Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  gennaio 09 Domenica calendario

Mallarmé diceva che «ognuno dovrebbe sempre mantenere tra sé e il mondo uno strato sottile di fumo»

• Mallarmé diceva che «ognuno dovrebbe sempre mantenere tra sé e il mondo uno strato sottile di fumo». Da oggi, almeno in Italia, per la felicità di alcuni e la disperazione di altri, questo strato di fumo, più o meno sottile, sparisce. O almeno così ci hanno raccontato. Se è vero che «mal comune mezzo gaudio», a qualcuno interesserà sapere che la prima vittima dell’intolleranza verso il tabacco fu, 500 anni fa, Rodrigo de Jerez compagno di viaggio di Colombo, arrestato dall’Inquisizione spagnola e condannato per stregoneria a sette anni di carcere. Che aveva combinato? Aveva fumato in pubblico con troppa ostentazione. Insomma, era stato un po’ insolente. Gli europei non avevano, dunque, preso bene l’introduzione nel vecchio mondo dell’abitudine americana di fumare in santa pace. Quindi, se oggi milioni di fumatori sentono su di loro il peso dell’ingiustizia e della ghettizzazione, sappiano che rispetto a ieri si sta scherzando. E probabilmente si sentiranno un pochino sollevati nello scoprire che cosa nei secoli passati capitava a chi, contro leggi, divieti e anatemi, si ostinava a continuare nel suo amato vizio. Un vizio che prima di diventare tale era stato un medicamento dalle straordinarie proprietà. Sì, proprio quell’erba di cui oggi conosciamo ogni più piccola diabolica trappola è stata tanto tempo fa considerata una medicina, almeno da molti uomini di scienza. Jean Nicot, ambasciatore francese in Portogallo, da cui deriva il nome ”nicotina”, inviò nel 1560 a Caterina de’ Medici del tabacco come rimedio miracoloso per le sue emicranie. Non sappiamo se la regina sia guarita per questo, ma certo è che non poté più fare a meno della preziosa erba.
• Le proprietà del tabacco. Per Nicot il tabacco aveva «proprietà meravigliose contro il noli me tangere (lesioni della pelle) e le fistole ritenute inguaribili dai medici. un rimedio pronto e singolare per le ferite». Venne ben presto consigliato per la cura del raffreddore, perché si riteneva sciogliesse al meglio le mucose, oltre che di reumatismi, febbri e morsi di serpente. Ma la sua virtù principale era purgare il cervello e i suoi ventricoli dagli umori. Taluni ne elogiavano anche le proprietà tranquillanti che inducevano a scordare ogni pena e sofferenza. La stessa motivazione che anche oggi spinge a accendersi una sigaretta: rilassarsi, distrarsi e forse anche un po’ dimenticare. Consigliato a chi faceva lavori pesanti, ma anche agli intellettuali e soprattutto ai soldati, veniva somministrato alle donne per calmarne l’isteria. Ci si credeva davvero nelle sue potenzialità, se il fumo del tabacco veniva addirittura soffiato nell’ano come mezzo per rianimare gli annegati. Un opuscolo distribuito tra i soldati nella Prima guerra mondiale raccomandava di smettere di fumare ma di fare uso della cenere per i calli dolenti. Chi fumava, inoltre, poteva anche stare quattro o cinque giorni senza mangiare perché il tabacco, essendo un narcotico, attenuava i crampi della fame. E effettivamente anche oggi chi chiude con il vizio sa quanto questo gli costerà in termini di chili. Un altro pregio riconosciutogli era la sua efficacia nel soffocare altri effluvi meno gradevoli: sembra che nei teatri elisabettiani l’odore di fumo proteggesse da quello di aglio proveniente dagli spettatori più poveri. Il tabacco da fiuto veniva pure considerato dagli ecclesiastici un rimedio per mantenersi casti, perché smorzava gli appetiti sessuali.
• Meglio non abusarne. Ma i medici non ne raccomandavano mai un uso smodato, bensì preventivo: «Non bisogna abusarne». Niente tabacco d’estate, solo al mattino e a digiuno, «due ore prima di assumere qualunque altra sostanza. Chi lo prende indifferentemente, a qualunque ora del giorno e in qualunque occasione, soprattutto con lo stomaco pieno di carne e di vino, ben lungi dallo scaricare il cervello invece lo satura, lo scalda oltre misura e lo secca, cosa che contribuisce ad attrarre nuovi umori anziché evacuarli», scriveva nel 1655 Ferrant, professore della facoltà di Medicina di Bourges. Se ne intravedevano i pericoli soprattutto per i più giovani che «devono stare molto attenti al fumo perché un uso troppo prolungato e frequente fa seccare il cervello privandolo della salute», scriveva Jean Néander, medico e botanico, nella sua Tabacologia nel 1622. Altri, come Fagon, primo medico di Luigi XIV, si schierarono contro il tabacco, negandone qualunque virtù medica, anzi, sostenendo che indeboliva la memoria e causava impotenza. E oggi molti studi confermano queste stesse ipotesi e forse anche molte donne potrebbero darne testimonianza. Per questi l’uso del fumo «va totalmente rifiutato perché secco e caldo, il fumo è nemico del cervello. Quest’ultimo annerisce completamente, finché i nervi non seccano e si ammalano gravemente».
• I divieti in oriente. Giudizi contrastanti, dunque, sull’erba che da sempre oppone e divide. Ma se il divieto odierno ci pare quasi una novità rivoluzionaria e un’ingerenza nella nostra vita privata, non dimentichiamo che sono cinquecento anni che tutti i governi del mondo tentano di osteggiare, punire e condannare gli amanti del tabacco. Invano, è evidente, se è vero che all’inizio del Settecento non c’era luogo del pianeta dove esso non si fosse diffuso. E sempre combattuti, i cari governanti, tra il bene pubblico e il dio denaro, pasciuto ben bene da tasse, balzelli e monopoli di Stato vari. Niente di nuovo sotto il sole? Può essere. La storia del tabacco è, quindi, in realtà una lunga storia di divieti. I governanti erano attanagliati in particolare dal pericolo di incendio per città costruite in legno e dai costi elevati di questo vizio. Ma nessuna legge e punizione è mai riuscita a arrestare la sua conquista del mondo. In effetti, un po’ tutti ci avevano provato. In Oriente il fumo si era diffuso nel 1580, probabilmente attraverso i veneziani. In Turchia si attuò una vera e propria campagna di persecuzione. Oltre alla diffusa paura di incendi, gli imperatori turchi sostenevano che il tabacco rendeva sterili. Il che è anche abbastanza vero, peraltro. Più probabilmente il vero intento era di impedire le riunioni sediziose con la scusa del tabacco. Il sultano faceva personalmente la ronda di notte e chiunque fosse stato sorpreso a fumare veniva immediatamente ucciso. Neanche in Russia si scherzava molto: fu promulgato un editto che proibiva a chiunque di assumere tabacco, di venderne o di acquistarne, sotto pena di frusta e, in caso di recidiva, di taglio del naso. Nel 1641 lo zar Alexander Michailovic decretò la deportazione in Siberia e nel 1655 la pena di morte per i trasgressori di queste leggi. Con Pietro il Grande, tornato dai suoi viaggi in Olanda e Inghilterra con idee moderne e soprattutto con il vizio del fumo, i fumatori riconquistarono la loro libertà. Anche in Giappone, dove i portoghesi avevano introdotto il tabacco nel 1590, a più riprese gli Shogun decretarono varie proibizioni che non furono mai rispettate. Erano state messe delle specie di taglie sulla testa di chi aveva a che fare con il tabacco: «Le proprietà del venditore o dell’acquirente saranno garantite a chi lo denuncerà. Chiunque sarà sorpreso a trasportare tabacco per strada dovrà essere immediatamente arrestato e le autorità dovranno essere avvisate. Dopo di che il cavallo e gli altri beni del colpevole saranno consegnati a chi lo avrà denunciato». Ma più aumentavano i divieti più aumentava la voglia di fumare. In India dopo il 1850 veniva giudicato disdicevole che i giovani passeggiassero la sera con il sigaro in bocca. Nel 1859 un albergo gestito da inglesi annunciava ai propri clienti che «uno speciale padiglione con biliardo è riservato ai fumatori, che non sono ammessi all’interno dei saloni».
• In Europa. In Inghilterra Giacomo I, fanatico avversario del tabacco, aveva pubblicato nel 1604 un libretto, Influenza perniciosa del tabacco, in cui la definiva «un’usanza disgustosa alla vista, esecrabile all’olfatto, dannosa al cervello, nociva ai polmoni». D’altra parte, però, avendo un estremo bisogno di entrate ne ridurrà le tasse d’importazione e quando il figlio Carlo I gli succederà al trono nel 1625 creerà il monopolio di Stato. I visitatori stranieri avevano l’impressione che gli inglesi fumassero ovunque e in nessun luogo più che a teatro. Le commedie stesse abbondavano di riferimenti al tabacco. Cristiano IV, re di Danimarca e cognato di Giacomo I, quando gli chiesero se avesse mai fatto uso della ”malerba della follia”, rispose di avere sempre prestato molta attenzione agli avvertimenti di come il fumo faccia impazzire la gente ostruendo cervello e polmoni fino a fare scoppiare le arterie. I nostri vicini svizzeri fino alla prima metà del XVII secolo furono grandi antitabagisti. Pesanti ammende, la prigione o la gogna erano previste per chi veniva sorpreso a fumare in pubblico. Nel 1661 fu promulgato dal senato di Berna un decalogo in cui si affermava chiaramente che fumare era un peccato mortale e nel 1675 veniva istituito un tribunale speciale, la camera del tabacco, per giudicarne i relativi delitti. Il vizio del fumo dall’Olanda passò alla Germania: i tedeschi divennero accaniti fumatori, e a nulla valsero i divieti imposti nei vari principati a esclusione della Moscovita dove la punizione inflitta consisteva in pubbliche bastonate, taglio del naso e, in caso di recidiva, alla condanna a morte. Poi nel 1645 la prospettiva di possibili rendite portò anche qui a legittimare il tabacco come monopolio di Stato. Se oggi stupisce che in alcune zone degli Stati Uniti sia vietato fumare all’aperto, si pensi che nella prima metà dell’Ottocento gli austriaci fumavano solo in casa loro o in determinati caffè. Fino al 1848 era vietato, infatti, farlo per strada. Si legge in un avviso del 7 Aprile 1831: « d’ora in poi vietato fumare tabacco nei luoghi pubblici, nelle vie, nei viali e sulle piazze di Vienna. Abbiamo purtroppo constatato che i misfatti compiuti dai fumatori di tabacco nella nostra città sono sempre più numerosi e che i paragrafi della legge che li riguardano, oltre allo statuto reale e imperiale, per evitare gli incendi sono stati vergognosamente violati. La repressione sarà energica e rigorosa; proibiamo ancora una volta di fumare nelle vie, viali e piazze ma, soprattutto, sotto i portoni e le volte delle case. Il cittadino che non sa comportarsi per strada e che non ama l’ordine dovrà prendersela solo con se stesso, se le sentinelle lo arresteranno e verrà punito secondo i rigori di legge». A proposito di misfatti compiuti dai fumatori, alla fine dell’Ottocento in Francia furono studiate seriamente e anche trovate correlazioni statistiche tra il numero dei fumatori tra i carcerati, i suicidi, gli assassini e gli stupratori. I divieti naturalmente variarono con il variare della propensione al tabacco del regnante di turno. Napoleone fu il primo famoso consumatore di tabacco da fiuto. Ma non sopportava la pipa. La tabacchiera lo accompagnava anche sul campo di battaglia: il suo ministro, conte Molè, racconta che a Waterloo, in una pausa di stanchezza, tradì la sua inquietudine «fiutando di continuo prese di tabacco». A Sant’Elena, l’imperatore decaduto ne riceveva regolarmente da una famosa bottega londinese, Fribourg and Trayer, ancora esistente al 34 di Haymarket. Il nipote Napoleone III fumava indifferentemente sigaro e sigarette, pare circa una cinquantina al giorno. Sotto il Secondo impero tutta Parigi fumava, anche in alcuni ristoranti, come il Cafè Anglais e il Cafè de Paris. Addirittura si consigliava di coprirsi per non impregnarsi i capelli dell’odore di tabacco.
• Per le donne. I divieti toccarono anche e soprattutto le donne, s’intende. «Donne fumatrici, donne perdute» diceva Baudelaire. Sebbene alla fine del XVII secolo quasi tutte le donne fiutassero tabacco, in molti ambienti fumare per le signore equivaleva a rovinarsi la reputazione. Le signore che vivevano nelle colonie furono le prime a fumare apertamente. In Oriente era un’abitudine: paradossalmente le donne musulmane rinchiuse e segregate potevano fumare. E le donne lottarono per questo diritto molto tempo prima di lottare per il diritto al voto e prima di costituire qualunque movimento femminista. Basti pensare che nel 1979 migliaia di donne si riunirono all’Università di Teheran per fumare e protestare contro il regime komeinista che vietava loro l’uso di sigarette. Si è poi creato un connubio tra fumo e erotismo. Il connubio donna e sigaretta ha suggerito immagini di licenziosità, poi sponsorizzate anche dal cinema di Hollywood. Greta Garbo, Bette Davis e Marlene Dietrich, modelli seduttivi senza tempo, avevano nella sigaretta, stretta tra le dita affusolate o appoggiata sulle labbra rosse, un elemento che le rendeva ancora più inquietanti e misteriose. Alla fine del XIX secolo la donna che fuma viene socialmente accettata purché non si tratti di pipa o sigaro. Nel Manuale del fumatore, del coltivatore ed annasatore di tabacco di Giacomo Sormanni del 1866 si dice esplicitamente che «le signore col sigaro in bocca fanno una cattiva impressione». Così se nel XIX secolo solo il movimento di emancipazione aveva usato il fumo come simbolo dimostrativo, per esempio con le Vésuviennes, esaltate politiche che fumavano per dimostrare il proprio rifiuto per la morale corrente, nel XX secolo la sigaretta si presenta come un requisito tipicamente femminile. Dopo la Prima guerra mondiale le donne fumarono con molta più libertà. La Spagna le trattava in modo oppressivo, ma nessuno obbiettava se fumavano, probabilmente per lo stato di isolamento in cui vivevano. Ma anche qui le prime a fumare in pubblico furono signore dalla dubbia reputazione. In Russia le donne sono state a lungo isolate: ma nel XIX secolo le signore dell’alta società dimostrano un alto grado di emancipazione e imitano le mode occidentali. Si racconta di una principessa russa che andava a caccia nella foresta portando come unica compagnia una sacca piena di sigari. Nella Germania di Hitler, che odiava il fumo, tra le due guerre furono esposti cartelli in alberghi e ristoranti: «La donna tedesca non fuma». Si temeva che la fumatrice potesse contaminare la razza ariana, generando bambini problematici a causa del fumo. Risultato: all’epoca, dopo l’Inghilterra, la Germania era il Paese con la più alta percentuale di fumatrici.
• Eroi negativi. Insomma, il fumo che aveva segnato una linea di demarcazione tra uomini e donne, li ha poi ”livellati”, per dirla alla Totò. Per tutti il tabacco, fumato, masticato o annusato che fosse, ha rappresentato per secoli una forma di consolazione all’angoscia e alla malinconia, il passaggio all’età adulta, il sentirsi adeguati, l’appartenere a un mondo eroico e aristocratico. Oggi il mondo è cambiato. Chi fuma è l’eroe negativo, portatore di asocialità, regressione intellettuale e comportamento incivile. Se è vero che la Storia è la grande maestra, volgendoci indietro dovremmo dedurne che leggi e anatemi potrebbero nuovamente cadere nel nulla. Sarebbe interessante tra qualche centinaio di anni sapere che cosa si dirà dei risultati di questi nostri ”nuovissimi” divieti. Certo è che non stiamo scrivendo l’ultimo capitolo della storia del tabacco. Neanche la paura è stata mai sufficiente. Qualcuno ha scritto infatti che «è difficile valutare la quantità di paura efficace. Oltre una certa soglia conduce piuttosto alla sordità e alla cecità. Sappiamo tutti di essere mortali e viviamo solo dimenticandolo. E forse fumiamo per dimenticarlo».
• Quando la sigaretta si diffuse come alternativa alla pipa e al sigaro venne a lungo considerata la cenerentola dei fumatori, buona per i giovani e le donne, effeminata e socialmente inferiore. Giunse in Spagna negli anni Trenta dell’Ottocento col nome di cigarrito, portata dai brasiliani, ma si diffuse in tutto il mondo solo negli anni Venti del Novecento, distribuita alle truppe in guerra per tenerne alto il morale. In America si diffusero in ritardo, fumate da un’élite che imitava la moda del Vecchio Mondo. Inizialmente importate da Cuba, ancora alla fine dell’Ottocento venivano fabbricate come prodotto sussidiario al tabacco da masticare o da pipa. Nel 1878 all’Esposizione Universale venne presentata la prima macchina industriale, una Susini-Durand, che produceva tremilaseicento sigarette all’ora. Ma le sigarette confezionate rimasero a lungo un fenomeno urbano: in campagna continuavano a arrotolarsele da soli.