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 2004  novembre 14 Domenica calendario

In epoca moderna, l’odontoiatria era considerata una sottobranca della medicina

• In epoca moderna, l’odontoiatria era considerata una sottobranca della medicina. I contorni della figura del dentista erano sfuocati e labili, decisamente. Cavadenti itineranti si aggiravano per fiere e mercati, in compagnia di ciarlatani e attori, inscenando spesso sul palco finte operazioni. Mostravano falsi diplomi e si fingevano allievi dei più noti dentisti del tempo. Barbieri-chirurghi, oltre a tagliare i capelli, cavavano denti e incidevano ascessi. Ma anche chi esercitava in uno ”studio fisso”, per arrotondare lo stipendio era costretto a vendere droghe, liquori e altro, a causa della troppa concorrenza dovuta all’abusivismo. I progressi nella definizione di regole e competenze del dentista non furono uniformi in Europa. In Inghilterra la situazione era una delle peggiori. Ancora alla fine dell’Ottocento in Scozia vigeva l’usanza che, prima del matrimonio, il padre della sposa le cavasse tutti i denti di bocca, sani, e le desse in dote una bella dentiera, in modo che il futuro sposo non avrebbe dovuto, durante la vita matrimoniale, sostenere le spese per le cure dentistiche della moglie. In Francia a partire dalla seconda metà del XVIII secolo cominciò a formarsi la figura del dentista moderno. In realtà, qui già nel XVII secolo era stata stabilita e regolata definitivamente da Luigi XIV la presenza a Corte di un Operateur du Roi, un praticante l’arte odontoiatrica. Non era male essere i dentisti del re: erano gli unici a possedere un titolo ufficiale, di cui potevano usufruire anche una volta finito il loro incarico a corte. In Italia il termine ”dentista” apparve per la prima volta in un’incisione del 1731 riferito a un praticante, un certo Giovanni Battista Grimaldi. Ma anche noi abbiamo avuto i nostri Operateur du Roi, i nostri ”dentisti di corte”, la famiglia Hruska. Per tutto il secolo scorso i Hruska furono i dentisti di re, papi, principesse, artisti e industriali. difficile trovare un grande nome del tempo che non si sia seduto sulla loro poltrona.
• Dalla boemia di bocca in bocca Dentisti da generazioni, erano un’antica famiglia di origine boema. Il capostipite, Joseph, aveva frequentato l’cole Dentarie a Parigi, quando Parigi era ”la mecca dell’odontoiatria” e della medicina in generale. L’cole era stata fondata da un medico proveniente dall’America, di nome Thomas Evans, dentista personale della moglie di Napoleone III e, forse, per lei anche qualcosa di più... Si stabilì successivamente a Innsbruck, dove a quel tempo di dentisti non ce n’era neanche uno. La fama della sua abilità si sparse così velocemente che dovette aprire diverse succursali a Bressanone, Verona e Trento. Aveva bisogno di aiuto in famiglia. E così la tradizione di essere dentisti fu tramandata da padre in figlio e da figlio in nipote: da Joseph a Arturo, da Arturo a Aga, Kurt e Tully. Grazie all’influenza di un alto funzionario dello Stato russo, il Principe Kurakin, che fu suo paziente, Arturo Hruska divenne dentista ufficiale degli zar di Russia e lo fu fino allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914. La cosa fece grande scalpore sui giornali: era la prima volta che un dentista di lingua tedesca veniva chiamato dagli zar. Il contratto fu stipulato solo per i mesi estivi, perché gran parte dell’aristocrazia russa solitamente svernava sulle coste francesi e italiane. A San Pietroburgo passarono da lui tutti i principali dignitari russi, compreso Rasputin. Pare che questi fosse affetto da un certo priapismo causato da una forma di leucemia. Ma lui, molto pieno di sé, mise in giro la voce che quello fosse un dono divino. Intanto nel 1903 Arturo Hruska aveva aperto uno studio a Gardone e nel 1912, visto l’alto numero di clienti milanesi che lì soggiornavano per le vacanze, anche a Milano. Ancora dopo la prima guerra mondiale rimase uno dei pochi dentisti in Italia, professione allora pressoché sconosciuta e per la quale era richiesta soltanto una laurea in medicina generale. A Gardone avevano un vicino di casa un po’ particolare: Gabriele D’Annunzio. Era stato sistemato da Mussolini in una frazione di Gardone nel 1921, perché non disturbasse troppo. Sia Gabriele D’Annunzio che il figlio furono loro pazienti. Il figlio aveva ereditato dal padre la statura, la pelata e la pessima dentatura. Nel 1934 D’Annunzio spedì dai Hruska la sua amante Ester Pizzuti con una lettera in mano. In questa lettera D’Annunzio pregava il dentista di toglierle il difetto di digrignare i denti, cosa che non lo faceva dormire di notte. In realtà anche il vate, probabilmente a causa dello smodato uso di cocaina, digrignava i denti. Tanto fece che alla fine riuscì a staccarseli tutti. Aveva una paura folle del dentista e ci andava solo per farsi togliere la placca. Compito non facile, per il tremendo alito che pare avesse. Anche Vittorio De Sica fu loro cliente: era terrorizzato dall’idea di dovere mettere una dentiera, cosa che gli avrebbe compromesso la carriera. Si fece rinforzare tutti i denti, scongiurando così il temuto pericolo.
• Sulla bocca dei reali. Furono dentisti ufficiali di casa Savoia dal 1932 al 1946, fino a quando il re dovette abdicare e emigrare. Essere i dentisti di casa reale, significava non avere orari e, naturalmente, recarsi nelle varie residenze per le cure. Il tutto senza percepire una lira. La famiglia reale considerava, infatti, di concedere loro un privilegio nel farsi curare. L’avventura cominciò con un equivoco. Nell’agosto del 1932 nello studio Hruska era rimasto solo il figlio, Aga, da poco laureato in medicina ma non ancora abilitato a esercitare la professione. A un certo punto telefonò il dottor De Chirico, medico personale della famiglia Savoia, molto preoccupato per la principessa Jolanda, la primogenita del re Vittorio Emanuele III, che accusava forti dolori. Nessuno dei medici a cui si erano rivolti aveva saputo risolvere la faccenda. Chiese di parlare con il dottor Hruska, intendendo naturalmente il vecchio Hruska, che in quel momento si trovava a Berlino per un congresso medico. Il figlio finse di essere il padre e alla richiesta di partire immediatamente per Sant’Anna di Valdieri, la residenza estiva di casa Savoia, rispose naturalmente di sì. Quando il conte De Chirico lo vide, rimase piuttosto sbalordito dalla giovane età del medico. La verità venne a galla, ma alternative ormai non ce n’erano. Al momento di sciacquarsi le mani, come ogni buon medico fa, Aga Hruska si rese conto che per arrivare al rubinetto, doveva piegarsi verso il basso. In effetti allora in Italia per volontà del ”re piccolo” era stata emessa una legge edilizia che stabiliva che tutti i lavandini e i gabinetti del Paese dovessero essere costruiti secondo le misure del re. Quando il problema della principessa fu risolto, in casa Savoia si gridò al miracolo e tutti, comprese le cameriere, vollero farsi dare un’occhiatina ai denti. In futuro la principessa Jolanda sarebbe ricorsa anche alla polizia segreta, pur di rintracciare il suo dentista. Pregò il medico di visitare anche sua sorella Maria, che a causa di un intervento sbagliato aveva il volto deformato e asimmetrico. Ci fu sintonia con Maria. Ma nacque anche un piccolo incidente diplomatico. Un giorno, infatti, dopo una seduta, la principessa Maria propose al dentista di andare a fare un bagno e, essendo lui sprovvisto di costume, gli prestò le mutande da bagno di suo fratello, il principe ereditario Umberto. E così fu. La principessa Maria, in quell’occasione, chiese al medico che cosa la gente ne pensasse dell’imminente campagna di Abissinia. La risposta, sincera ma sprovveduta, fu che alla gente non gliene importava nulla dell’impero, ma solo del lavoro e della tranquillità. Tant’è. Giorni dopo, a un pranzo con il capo di stato maggiore dell’Esercito, il generale Alberto Pariani, venuto a offrire al re la dignità imperiale, la principessa Maria nell’udire che era il popolo italiano a volerlo, spiegò placidamente ai presenti che agli italiani non gliene fregava proprio niente dell’impero. Ricostruito l’accaduto, la madre, la regina Elena, infuriata, fece arrestare sulla spiaggia di Viareggio, il povero giovane dentista. Nel 1936 fu un’altra telefonata, questa volta dal palazzo reale di Napoli, che portò Aga Hruska a curare un’altra Savoia, Maria Josè, moglie di Umberto di Savoia. Il suo era un problema estetico: nella parte superiore i denti le erano cresciuti troppo fittamente e si sovrapponevano. Questa situazione le creava molto imbarazzo. I migliori dentisti del tempo, non avevano voluto saperne di intervenire. I genitori di Maria José, i re del Belgio Elisabetta e Alberto I, erano stati a loro volta pazienti del padre di Aga Hruska a Gardone. Senza averne molto bisogno, visto che Alberto I aveva una dentatura perfetta. Fu allestita, in una stanza speciale del palazzo di Napoli, una saletta operatoria e in un mese di cure il problema fu risolto. Pare che la principessa fosse una paziente disciplinatissima e che non sentisse dolore. L’unica cosa a cui non rinunciava mai era un bicchierino di marsala a fine seduta. Anni dopo, quando fu pronto lo studio a Roma, Maria José amava recarvisi senza autista, guidando personalmente la sua Lancia. Dopo avere sistemato i denti a Maria José, si aprirono ai Hruska le porte delle corti europee. Il dentista della corte inglese, il dottor Whitehouse, propose loro di associarsi. I reali di Spagna, che allo scoppio della guerra civile nel 1937 si erano rifugiati a Roma, divennero loro clienti.
• Le carie della curia Nel 1939 furono chiamati da suor Pasqualina, la governante del nuovo papa Pio XII, che aveva saputo del loro lavoro presso la casa reale. Passarono tre settimane tra la prima e la seconda visita al pontefice. Durante quel periodo il papa raccolse tante informazioni sull’arte odontoiatrica che, quando lo rincontrarono, i Hruska ebbero la sensazione di parlare con un loro collega. Pio XII soffriva di una malattia che provocava un generale allentamento dei denti, sia superiori che inferiori. Allestirono uno studio dentistico nell’appartamento privato del papa e lo curarono per circa un anno. Diventarono dentisti ufficiali del Vaticano, nonostante fossero protestanti: Pio XII restò loro paziente praticamente fino alla sua morte. Anche da papa Pio XII i Hruska non furono mai retribuiti. In compenso alla fine di ogni anno ricevevano una raccolta di monete commemorative. Uno di loro fu nominato cavaliere dell’Ordine del Santo Sepolcro e cavaliere dell’Ordine di Malta. Alla morte di Pio XII per mesi non seppero se sarebbero rimasti i dentisti del Vaticano. Si scoprì che qualcuno si era opposto, perché protestanti. Ma poi col nuovo pontefice Giovanni XXIII, nacque un’amicizia. Li volle incontrare tutti i venerdì alle undici, nonostante portasse una dentiera sia superiore sia inferiore e non avesse, quindi, molto bisogno di un dentista.
• Il complotto in sala d’attesa In quegli anni quasi tutti quelli che contavano nel governo italiano e nel partito fascista erano loro pazienti: Galeazzo Ciano, il duca Pietro Acquarone, Dino Grandi, Alessandro Pavolini, Attilio Teruzzi, Giuseppe Bottai, Pietro Badoglio, il generale Maraffa, Ettore Muti, Dino Alfieri, il colonnello Galli e molti altri. A pochi metri dal loro studio, si trovavano il ministero della Guerra, il ministero dell’Agricoltura e Foreste e il Quirinale. Questi personaggi avevano preso l’abitudine di incontrarsi nella loro sala d’aspetto, senza neanche avere fissato un appuntamento con la segretaria. Il più assiduo a questi incontri pare che fosse Pietro Badoglio, se non altro per il pessimo stato in cui versavano i suoi denti. I Hruska scoprirono che, a loro insaputa, da più di un anno proprio nel loro studio era stato organizzato il complotto contro Mussolini che portò alla sua destituzione da parte del Gran Consiglio il 25 luglio 1943, con l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi. Fu il duca Acquarone, il ministro della Real Casa, a vuotare il sacco una mattina di maggio del 1943, mentre si accingeva a sedersi sulla poltrona per un nuovo trattamento. Raccontò che il re, attraverso di lui, stava tramando insieme ai congiurati e agli Alleati. I Hruska avevano scoperto che il colonnello Galli si serviva del loro telefono in anticamera per chiamare la Svezia e il Portogallo e trattare direttamente con gli Alleati, trascurando del tutto il fatto che avrebbe potuto essere smascherato dalle bollette telefoniche. Si serviva come codice de La Vita di Gesù Cristo, in particolare leggeva a alta voce al telefono il passo del tradimento di Giuda. La cosa curiosa fu che nessuno di quelli che votarono contro la destituzione di Mussolini era stato loro paziente. Mussolini fu arrestato, sembra all’insaputa dei partecipanti al complotto, ma con la volontà solo di Badoglio, di Acquarone e del re. Ironia della sorte: si racconta che uno dei pochi libri che la moglie Rachele riuscì a spedire a Mussolini dopo l’arresto fosse La vita di Gesù Cristo. La poltrona del dentista era una sorta di confessionale. Vi si confessò anche Galeazzo Ciano nel 1939 quando, di ritorno da un incontro con Von Ribbentrop a Salisburgo, si era precipitato dai Hruska a causa di un forte dolore ai denti. Finito l’intervento non si voleva alzare. Ce l’aveva con i tedeschi, con l’asse Roma-Berlino, con l’arroganza di Ribbentrop: «Non c’è niente da fare, arriveremo alla guerra mondiale, e anche l’Italia vi sarà trascinata, trascinata in una guerra alla quale non siamo minimamente preparati». Morì, dicono, guardando in faccia il plotone di esecuzione. I militi delle Brigate Nere, scelti per uccidere i partecipanti al complotto, ebbero in premio l’entrata libera nei locali notturni di Milano, tra i quali l’Hagi in Galleria del Corso e il Papillon Doreé del Trianon. Ettore Muti non era stato protagonista del complotto, sebbene ne fosse informato. Al posto degli incisivi aveva una protesi provvisoria applicatagli da Kurt Hruska e non voleva saperne di rimuoverla, perché era convinto che gli avrebbe portato fortuna. Non bastò: fu assassinato a tradimento per ordine di Pietro Badoglio, perché sapeva troppo. La ”sede del governo” della Repubblica di Salò fu fissata a Villa Feltrinelli a Gargnano sul lago di Garda. Mussolini era sostanzialmente un prigioniero in mano ai tedeschi.
• I denti sani del duce Fu solo allora che si recò nel loro studio di Gardone. Strano ma vero, quella, per il Duce, era una delle poche occasioni per distrarsi e sottrarsi al suo carcere. I tedeschi imposero come condizione che non ci fossero altri pazienti in studio. Le SS lo aspettavano fuori. Lui si presentava sempre accompagnato da Claretta Petacci, che viveva a Gardone con la sua famiglia, anch’essa cliente dei Hruska, ma con denti a postissimo. Lui si sedeva sulla poltrona in divisa e lei, su una sedia in un angolo della stanza, lo aspettava pazientemente. Prima di allora non era mai stato loro paziente. Del resto, non ne aveva nessun bisogno: i suoi denti erano perfetti, senza carie, la loro posizione «ricordava un arco romano a tutto sesto». Nel vedere una tale armonia, il suo dentista disse: «Peccato che non abbia fatto il cantante, sicuramente sarebbe stato meglio di Caruso!». Chissà che mondo sarebbe stato se Mussolini avesse fatto il cantante. Di sicuro, a quell’uomo ormai spezzato e consapevole della fine che si avvicinava, seduto in divisa su una poltrona da dentista, quella frase non fece alcun piacere.
• Se i buddisti e gli antichi ebrei per pulirsi i denti utilizzavano dei pezzettini di legno come stuzzicadenti, i sumeri, i babilonesi e gli assiri li avevano costruiti in oro e corredati di contenitore. Non viene mai riferito, invece, l’uso di stuzzicadenti tra gli antichi egizi, né mai sono stati rinvenuti nelle loro tombe. Nel 4000 a.C. gli antichi indiani si spazzolavano i denti al mattino con un ramoscello di una pianta, possibilmente di acacia, che doveva essere lungo 20 centimetri e avere un diametro di 7 millimetri. Prima dell’uso si consigliava di masticarne l’estremità così che assumesse la forma di una morbida spazzola. Gli antichi cinesi usavano lo spazzolino da denti insieme all’acido cloridrico. Molti poeti romani, come Catullo, fanno riferimento all’uso dello spazzolino da denti. Maometto, vero maniaco dell’igiene orale, utilizzava un piccolo pezzo di legno sfilacciato, il siwk, chiamato volgarmente ”albero-spazzolino”. Questo uso continua ancora oggi.
•  il 1871 e l’americano Morrison brevetta il primo trapano a pedale efficiente della storia. Pare che già tra gli antichi romani si usassero rudimentali trapani dentari, a forma di trottola o di archetto. Tra gli arabi, Rhazes e Avicenna parlano di strumenti per perforare i denti. La scuola salernitana impiegava il trapano per perforare il cranio e talvolta per le estrazioni dentarie. Ma sostanziali progressi non se ne fanno per tutta l’epoca moderna. Lo strumento proposto è sempre a archetto e occupa entrambe le mani dell’operatore. Ancora nella prima metà dell’Ottocento quasi tutti i dentisti non usano trapano, limitandosi a muovere manualmente qualche fresa. Fino a pochi decenni fa il trapano di Morrison veniva ancora utilizzato in situazioni di emergenza e a scopo didattico nelle scuole di odontoiatria. Alla fine dell’Ottocento si entra nell’era del trapano elettrico: gli inventori sono gli stessi odontoiatri, l’industria ne acquista i brevetti e produce gli strumenti.