Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  settembre 05 Domenica calendario

Storia del petrolio

• In tempo di petrolio ce n’era fin troppo. Il bitume sgorgava in pozze a cielo aperto in Azerbaijan; colava nel letto dei fiumi da rocce spugnose nella Russia centrale; veniva raccolto dagli indiani d’America nei territori dell’Est, che se lo spalmavano addosso per difendersi dalle zanzare. Il petrolio era a portata di mano, ma nessuno aveva ben capito a cosa potesse servire. Dal 1597 a Mosca veniva venduto come olio da lampada, ma quando bruciava faceva un fumo denso e acre, e dunque veniva considerato un prodotto di pessima qualità. Più o meno la stessa cosa accadeva negli Stati Uniti. Intorno al 1790, in Pennsylvania, i coloni della zona di Oil Creek (letteralmente ”torrente d’olio”) scoprirono che una strana sostanza unta, puzzolente e scura colava naturalmente nei fiumi e era usata dagli indigeni, indiani irochesi della tribù Seneca, per illuminare e scaldare le abitazioni e scacciare gli insetti. Lo usarono anche i pionieri, per esempio, come lubrificante per i mozzi dei carri, e un po’ se ne vendeva, tanto che nel 1797 il generale William Wilson registrava nell’inventario di Fort Franklin, vicino a Oil Creek, l’esistenza di «n° 3 barili di Seneca Oil - 50 dollari». la prima quotazione del petrolio. L’oro nero era, come adesso, unto, scuro e disgustoso: i coloni pensarono che con queste caratteristiche doveva essere per forza un’ottima medicina. In poco tempo, grazie alla credulità popolare sul mercato cominciarono a circolare bottiglie di petrolio non raffinato, rinominate ”Seneca Oil”, vendute sulle piazze dagli imbonitori. Le qualità del liquido venivano sostanzialmente decise dal ciarlatano di turno: curava piaghe, calvizie, tosse, mal di testa, mal di denti, scacciava i vermi ecc. Il petrolio veniva venduto per curare tutto, però non serviva a nulla. Per questo a un certo Samuel Kier, farmacista in Pittsburgh, era rimasto un magazzino pieno di bottigliette di petrolio, che aveva cercato inutilmente di spacciare come tonico universale. Nel 1847, quindi, decise di riciclare quel liquido come olio per lampade. Il farmacista pensò che non poteva che andargli bene, in fondo quella robaccia la prendeva dai pozzi di salgemma che si trovavano sulle terre di suo papà (fonte di bei guadagni per la famiglia): usciva insieme al sale e liberarsene, bruciandolo, era una gran seccatura. Perché non provare a venderlo?
• Scavare pozzi o arpionare balene? Al tempo l’olio migliore per le lanterne era lo spermaceti, una sostanza che veniva ricavata dalla testa dei capodogli. La richiesta di questo grasso purissimo era sempre più forte e, nonostante la flotta baleniera degli Stati Uniti fosse in costante crescita, la richiesta superava l’offerta, i capodogli cominciavano già a scarseggiare e i prezzi salivano. Kier quindi distillò rozzamente il petrolio in un alambicco usato per produrre whiskey e cominciò a vendere il suo ”Pennsylvania Rock Oil” per illuminazione. Sicuramente finire nelle lanterne non era ancora l’impiego più azzeccato per il petrolio ma comunque un passo avanti rispetto all’uso come vermifugo. La cosa funzionò, e il distillato si vendeva, ma per i suoi vicini la questione si fece preoccupante quando l’intraprendente Kier portò la capacità dell’alambicco da uno a cinque barili. La qual cosa, però, fece decidere alla municipalità di Pittsburgh d’intimargli il trasferimento in periferia, per paura d’esplosioni. Gli affari di Kier andavano comunque piuttosto bene, e l’uso del ”Rock Oil” si diffuse in tutta la Pennsylvania occidentale, arrivando fino a New York. La strada verso il successo era però ancora tutta da percorrere. Bisognava capire come estrarre il petrolio, per non essere costretti a raccogliere solo quel poco che colava dalle rocce. Un Raffinato liquido Nel 1854 un giovane avvocato del New Hampshire, George H. Bissel, fu il primo a annusare il petrolio e a sentire forte il profumo dell’oro. Con un socio comprò un terreno e fondò la Pennsylvania Rock Oil Company of New York. Per rassicurarsi che l’investimento fosse buono, Bissel chiese all’eminente professore Benjamin Silliman Jr. dell’università di Yale, noto scienziato dell’epoca, di verificare se il ”Seneca Oil”, potesse diventare un buon combustibile per lampade. Ricevuta la bottiglia di petrolio, Silliman lo distillò in varie frazioni, ricavandone diversi prodotti, tutti composti di carbonio e idrogeno. Tra questi c’era pure un olio illuminante di altissima qualità. Il professor Silliman fu molto chiaro nel confermare che l’affare c’era, e era pure grosso. «Signori - scrisse consegnando la sua relazione conclusiva - senza ombra di dubbio vi sono fondati motivi per ritenere che la vostra società sia assolutamente in grado di trasformare il materiale grezzo di cui dispone, mediante procedimenti semplici e poco costosi, in prodotti di grande validità nel settore dell’illuminazione e della lubrificazione. Sono certo che la vostra società abbia grandi possibilità di fare affari». Lo studio, considerato una pietra miliare della chimica petrolifera, fu così costoso (526 dollari più altri 75 per l’attrezzatura saltata in aria durante le analisi) che Bissel venne costretto a cercare nuovi soci. I nuovi fondi servirono per capire quanto petrolio c’era, come fare a estrarlo eccetera.
• la prima trivella A questo problema la Pennsylvania Rock Oil si dedicò a partire dal 1857. Si decise di utilizzare le stesse trivelle adoperate nelle cave di salgemma e si affidò il coordinamento dell’impresa a tale Edwin Drake, un avventuriero degno della migliore leggenda del West, che non aveva alcuna preparazione specifica, ma essendo stato fino a qualche anno prima macchinista nelle ferrovie aveva qualche vaga nozione di meccanica, e soprattutto un lasciapassare per viaggiare gratis in treno. E proprio grazie al lasciapassare, i soci della Pennsylvania Rock Oil lo scelsero come loro agente, e tanto per dare un tono all’impresa, lo nominarono sul campo (anche se non era mai stato nell’esercito) ”colonnello”, titolo che nell’America dell’800 faceva sempre la sua bella figura. Nella primavera del 1858 Drake venne spedito a Titusville, in Pennsylvania, dov’erano i terreni comprati dalla società, e cominciò a trivellare. Dopo quasi un anno di tentativi infruttuosi, con i soldi quasi esauriti, nel pomeriggio di domenica 27 agosto 1859, alla profondità di 21 metri, la trivella incontrò un crepaccio e si sfilò. William A. Smith, ”zio Billy”, il capo di una squadra di trivellatori di sale locali, assoldati da Drake, scoraggiato, mandò tutti a casa. Più tardi, però, tornò a dare un’occhiata all’impianto, guardò nel buco, e lo vide pieno di petrolio. Il capomastro corse quindi fuori del capanno e dai vicini si fece prestare una pompa da cucina, quell’arnese con una leva che nei film western serve a tirare su l’acqua dal pozzo, e si mise a pompare nero, vischioso, puzzolente petrolio. La prima produzione giornaliera fu di circa 25 barili, poi calò a una decina e tale rimase per un anno circa. Drake, che stava giusto giusto esaurendo i fondi della Seneca Oil aveva garantito alla sua società e agli americani che l’olio illuminante ricavato dal petrolio sarebbe stato prodotto in una quantità sufficiente a soddisfare la richiesta del mercato. E questo accadde, tanto che velocemente l’olio di balena smise di essere richiesto.
• Sale la febbre Il petrolio della Pennsylvania era buono: da un barile, almeno il 60-65% diventava olio per lampade o kerosene, il 10% benzina (che all’inizio si buttava via, non essendo ancora stato inventato il motore a scoppio), il 5-10% nafta (usata come solvente) e gli scarti come lubrificanti. Come era successo nel 1849 in California, con l’oro, scattò la corsa: le strade di Titusville nel giro di pochi giorni furono invase dai carri dei petrolieri, e dovunque iniziarono a sorgere torri di legno (dette derrick) che ospitavano rumorose trivelle. Per il petrolio valeva la ”Regola della cattura”. Una dottrina basata sul diritto consuetudinario inglese in base alla quale il proprietario di una tenuta aveva diritto di uccidere gli animali selvatici che vi entravano. Allo stesso modo, i proprietari potevano trivellare la terra ed estrarre tutto il petrolio che volevano. Fu il boom del petrolio della Pennsylvania: la zona divenne meta di avventurieri e disperati in cerca di fortuna, i saloon di Oil City, niente più che un agglomerato di baracche, si riempirono di tipacci come ”Coal Oil Johnny” che secondo la leggenda perse al poker in una notte un milione e mezzo di dollari. Nel selvaggio Oildorado, per qualche anno regnarono whiskey, pistole e donne di malaffare. A riorganizzare questo nuovo mercato non furono le regole del governo degli Stati Uniti, ma le leggi imperiose di un ometto basso, con due folti baffi neri sul volto e dei peli ancora più lunghi sullo stomaco: John Davidson Rockefeller.
• Arriva il fuoriclasse JD Rockefeller arrivò nel business del petrolio nel 1862, a soli 23 anni. Era giovane, ma la sapeva già lunga: aveva iniziato a lavorare a 12 anni allevando tacchini e reinvestendo i soldi nei prestiti a strozzo. A nemmeno 20 anni aveva già la sua agenzia di commercio di granaglie a Cleveland, dove viveva, che prosperava (anche grazie al rialzo dei prezzi causato dalla guerra di Secessione). Inoltre aveva già coniato il suo motto, che non tradirà mai: «Invece di diventare schiavo del denaro farò diventare il denaro mio schiavo». JD dell’affarista di gran razza possedeva tutte le qualità: fantasia, spregiudicatezza, lungimiranza. Dal padre, truffatore (vendeva cure contro il cancro, fasulle), ereditò la dialettica persuasiva; dalla madre, devota e bigotta, la fiducia cieca nelle proprie idee e un’ossessiva morigeratezza nei costumi. Nel 1863 Cleveland venne collegata alla Pennsylvania dalla ferrovia, e J.D. Rockefeller decise istantaneamente che le granaglie non gli davano prospettive sufficientemente vaste: meglio il petrolio, ora a portata di mano, che finalmente si poteva spedire a New York, collegata a Cleveland da altre due linee. Con un socio si trasferì a Oil City e subito comprese che l’affare non era l’estrazione, ma la raffinazione e il trasporto. Era lì il collo d’oca del mercato. Era lì che si poteva puntare al monopolio. Mise su una piccola raffineria, poi percorse in lungo e largo i campi petroliferi. Comprando a buon mercato, raffinando e rivendendo gli furono sufficienti tre anni per mettere da parte 100.000 dollari. Intanto l’oculatezza di JD diventava leggenda: i barili, per risparmiare, se li faceva da sé. Il legname necessario lo essicava, perché secco pesava meno e i trasporti si pagavano al chilo. Nel far soldi era un genio, e come tutti i geni mal sopportava la presenza nella sua società di altri soci. Propose ai compagni di ingrandirsi, ma questi nicchiavano, e allora, con un’asta estenuante, comprò le loro quote per 72.500 dollari, tutti i suoi averi. Nel 1866 con suo fratello William aprì la Standard Works, un’altra raffineria, a Cleveland. Nel 1868 erano già i maggiori raffinatori del mondo, e con assoluta diligenza evitavano ogni spreco. La Standard continuava a far costruire dai propri operai i barili, a produrre in proprio acido solforico per la raffinazione, a comprare i magazzini anziché affittarli, e come chiusura del cerchio, vennero acquistati pure i carri cisterna ferroviari. Non solo, la Standard iniziò anche a vendere i sottoprodotti della raffinazione: olii lubrificanti che sostituirono quelli di origine animale, paraffina e vaselina per preparazioni cosmetiche.
• Il primo trust... Il 10 gennaio 1870 JD e soci fondarono la Standard Oil, un milione di dollari di capitale. Obiettivo, il solito: approfittare del caotico mercato del petrolio, dove le compagnie più deboli dovevano soccombere a favore delle più potenti, anzi, della più potente: la loro. Il piano piacque alle banche di Cleveland, che appoggiarono la Standard Oil, che al tempo controllava il 10% del mercato. JD iniziò a contattare i concorrenti, in un anno ne convinse dodici a associarsi nella South Improvement Company (S.i.c.). Nel 1872 propose alle tre principali ferrovie della zona un accordo: avrebbero trasportato esclusivamente con loro tutto il petrolio, e la società si sarebbe sobbarcata pure gli investimenti per le infrastrutture necessarie, ma in compenso avrebbero ottenuto un ribasso sui prezzi e avrebbe incassato una penale per ogni barile trasportato per conto di compagnie che non erano parte della S.i.c. L’accordo venne firmato ma si scatenò l’inferno: a Oil City iniziò la caccia agli uomini della Standard, e sulle colonne dell’Oil City Derrick, il giornale locale, JD venne correttamente definito un rapace approfittatore. Tra vari tumulti, l’accordo decadde, anche perché i produttori di petrolio decisero di non venderne più alla Standard, ma ormai la società era lanciata e Rockefeller aveva assorbito i maggiori concorrenti. L’errore, come riconobbe lo stesso magnate, era stato quello di aver reso pubblico l’accordo: da allora Standard sarebbero stati segreti. Nel giro di cinque anni la Standard costruì una rete di oleodotti e terminal ferroviari (difesi da pattuglie armate), assorbendo anche le reti e i depositi dei concorrenti, e strinse accordi con le principali compagnie ferroviarie. Il risultato fu che nel 1877-78 la Standard pagava per il trasporto di un barile 80 cents, i concorrenti 1 dollaro e 44. Quasi tutti dovettero capitolare.
• ...E Il primo antitrust JD era padrone del mercato nazionale, e quindi mondiale, del petrolio, e anche di tutta la rete di oleodotti. Nel 1882 la rete delle proprietà e degli interessi della Standard Oil venne rafforzata in un trust: 150 milioni di dollari di capitale per il controllo del mercato del petrolio e dei suoi derivati in mano a nove uomini. Nel 1888 iniziano le indagini, come già ne erano in corso su altri trust, come quello del whiskey, dell’acciaio o dello zucchero. Per evitare una la sicura condanna del tribunale, JD e soci si liquidarono le quote, e Rockefeller ebbe 250.000 delle 970.000 azioni, ma i guai non erano finiti: ormai l’America temeva la concentrazione di grandi interessi industriali. Nel 1890 il Congresso votò lo Sherman Antitrust Act, che proibiva ogni forma di accordo segreto per il controllo del mercato. Un po’ per il dispiacere, un po’ per l’enorme carico di lavoro (nella sua vita non era mai mancato nemmeno un giorno dall’ufficio) JD reagì con un grave esaurimento, e perse tutti i capelli, e anche le sopracciglia. Finalmente si scopre a cosa serve A fargli tornare il buonumore, incidentalmente, sarebbero stati due scienziati tedeschi, Niklaus Otto e Rudolph Diesel, e un meccanico-imprenditore americano, Henry Ford. Ai primi si deve il perfezionamento dei motori a combustione interna, a Ford la diffusione dell’auto tra le classi medie. L’automobile, nata in Europa, nel vecchio continente a lungo restò un oggetto per ricchi. La sua diffusione fu invece rapidissima negli Stati Uniti. Ford e altri industriali si impegnarono subito nella produzione di veicoli a larga diffusione che soddisfacessero la richiesta di mobilità di uomini e merci, e resero il prezzo accessibile a un pubblico sempre più vasto. Da quel momento la richiesta si impennò: serviva benzina per le auto, gasolio per i motori delle imbarcazioni, catrame per migliorare le strade, lubrificanti minerali. Mezzo secolo dopo le prime trivellazioni era stato finalmente scoperto a cosa servisse quello strano liquido nero e puzzolente. roberto antonini
• Il petrolio ha dato una mano a salvare le balene. La cosa può fare inorridire gli ambientalisti, ma nella seconda metà dell’800 furono la sua scoperta e il suo sfruttamento a interromperne la mattanza. Vediamo come andò. All’alba della rivoluzione industriale l’olio di balena era un prodotto importantissimo, usato principalmente come combustibile per le lampade da illuminazione, ma anche per il riscaldamento, la lubrificazione, per fare sapone, tinte da stoffe e vernici. Generalmente si ricavava dal corpo dei cetacei, ma il migliore era lo spermaceti, che si trova solo nella testa dei capodogli. Esposto all’aria, lo spermaceti solidifica, per questo al tempo si usava per fare candele che bruciavano senza fumo, considerate le migliori mai prodotte. Nel XIX secolo quella baleniera era un’industria molto importante, e gli Stati Uniti erano i più forti del settore. Gli americani cacciavano i cetacei dal 1712, ma l’industria decollò solo nel 1815. E da allora crebbe senza sosta: nel 1833 c’erano 392 navi baleniere, nel 1846 erano diventate 735, cioè l’80% della flotta mondiale. Ogni anno si producevano 4-5 milioni di galloni di spermaceti e 6-10 milioni di galloni di olio di balena comune. Una pacchia. Però le balene incominciarono a scarseggiare. Erano stati introdotti metodi di caccia più efficaci, come gli arpioni esplosivi, e le navi erano diventate più veloci, spinte dal vapore, e quindi di cetacei se ne uccidevano di più, ma se ne trovavano meno. Inoltre, la domanda cresceva rapidamente, e il prezzo dell’olio di balena comune passò dai 9 cents per litro del 1825 ai 25 cents per litro del 1855. Il primo passo verso la salvezza delle balene, e il successo dei petrolieri, lo fece nel 1849 un geologo canadese, Abraham Gesner. Il dottor Gesner trovò un metodo per distillare kerosene dal petrolio. Fino a allora si ricavava dal carbone, ma costava molto, mentre il metodo del canadese sfruttava una materia sino allora creduta inutile o addirittura fastidiosa. Rispetto all’olio di balena, poi, era molto più economico, non puzzava, e non si guastava. Appena le lampade a kerosene si diffusero in America, il prezzo dell’olio di balena crollò: lo spermaceti passò dal picco di 47 cents per litro del 1856 agli 11 cents per litro del 1896. Le balene erano salve, o quasi.