associazione a delinquere, chiede una pena di 47 anni per Javier Rosado, l’ideatore del piano, e di 34 anni per Felix Martinez. La difesa sostiene che i due giovani si erano lasciati coinvolgere così a fondo dal loro gioco perverso da non avere più una chiara coscienza del male che stavano compiendo, per cui sarebbero da considerare parzialmente incapaci di intendere e di volere.
• 30 aprile 1994
Usciamo all’1 e 30. Abbiamo appena affilato il coltelli, preparato i guanti e ci siamo cambiati. Abbiamo scelto il luogo con precisione. Ho imparato a memoria il nome di varie vie: dovremo andarcene di corsa, nella fuga saremo costretti a separarci. Siamo d’accordo che io lo afferrerò da dietro, mentre lui lo ferirà con un coltellaccio da cucina. Abbiamo pensato che sarei stato io a tagliargli il collo. Sarei stato io a uccidere la prima vittima. Meglio prendere una donna, giovane e carina (quest’ultimo requisito non era indispensabile, ma preferibile), un vecchio o un bambino. Arriviamo al parco dove dovevamo commettere il delitto, ma non c’era nessuno. Passarono soltanto tre ragazzi, mi sembrò troppo pericoloso cominciare con loro. Decidiamo di fare un giro in cerca di nuove possibili vittime. Nella via ”Cucvas di Almanzora” vedemmo una bruna che avrebbe potuto essere la nostra prima vittima. Ma salì subito su una macchina. Ci è spiaciuto molto non poterla prendere. Ci ha lasciato con l’acquolina in bocca. La seconda vittima era una ragazzina niente male, anche se il suo fidanzato la portava in giro su una macchina orrenda. La scaricò lì. La seguimmo, però lei entrò in un portone e si chiuse la porta dietro le spalle.
• Subito dopo mi passò a dieci centimetri un signore. Se fosse stata una donna, sarebbe morta. A quell’ora la vittima poteva essere solo una donna (così aveva stabilito la tombola, ndr). Poi siamo andati a bere a una fontana di calle de Becares. Alla fermata del bus abbiamo visto un uomo seduto. Era una vittima quasi perfetta. Aveva una faccia da idiota, l’aspetto soddisfatto e un orecchio tappato da un walkman. Ma era un uomo. Ci siamo seduti vicino a lui. Qui la storia divenne quasi irreale. Quel signore cominciò a parlare allegramente con noi. Ci raccontò la sua vita. Gli abbiamo risposto di andarsene a casa. Il mio compagno mi guardò con aria interrogativa, ma io mi rifiutai di ucciderlo. Arrivò il bus e il signore se ne andò con lui (...). Una vecchietta che era scesa a gettar via l’immondizia ci sfuggì per un minuto, e così due coppiette (maledetta mania di accompagnare le donne a casa!). Saranno le quattro e un quarto, a quest’ora comincia il turno degli uomini.
• Il mio compagno propose di prendere un taxi, aggredire l’autista e sgozzarlo. Rifiutai (...). Vidi un signore andare verso la fermata del bus. Era grassottello, anziano, con una faccia da scemo. Si sedette alla fermata (...). Il piano era: prendiamo i coltelli, gli saltiamo addosso e gli chiediamo di offrirci il collo (non proprio in questi termini, è chiaro). Poi io gli avrei piantato il coltello alla gola e il mio compagno al costato. La vittima portava delle scarpe orrende e dei calzini ridicoli. Era grassoccio, basso, aveva una faccia da allucinato che faceva venir voglia di colpirla. Era come se portasse un cartello che diceva: «Voglio morire». Se fosse stata l’una e mezzo, non gli sarebbe successo niente, ma la vita è così! Ci piantiamo di fronte a lui, prendiamo i coltelli. Si impaurì vedendo il coltellaccio del mio compagno. Il mio compagno lo guardava e di tanto in tanto gli sorrideva (eh eh eh). Gli abbiamo detto che dovevamo perquisirlo. «Le spiace mettere le mani dietro la schiena?», gli dissi. Lui era sbigottito, ma il mio compagno gli afferrò le mani e gliele mise dietro. Cominciai ad arrabbiarmi, perché non gli potevo vedere bene il collo. Allora gli dissi di alzare la testa, lui lo fece, io gli piantai il coltello nel collo. Emise un suono strozzato. Ci disse: figli di puttana.
• Io vidi che gli avevo fatto solo una ferita piccola. Il mio compagno aveva già cominciato a dargli coltellate all’addome, ma nessuna era mortale. Neanch’io riuscivo a dargli una pugnalata come si deve al collo. Cominciò ad urlare no, no: una, due volte. Mi scostò con uno spintone e tentò di fuggire. Io lo rincorsi, lo afferrai. Lo presi per le spalle e ricominciai a colpirlo al collo. Il coltello tagliò anche un pezzo di guanto. Continuiamo a lottare, ci rotoliamo. «Trascinalo al terrapieno, dietro il parco, dietro la fermata degli autobus. Là potremo ucciderlo a piacimento», disse il mio compagno. Sentendo questo, la preda si dibattè con più forza. Caddi lungo il terrapieno. Rimasi mezzo intontito per il colpo, ma il mio compagno aveva già sceso il terrapieno e lo inseguiva menando fendenti. Io lo presi da dietro per tenerlo fermo. Così il compagno poteva dargli più coltellate. Lui lo fece. La preda raddoppiò i suoi sforzi. Gridò più forte: «Figli di puttana, no, no, non uccidetemi!». Cominciava a darmi fastidio il fatto che quello né moriva né si fiaccava, mi faceva abbastanza arrabbiare (...) Il mio compagno si era stancato di tirare pugnalate a caso. Ripresi il coltello (uhmmm mi pare però che non mi fosse caduto: no, non avevo perduto il coltello perché , altrimenti, non avrei mica potuto fare quello che scriverò ora).
• Mi venne in mente un’idea spaventosa, che non vorrei avere mai più, e che presi dal film Hellraiser: quando i monaci del film volevano che nessuno gridasse gli mettevano le dita in bocca. Bella idea per loro, però che dolore per me, perché quello mi morse il pollice, quando mi morse (ho ancora il segno) gli misi un dito nell’occhio (...) . Era ancora vivo, sanguinava da tutte le parti. Non me ne fregava niente. È spaventoso quanto ci mette a morire un idiota. Vidi una porcheria biancastra uscirgli dall’addome, e mi dissi: «Ho esagerato» (...). Dissi al mio compagno di tagliargli la testa, lui lo fece e sentimmo un rumore strano. (...) Alla luce della luna contemplavamo la nostra prima vittima. Abbiamo sorriso e ci siamo dati la mano (...). A metà strada mi sono ricordato che nella lotta mi era caduto l’orologio. Siamo tornati sul luogo del delitto (l’assassino lo fa sempre). Ma non l’abbiamo trovato. Torniamo a casa alle 5 e un quarto ci laviamo e gettiamo via i vestiti. Avevo la sensazione di aver portato a termine un dovere, una necessità elementare (...). Questo mi dava buone speranze di commettere nuovi delitti.
• Il giorno dopo ho pensato alla possibilità che la polizia ci scoprisse. L’orologio, il pezzo di guanto erano contro di noi. Un altro punto debole era che quello mi aveva lasciato pieno di ferite. Ho raccontato tutto a un nostro futuro aiutante, con i nostri stessi ideali, ma senza il mio sangue freddo. I telegiornali non hanno dato la notizia, ma i giornali sì. ”El Pais”, per la precisione. Diceva che gli avevano dato sei pugnalate tra il collo e lo stomaco (eh, eh, eh). Diceva anche che era il secondo cadavere trovato nella zona che aveva ricevuto 70 coltellate (che bestie che sono, la gente!), e che il delitto era avvenuto verso l’una (che balla, a quell’ora stavo giocando con un mio amico al computer. Un alibi perfetto). Poveretto. Non meritava quel che gli è successo. È stata una disgrazia. Cercavamo adolescenti, non poveri operai lavoratori, alla fine, la vita è davvero vile. Ho calcolato che ci sono 30 possibilità su cento che la polizia mi prenda. Se non finisce così la prossima volta toccherà a una ragazza e lo faremo molto meglio.